il salvatore del franco rovinato da un prestito di Enrico Benedetto

r- L'OPERAIO DELL'ELISEO 77 salvatore delfranco rovinato da un prestito BEREGOVOI, cioè «l'uomo della sponda». Nel cognome ucraino francesizzato in Bérégovoy che portava l'ex premier, qualcuno vedrà ormai un presagio sinistro, l'allusione al lungofiume scelto per mettere fine ai suoi giorni. Da piccolo, i compagni di scuola gliela rimproveravano, quella naturalizzazione famigliare ancora fresca, chiamandolo «le petit russe». Essere negli Anni Trenta un piccolo russo figlio di ufficiale menscevico esule che tira avanti fra mille guai con una drogheria nella campagna normanna non doveva essere facile. E spiega come mai il giovane Pierre, classe 1925, avesse un sogno assai più modesto del governare la Francia: divenire vice-capostazione. Il babbo gli trovò il posto da fresatore a neanche diciott'anni. Ma la Resistenza tra i maquis (non quelli comunisti, secondo influenza paterna) lo avvicina a un universo altrimenti inattingibile: la politica. Bére sceglie la «sfio», il socialismo, e passa le sere a studiare. Diverrà ferroviere (manovalanza, niente divisa e fischietto), poi gasista. Infine, lascia la tuta blu per il colletto bianco. E nella «Gaz de France» inizia una carriera testarda. Incontra Pierre Mendes France, mitico premier della IV Repubblica. L'amore è reciproco. Poi raggiunge Mitterrand, e il cursus honorum in rue Solferino s'impenna. 1981: un operaio all'Eliseo. Non senza venature demagogiche, Frangois Mitterrand lo nomina capogabinetto. L'anno successivo è ministro agli Affari Sociali. Con il 1984 gli affidano l'Economia. Enarchi, grand commis, finanzieri lo osservano ironici occupare la poltrona che fu di Colbert, Poincaré, Giscard. Neppure 24 mesi, e Pierre Bérégovoy li tiene in pugno. Vuole riconciliare la Gauche con i suoi tabù: Borsa, finanza, mercato. Se il franco tiene colpo su colpo e bracca il marco, la Francia lo deve a lui. Nel governo Cresson (che 10 odiava e gli attribuì le sue numerose disgrazie) vegliava su 5 ministeri, come un sultano: 225 mila mq di uffici, 5000 funzionari, 27 km di corridoi. Ma il vero trionfo lo coglie il 2 aprile '92, quando Mitterrand gli affida un esecutivo da ultima spiaggia. Parte bene: dichiara guerra alla corruzione varando leggi moralizzatrici, spande il verbo europeo, lotta contro la disoccupazione. Il primo uppercut giunge a sorpresa dai camionisti, che paralizzano 11 Paese. I senzalavoro - malgrado ogni sforzo - aumentano, la recessione fa capolino, nel ps serpeggia la guerra civile. Poi, l'autogol. Il giudice Thierry Jean-Pierre evoca il prestito che nell'86 gli concesse Patrice-Roger Pelat, businessman di casa all'Eliseo poi incriminato con varie accuse. Lo fece registrare dal notaio, e rimborsò i quattrini (circa 280 milioni), ma gli attacchi si fanno linciaggio quotidiano. E il processo Péchiney (insider trading) a giugno porterà in aula un suo collaboratore. Bére si giura innocente, anche i nemici gli credono ma nessuno lo confesserebbe in campagna elettorale. Il premier la perde, fioccano le critiche persino su quello che riteneva un capolavoro inattaccabile, il «franco forte». La moglie Gilberte, i tre figli non bastano più a colmarne la disperazione. «Guardate le calze rosse dozzinali che indossa. Non può essere altro se non un onest'uomo», affermò una volta, offensivo suo malgrado, il suo collega Pierre Joxe. Oggi quei calzini li rimpiangono in molti. Enrico Benedetto tto |

Persone citate: Borsa, Colbert, Cresson, Mitterrand, Pierre Joxe, Pierre Mendes France, Poincaré, Thierry Jean-pierre

Luoghi citati: Francia