Gli Usa restano in allerta «Noi aspettiamo i fatti»

Gli Usa restano in allerta «Noi aspettiamo i fatti» Gli Usa restano in allerta «Noi aspettiamo i fatti» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Bill Clinton ha annunciato di aver deciso una non meglio precisata «azione militare» contro i serbi, lasciando intuire che si tratta di un piano di bombardamenti e continuando a escludere l'invio di truppe di terra. Ma, se mercoledì prossimo l'autonominatosi Parlamento dei serbi bosniaci ratificherà la firma apposta domenica a Atene dal loro leader Radovan Karadzic sul trattato di pace, il Presidente americano si troverà probabilmente costretto a rovesciare la strategia che ha impiega¬ to tanto tempo a definire: invece che inviare aerei sul cielo della Bosnia dovrà spedire i Marines sul suo territorio. «E' il momento di mettere da parte piani di guerra e di pensare alla pace», ha dichiarato ieri il principale artefice del piano di pace, Lord David Owen, che ha aggiunto: «Se il piano di pace verrà ratificato sarà necessario mandare truppe di terra a difenderlo e, riguardo a questo, mi aspetto un serio contributo da parte americana». Sabato scorso, dopo aver raggiunto una decisione finale al termine di una riunione di quattro ore con i suoi principali collabo¬ ratori, Clinton non ha fatto alcun annuncio ufficiale. Ha invece lasciato al suo segretario di Stato, Warren Christopher, il compito di dare la notizia in termini, peraltro, piuttosto vaghi. «Il Presidente - si è limitato a dire Christopher - ha deciso la linea che crede gli Stati Uniti e la comunità internazionale debbano seguire in quella situazione. Questa linea si sostanzia di un certo numero di specifiche raccomandazioni, comprese azioni militari». Nessun accenno all'ipotesi, accarezzata da Clinton, ma contrastata da inglesi e francesi, di porre fine all'embargo internazionale sulla vendita di armi alla Bosnia. In compenso, Christopher è caduto in una contraddizione rivelatrice. «Quello che è stato escluso - ha detto in un primo momento il segretario di Stato - è il coinvolgimento di un largo contingente di truppe di terra americane». Incalzato dai giornalisti, Christopher ha precisato: «Non contempliamo l'uso di forze di terra in assenza di un trattato di pace». Nei giorni scorsi, l'esclusione da parte di Clinton e Christopher di una simile possibilità era categorica. Adesso vengono usate delle perifrasi condizionali: non un «largo contingente» e, comunque, non prima che venga firmato un trattato di pace da far rispettare. Ed è quest'ultima l'ipotesi che si sta profilando. Dopo l'annuncio, Christopher è salito di corsa su un aereo per raggiungere alcune capitali europee, a cominciare da Londra, dove si proponeva di superare le obiezioni inglesi alle iniziative americane appena decise. Ma, quando, ieri sera, ha avuto i primi contatti con John Major ed il suo ministro degli Esteri, Douglas Hurd, la situazione era già completamente cambiata grazie alle «buone notizie» (così le ha definite Owen) arrivate da Atene. Anche Christopher ha usato questa espressione, ma, in una dichiarazione resa nota dal suo portavoce, ha dichiarato che «occorre molto di più di una firma per convincere la comunità internazionale che i serbi sono seri e in buona fede». «Occorrono - ha precisato - fatti e azioni concrete». Ma, perché la pace tenga, la comunità internazionale, a cominciare dagli USA, difficilmente potrà esimersi dall'inviare truppe per proteggere i nuovi confini. Clinton, ieri, ha telefonato a Boris Eltsin, esprimendogli la sua «soddisfazione» per il risultato di Atene. Poi ha chiamato anche il presidente del Consiglio incaricato, Carlo Azeglio Ciampi, rappresentante di un Paese che Christopher non prevede di visitare e tenuto piuttosto ai margini delle consultazioni recenti. Con Ciampi Clinton ha definito la firma di Atene come «il primo risultato della linea ferma adottata dalla comunità internazionale». Paolo Passarmi

Luoghi citati: Atene, Londra, Stati Uniti, Usa, Washington