Tutte le gang a congresso

Tutte le gang a congresso E' nata un'associazione fra le bande di strada disperate e violente: ora sono «unite per la pace» Tutte le gang a congresso A Los Angeles, armati e sorrìdenti ELOS ANGELES N anno fa Los Angeles era avvolta in una coltre di fumo. Per tre giorni, tra il 29 aprile ed il 1° maggio, intere zone della città ammirata in migliaia di film e telefilm per la bellezza della sua costa e il lusso delle mansions vennero messe a fuoco e saccheggiate. Nelle strade c'erano gli afroamericani, i latini, i coreani, i bianchi, tutti i diseredati. Ma dietro gli episodi più violenti, ad alimentare le fiamme, c'erano loro, i membri delle gang. Si calcola che siano ormài un esercito di 100 mila giovani, che si uccidono per un insulto, per avere cancellato uno dei loro graffiti, per avere messo piede nel territorio «sbagliato». Nel 1992 ci sono stati altri 650 morti. Un anno dopo la rivolta, la loro incomprensibile guerra continua. Ma giovedì, nel primo anniversario, i leader di alcune delle più feroci gang di Los Angeles si sono trovati pacificamente nella sala di un albergo. C'erano Tony «Bogard» e Tyrone «Ty-stick», ex nemici mortali che ora si abbracciano. C'era Diamond, un omaccione «stupito di essere ancora vivo» e c'era T.J., «venti anni ma ne ho viste talmente tante che è come se ne avessi quaranta». E poi c'erano reverendi, attivisti, rivoluzionari, politici, poliziotti in borghese, giornalisti, insegnanti. C'erano anche le mamme, alcune con i figli in braccio, altre con i figli in carcere. «Hands across watts», un'organizzazione che un anno fa ha sponsorizzato un «armistizio» tra le gang, ha deciso di celebrare l'anniversario con un «Town hall meeting» all'insegna del tema: «Gang unite per la pace». Una discussione popolare tra cittadini, ma è stato anche un happening, uno psicodramma. E' uno specchio dei fermenti, delle frustrazioni, della speranza che percorrono non solo Los Angeles, ma le «inner cities» americane devastate dal ciclo perverso di povertà, disoccupazione, droga e mancanza di opportunità. Quando era un leader dei P.J. Watts Crips, «Bogard» ne ha commesse talmente tante che non vuole neanche parlarne. In fondo, potrebbe ancora essere scriminato. Adesso viene visto come un santo. Se negli ultimi 12 mesi, a Watts, non c'è stato più un morto tra le gang lo si deve alla sua organizzazione. Il «miracolo», lo chiamano. E adesso dice: «Dobbiamo fermare gli assassinii, perché stiamo commettendo genocidio, uccidendo la nostra stessa gente. E dobbiamo lavorare per portare la pace a South Central, a Compton, a Inglewood, nei barrios latini». Un manovale sui 30 lamenta che la pace, per lui, non è ancora arrivata. «Possibile che non riesco a visitare in pace mio figlio perché abita in un quartiere dove non posso mettere piede?». Possibile, ma ecco c'è anche IceT, il cantante rap che ha fatto insorgere le associazioni di poliziotti di tutta l'America per la sua canzone «Cop killer». E che adesso sostiene: «E' ora che il governo riconosca Los Angeles per quello che è: una zona di guerra. Adesso ci parlano della Bosnia, ma il genocidio è qui». La presenza di Ice-T porta TRogers a chiedere: «Ma dove sono gli altri, dove sono i rappers che fanno milioni di dollari parlando delle gang e poi non portano niente indietro alla comu- nità?». «Già, dov'è Michael Jackson?», domanda un altro. Ice-T riprende la parola: «E dove sono allora i giocatori di basket, i dentisti, gli avvocati? Il problema è che quando uno è nella posizione in cui siamo noi, i bianchi vogliono che facciamo cose più eleganti, cene di beneficenza per l'Aids ed il cancro. Ma questo è il cancro più grande che c'è». Applausi. Ma ecco, arrivano trafelati due ragazzini. Avranno sì e no 14 anni. Dicono che quelli della Nks hanno minacciato i loro amici, e che alle 2 ci sarà una resa dei conti. Potrebbe scappare del sangue. Sono le 1,40 e Charles non si scompone: «Li conosco bene quelli della Nks. Con una telefonata sistemo tutto». Scompare per 10 minuti, torna e an- nuncia: «Fatta». Altri applausi. André, quattro figli e 17 anni con gli N-hood Crips a Compton, sostiene che la tregua va difesa a tutti i costi. Ma deporre le armi, mai. «C'è sempre il Ku-KluxKlan, il potere bianco che ci opprime. Smettiamo di ucciderci tra di noi, ma non consegniamo le armi», sostiene. Applausi anche per lui, ma dal palco arriva un invito a lasciar perdere «la retorica degli Anni Sessanta» e a proporre risposte concrete. «Basta con le colpe, soluzioni per favore». Già, perché adesso a Watts e in altre «zone di guerra» c'è una fragile pace, che cosa si fa? Dove si va? Sostiene Diamond: ((Abbiamo delle scuole povere che danno una povera educazione a bambini poveri che poi restano in quartieri poveri a perpetuare i problemi. E' un circolo vizioso». Per romperlo c'è chi ricorda che alle ultime elezioni, a South Central, ha votato solo il 9% degli aventi diritto. «Come si fa ad avere potere se non lo usiamo?». Per un altro la risposta è l'educazione: «Quello che i bianchi temono di più - dice - è il giorno in cui metteremo giù le armi e prenderemo i libri». «Ci vogliono investimenti - ribatte Shepp, presidente dell'Associazione manovali'neri -. E qui da noi, non in Russia. Subito. Io nel frattempo sto ricostruendo la città, con le mie mani. Quando posso, pago 15 dollari l'ora. Questo è ciò che conta». Lorenzo So ria Reverendi, attivisti madri e poliziotti: happening e psicodramma a un anno dagli scontri Bianchi e neri, per lo più giovanissimi, i ragazzi delle gang nella loro tenuta di guerra quotidiana Immagini da Los Angeles. A destra, un giovane attivista per i diritti civili

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