L'ansia di giustizia e la misera filosofia della signora «per bene»

L'ansia di giustizia e la misera filosofia della signora «per bene» AL GIORNALE L'ansia di giustizia e la misera filosofia della signora «per bene» Non metabolizziamo le malefatte altrui Da un articolo di Maurizio Tropeano, pubblicato su La Stampa del 1° aprile, si rileva che i politici indagati sono ben 923 variamente distribuiti tra i partiti. Ipotizzando definitivo il dato (e non lo è), supponiamo che solo i due terzi (614) di indagati saranno imputati di reato e che di questi solo i due terzi (408) saranno rinviati a giudizio: saranno instaurati oltre quattrocento procedimenti! E' da prevedere che saranno percorsi tutti i gradi di giudizio previsti dall'ordinamento, appesantiti dalla endemica lentezza della nostra giustizia. Per cui, come la comune esperienza insegna, dovranno trascorrere almeno cinque anni per la conclusione e sempre che i processi decollino subito. Ora il cittadino, la gente come reagirà di fronte ad un contenzioso così vasto e aperto per così lungo tempo durante il quale gli stessi nomi di oggi continueranno ad alimentare le cronache dei media? Dovrà intanto accettare che, nelle more del giudizio di appello, un malversatore, come tale magari condannato in prima istanza, continui a gestire liberamente come prima la sua vita (con pieno diritto) perché la legge, anzi il precetto costituzionale, lo vuole innocente fino alla sentenza definitiva di condanna. La gente lo capirà, lo accetterà razionalmente o, emotivamente, lo rifiuterà, sentendosi, in qualche modo, defraudata nella sua ansiosa domanda di giustizia? C'è il rischio che nel lento e lungo trascorrere del tempo dei processi finirà per metabolizzare gli effetti delle malefatte altrui, cancellando nell'animo senza averne coscienza i confini tra il lecito e l'illecito? Anche quest'ultimo devastante effetto bisognerà mettere in conto ai signori delle tangenti. Andrea Geraci, Savona «Lasciate in pace Chiesa e cristiani» Solo adesso (dopo quasi un mese e mezzo!) mi è caduto sott'occhio l'articolo «Pio XII non è santo, tacque su Hitler» (12 marzo, pagina 12), in cui si legge che il rabbino statunitense Marvin Hier avrebbe contestato il processo di beatificazione di Papa Pacelli, adducendo il motivo accennato nel titolo. A prescindere dalla categorica infondatezza di quelle accuse, che purtroppo non sono una novità, e che d'altra parte sono state smentite da altri nel medesimo articolo, in particolare dall'autorevole voce dello storico Antonio Spinosa; a prescindere da tutto questo, dicevo, vorrei fare un'importante osservazione e una domanda a quel rabbino: lei ovviamente non crede nella religione cristiana, e quindi per lei nessuna importanza possono avere i santi ed i beati; anzi, per la precisione, essi per lei non esistono nemmeno, e le loro anime non godono di particolari privilegi rispetto a quelle di tutti gli altri defunti. Che interesse può dunque lei avere, signor Hier, in merito ai processi di beatificazione avviati dalla Chiesa cattolica? Faccia dunque la cortesia di non compiere intromissioni in faccende nelle quali non ha alcuna competenza specifica, e cerchi di lasciare in pace la Chiesa ed i cristiani! Giuseppe Scolari, Verona Dirà ai figli: I soldi non sono mai troppi Ho seguito quasi tutte le trasmissioni del bravissimo Gad Lerner. Le due più belle, secondo me, quella sull'handicap, con tanti invalidi in sala, e quella sulle carceri, con i carcerati stessi presenti. In quelle persone colpite dall'invalidità, quanta rie- chezza umana, intelligenza, equilibrio! Riordo le ultime parole di un signore gravemente spastisco in carrozzella: «Lasciateci e aiutateci a decidere da noi!». In quegli altri poi (spesso si tratta di sfortunati in partenza) che