Caso Craxi i giudici non si arrendono
Ma la Ubs di Lugano rifiuta di svelare altri destinatari e movimenti del conto Protezione Ma la Ubs di Lugano rifiuta di svelare altri destinatari e movimenti del conto Protezione Caso Craxi, i giudici non si arrendono Bonelli: quasi pronto il ricorso alla Corte Costituzionale MILANO. Un po' piace ai giudici milanesi la «piazza» che insorge contro il «salvataggio» di Bettino Craxi. Ammette il procuratore capo Francesco Saverio Borrelli: «Sarei ipocrita se dicessi che queste cose non ci fanno piacere». Ma il magistrato, davanti alle telecamere di «Mixer» puntualizza: «Tuttavia non dobbiamo correre il rischio di sentirci destinatari di un'investitura diretta, e fortemente caratterizzata da un punto di vista emotivo, da parte della gente. Fino ad oggi ci siamo riusciti, credo». E' ancora all'insegna di Bettino Craxi la settimana che si apre a Tangentopoli. E sabato per tre ore i magistrati si sono riuniti per decidere il da farsi. In attesa del ricorso da presentare alla Corte costituzionale che, assicura Borrelli, «non esiste ancora, è in via di elaborazione», i giudici lavorano anche su altro. Soprattutto a San Vittore. Arriva il primo maggio Giuseppe Parrella, ex direttore dell'Assi, Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, tangenti via cavo. Saputo che c'è un mandato di cattura contro di lui lascia il Trentino, dove vive, e si presenta a Palazzo di giustizia. «Sono io», dice. Stretta di mano, e via a San Vittore. Due gli episodi contestati all'ex manager, già finito nei guai per lo scandalo delle «carceri d'oro». Concussione, il reato. Nel primo episodio Parrella è accusato di aver costretto l'amministratore delegato della Manuli cavi (passata poi all'Alcatel), Aldo Occari, a promettere il pagamento di tangenti al 2,5% del valore degli appalti relativi al «Piano Europa» e al «Piano 80», gestiti dall'Asst. Nel mandato di cattura contro Parrella si parla anche di una maxitangente, 400 milioni, versata dalla Alcatel Sace per partecipare agli appalti telefonici del «Piano Start». Un affare da 2500 miliardi. I 400 milioni, secondo la ricostruzione dei magistrati, sono poi finiti su un conto corrente aperto in una banca estera. Anche ieri i giudici sono andati a San Vittore. Ad attenderli Mario Merlo, presi¬ dente di Snamprogetti (gruppo Eni), un mese latitante, da 4 giorni in carcere. «Verrà nuovamente interrogato», dicono solo i difensori di Merlo al termine dell'interrogatorio. Non aggiungono altro. Si è parlato anche dei fondi neri dell'Eni, ammessi da Gabriele Cagliari e da tutti gli altri top manager delle società collegate? E' probabile. Ma sul fronte fondi neri è dalla Svizzera che arriva un secco «stop». Sì, la Ubs di Lugano, la banca del conto Protezione, non svela destinatari e movimenti dei sottoconti legati al «633369» con cui si finanziava il psi. La Ubs copre, forse, la possibilità di risalire ai finanziamenti «in nero» che già nei primi Anni Ottanta l'Eni elargiva ai partiti. Perché tanto riserbo? C'entra il fatto che i vertici della banca hanno avuto incarichi in società collegate all'Eni? La risposta potrebbero darla Karl Janioli, direttore generale dell'Ubs nonché presidente di Idrocarbons Zurigo e amministratore di Snamprogetti Ginevra, Saipem International, Saipem Ag Zurigo, e Nikolaus Senn, presidente del consiglio d'amministrazione di Ubs ed ex presidente di Idrocarbons. E la settimana di Tangentopoli si apre con un processo. Davanti al giudice per le udienze preliminari compaiono oggi gli imputati del filone discariche per cui la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio. Tra loro alcuni nomi eccellenti di Tangentopoli. Apre l'elenco Paolo Berlusconi, costruttore, fratello di Silvio Berlusconi, imputato di violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. E poi ancora, ma accusati di corruzione, Carlo Radice Fossati, de, ex grande moralizzatore a Palazzo Marino, e Andrea Parini, psi, ex segretario regionale del partito. Le udienze davanti al giudice, tutte a porte chiuse, dureranno almeno tre settimane. Buona parte degli imputati, per scongiurare il rinvio a giudizio, hanno infatti chiesto di essere interrogati. Fabio Potetti Il capo della procura di Milano, Saverio Borrelli, e il giudice Antonio Di Pietro
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