Berlinguer lascia Barbera forse resta
«Un rimpasto va bene» Berlinguer lascia Barbera forse resta ROMA. Il quasi-ministro arriva a Botteghe Oscure a bordo di un taxi, pagando di tasca propria tariffa più mancia. «E quando inizierà a girare con l'auto blu?», chiedono i cronisti al pidiessino pattista Augusto Barbera. «Tutto dipende dalle decisoni del pds», risponde con studiata ironia il braccio destro di Segni che a poche ore dal giuramento ha annunciato le sue dimissioni, peraltro ancora surgelate sul tavolo di Ciampi. E il pds ha deciso per la non-sfiducia a un governo che non vuole sostenere apertamente ma senza che il non-sostegno implichi l'inabissamento della «novità» Ciampi. Insomma ha optato per l'astensione. Benevola e accomodante al punto da apparire compatibile con la permanenza al governo di uno o forse anche due dei tre ministri pds chiamati dal premier. Dal sì sofferto e tormentato di mercoledì scorso al no infuriato decretato subito dopo il voto della Camera a favore di Craxi, la direzione della Quercia approda adesso, affidando lo scioglimento dell'enigma alla «libera valutazione dei gruppi parlamentari», alla posizione del ni. Ossia nessuna ostilità preconcetta al governo Ciampi purché resti un «governo a termine», sostegno al varo di una riforma elettorale. Ma pur sempre un no morbido, la decisione di non votare la fiducia al governo anche se nella lista dei ministri dovessero comparire nomi legati al pds. Impresa difficile e impervia, ribatezzata «quadratura del cerchio» dai miglioristi, e tuttavia sostenuta dall'ausilio dall'oramai citatissimo in casa pidiessina articolo 92 della Costituzione, ingrediente fondamentale del nuovo «metodo» Ciampi. Munito di quella norma della nostra carta costituzionale Augusto Barbera, chiamato a presidiare il rispetto del voto referendario nell'elaborazione della nuova riforma elettorale, potrebbe restare ministro senza che ciò possa apparire polemico nei confronti della linea d'astensione del suo partito. «Se c'è un invito a ritirarle, si possono ritirare», dice il quasi-ministro alludendo alle dimissioni che Ciampi, in attesa di un ripensamento dell'ultima ora, non ha ancora controfirmato. E comunque, conclude Barbera, «ciascuno di noi ministri deciderà autonomamente il da farsi secon- do l'articolo 92 della Costituzione». Anche Vincenzo Visco, ministro delle Finanze dimissionario, precisa che ogni sua scelta sarà sempre dettata dal rispetto per quell'articolo costituzionale: «vedremo cosa accade, la scelta di ognuno è autonoma». Con un problema aggiuntivo, per Visco: che a differenza di Barbera, impegnato sul fronte della riforma elettorale, la sua parte¬ cipazione ad un importante dicastero economico potrebbe far sorgere il sospetto che il pds si possa impegnare su temi diversi da quelli tassativamente fissati dalla direzione del partito. Ulteriori riserve per Luigi Berlinguer, il terzo dei ministri dimissionari del pds, che ha dichiarato di essere disposto a ritirare la sue dimissioni, tuttora «congelate», solo a condizione che Ciampi riconosca formalmente la validità delle ragioni che hanno indotto i ministri pidiessini a rinunciare precipitosamente al loro incarico a nemmeno dodici ore di distanza dal giuramento davanti a Scalfaro. Rettore dell'Università di Siena, consapevole dell'importanza simbolica evocata dal cognome che porta, decisamente il meno «politico» dei tre tecnici pidiessini chiamati a collaborare con Ciampi, Berlinguer appare dunque il meno disposto dei tre a tornare sui suoi passi. Decisione, va da sé, ispirata anch'essa allo spirito dell'«articolo 92» che ieri aleggiava come un rassicurante fantasma sui dirigenti pidiessini riuniti a Botteghe Oscu re. Fa dire a Massimo D'Alema, quella norma costituzionale, che gli «sembra difficile che il pds possa chiedere ai ministri Barbera, Berlinguer e Visco di ritirare le di missioni». Piace al migliorista Emanuele Macaluso, che vede nel la permanenza dei ministri pidiessini al governo l'ultimo filo che può legare il pds all'unico «governo in grado oggi di traghettare l'Italia dal vecchio al nuovo sistema». Piace pure a Pietro Ingrao, che stempera il suo dissenso nei confronti delle aperture pidiessine a Ciampi con una filastrocca nuo va di zecca: «l'ha inventata il mio nipotino e recita così: "Quanti so no i ministri? Venti o 24? Ventitré o 22? Evviva l'articolo 92». La rife riscono a Barbera, ma il quasi-mi nistro allarga le braccia sconfitto: «Non ho capito il senso» Pierluigi Battista Visco incerto I quasi-ministri scappellano adatticelo 9 Per assoluta mancanza di spazio, la rubrica «Il cittadino» è rinviata a domani.
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