pagano le loro colpe in carcere, abbiamo scoperto persone umane, responsabili, civili. Ricordo (in contrapposizione) l'affermazione di una signora, ricca e perbene: «I soldi non sono mai troppi». (Tra parentesi: quale educazione darà al figlio?). Prendere il più possibile, sempre di più, approfittare di tutto, i rapporti e i com¬ portamenti motivati e finalizzati al tornaconto: tale la filosofia di vita di certe persone. Magari talvolta un'offerta all'amico parroco per far bella figura e procurarsi un posticino in Paradiso. Ma è una misera filosofia! Una mentalità ristretta, non libera, non umana. Non è per il bene, salvo il proprio bene egoistico «particulare». Una mentalità non assolutamente lontana e contraria all'indegno, indecente, basso modo di intendere la politica e l'amministrazione di quei dirigenti che tutti giustamente, deprechiamo e condanniamo. M. F., Cuneo Lacrime e sangue ma non per tutti Finalmente, per merito di Alfredo Recanatesi e del suo articolo «Non basta dire no al consolidamento» (La Stampa dell'I 1 aprile scorso), abbiamo avuto modo di leggere qualcosa di nuovo e di diverso dal solito «i Bot non si toccano», tanto caro agli ultimi difensori di un sistema incapace di rinnovarsi. Intanto Ciampi dovrebbe spiegare agli italiani perché, nonostante la stretta fiscale partita nel 1992 con Tisi, i condoni, l'aumento di Irpef, bólli e tariffe varie, il debito pubblico non è diminuito di una sola lira, ma continua ad aumentare con un tasso d'incremento pari a due volte e mezzo quello dell'inflazione, sia per capitale che per interessi. Indipendentemente dalle legittime, severe valutazioni che in ambito internazionale vengono dedicate all'argomento, non si può continuare ad ignorare la sperequazione esistente tra la minoranza di quanti fruiscono di rendite finanziarie e tutti gli altri ai quali compete solo l'obbligo di sostenerne gli oneri, con l'unica prospettiva che la perpetuazione della strategia del debito non potrà che aggravare le inevitabili tensioni. Dice bene Recanatesi osservando che se si esclude il consolidamento, dovrà pure prospettarsi una soluzione alternativa, politicamente ed economicamente conveniente. Potrebbe essere giunto il momento di eliminare quella clamorosa iniquità rappresentata dal regime tributario riservato alle rendite finanziarie, tra le quali, in primo piano, sono quelle derivanti dai titoli di Stato, dei quali, peraltro, si ribadisce periodicamente l'intoccabilità. Eppure tale regime viola palesemente sia il principio di uguaglianza dei cittadini per il diverso criterio di tassazione delle suddette rendite, sia l'obbligo di partecipare alla spesa pubblica in ragione della capacità contributiva (artt. 3 e 53 della Costituzione). Ancora più rilevante appare questa discriminazione nel momento in cui la partecipazione al risanamento della dissestata economia nazionale sinonimo di sacrifici di lacrime e di sangue - viene richiesta a tutti, tranne che ai titolari delle rendite in questione, come se costoro fossero cittadini di un'altra Repubblica. Antonio Golia, Napoli Coppi: Ho comprato io la bici di mio fratello Ringrazio per l'articolo di Giorgio Calcagno su La Stampa del 24 aprile su Fausto. Però la prima bicicletta di Fausto l'ho comprata io, una Maino, l'ho pagata L. 400. Livio Coppi Carcare (Savona) Grazie al fratello di Coppi per questa preziosa notizia, da parte di tutti i coppiani; cioè di tutti. [g. Ci] I momenti difficili di Mitva Nell'articolo pubblicato ieri dal titolo «Milva: Come donna ho fallito», per una spiacevole svista non è uscita correttamente la frase «sto passando momenti difficili legati anche alle vicende personali». Me ne scuso con Milva e con i lettori, [p. sap.l

Luoghi citati: Carcare, Fausto, Napoli, Savona, Verona