«Trent'anni di carcere» e Maso ringrazia

Venezia, condanna confermata dopo le parole di pentimento del ragazzo che uccise i genitori Venezia, condanna confermata dopo le parole di pentimento del ragazzo che uccise i genitori «Treni*anni di carcere» e Maso ringrazia «Non chiedo clemenza, il rimorso mi sta torturando» VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Pietro Maso dà un'occhiata al suo avvocato, ha un mezzo sorriso e dice; «Grazie». Il presidente della corte d'assise d'appello, Michele Curato, ha appena letto la sentenza: bastano trent'anni per il ragazzo di Montecchia di Crosara che ha ucciso i genitori, ne bastano ventisei per i suoi complici, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza. In sostanza, la conferma del verdetto dei giudici di primo grado, con la concessione dell'attenuante della seminfermità mentale a tutti e tre. In un'aula quasi vuota, senza clamore, si chiude quest'altro processo che ha riportato le immagini di un massacro. Quello che è comparso davanti ai giudici per l'ultima udienza, dopo lunghe esitazioni, è un Maso diverso. Non più quell'ostinata ostentazione di un'eleganza da giovane rampante di paese, ma un paio di calzoni stazzonati e una giacca blu senza pretese. E un'aria dimessa, da penitente, lo sguardo che sembra farsi timido nell'incontrare quelli dei componenti la corte. Maso si siede accanto al suo difensore, Guariente Guarienti, e aspetta che il presidente gli domandi se ha qualcosa da dichiarare, prima che i giudici si ritirino in camera di consiglio. Poco più in là ci sono i suoi ex compagni, di discoteca e di massacro. Ma lui non li guarda nemmeno, come se il tempo avesse ormai cancellato un sodalizio terribile. Quando finalmente il presidente lo invita a parlare, Pietro Maso si mette in piedi. Dapprima mormora qualcosa, poi alza la voce. «La difficoltà per me è tanta, davanti a voi. Non ho mai avuto il coraggio». Ma viene interrotto, perché di fianco a lui s'è formato uno schieramento di fotografi, di operatori televisivi. Maso guarda come frastornato, finisce nella tempesta dei flash, e Michele Curatolo sospende l'udienza: «Adesso tutti fuori. Si rientrerà in aula quando sarà tornata la calma». Riprende dopo un quarto d'ora, Pietro Maso, senza levare lo sguardo, come se lo dominasse l'umiltà. «Volevo solamente per la prima volta dire i miei sentimenti e cosa veramente provo. Mi vergogno di me stesso e di quello che ho fatto. E non ho mai parlato con nessuno come veramente avrei voluto parlare, ancora prima. Perché anche oggi non mentisca ai miei stessi sentimenti, ho preferito scriverlo, e trovare il coraggio per la prima volta di dirlo, qui davanti a voi. Spero che venga capito, così come io lo provo». Maso si ferma, cava di tasca due fogli riempiti di una scrittura fitta, cosparsa di correzioni: ha scritto in carcere, in queste sere. Le mani gli tremano leg¬ germente, mentre tiene quelle pagine. E legge: «Fino alla vigilia di questo processo, ho sempre detto di no alla richiesta del mio avvocato, che voleva che venissi qui davanti a voi per mostrarvi quello che sono, come realmente sono. Io ho sempre risposto no per la vergogna di quello che ho fatto». Dietro di lui ci sono le sue sorelle, Nadia e Laura, che sembrano sperdute nella grande aula. Nadia piange. Pietro riprende a parlare: «Nelle mie giornate, nei momenti di solitudine e in qualunque altro momento, penso e ripenso a quello che ho fatto. Penso che ho ucciso i miei genitori, penso che ho ucciso le due persone più care al mondo. Penso ai miei genitori, che ho ucciso nella maniera più brutta, più terribile e vergognosa possibile. Queste cose, questi pensieri, queste sofferenze mi hanno obbligato, convincendomi ad aver proprio quel rispetto nei confronti dei miei genitori». Interrompe la lettura, Maso, togliendosi il velo di sudore dalla fronte. «Scusate un attimo», dice. Mostra di avere come un groppo in gola. Poi si schiarisce la voce e va avanti, ripetendo perché s'è deciso a venire davanti ai giudici. «Non per chiedere clemenza, non per chiedere pietà, né per chiedere sconti di pena. Se io merito uno, due o tre ergastoli, non chiedo niente. Io sono venuto qui solo e unicamente per dirvi, contrariamente a quanto scritto sui giornali, che vivo costantemente nel rimorso di quanto ho fatto, e che mi vergogno di quello che ho fatto. E che nel silenzio dei miei tanti momenti di solitudine piango, perché mi mancano proprio quei genitori che ho così barbaramente ucciso. Mi mancano il loro affetto, il loro calore, il loro amore, la loro com¬ pagnia, e tutti quei momenti vissuti assieme a loro, che ricordo con tanta nostalgia». Corre un brivido quando Maso, gli occhi lucidi, racconta del «disperato desiderio» di poterli rivivere, quei momenti trascorsi con la madre, con il padre. Si pensa alla mite Maria Rosa, colma di premure per Pietro, all'ingenuo Antonio, spesso preoccupato per il figlio. A questi coniugi finiti sotto i colpi di spranga, in un assalto per l'eredità. «Sono venuto qui - insiste Maso - soltanto per dire queste cose, per dire che porterò sempre profondamente il rimorso di quello che ho fatto. E' la prima volta che parlo così davanti a qualcuno, dicendo la vergogna per il senso del ridicolo che può sembrare quando dico che amo e rimpiango i miei genitori scomparsi, scomparsi perché... perché io li ho uccisi. Nonostante questo, per l'amore che gli voglio e il rispetto che gli devo, vi dico che li amo. E che mi mancano da morire». Pietro Maso ha finito, si rimette i fogli in tasca. Un silenzio stupefatto, nell'aula. Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza non hanno voglia di parlare, nemmeno quando i giudici si ritirano. Dopo circa tre ore e mezzo, la sentenza. «Io sono soddisfatto - dice l'avvocato Guarienti -. C'era la paura dell'ergastolo, anche se dopo la requisitoria e le richieste del pg ci si poteva aspettare la conferma della condanna di primo grado». Fatti i calcoli, adesso, con gli sconti, Pietro Maso potrebbe essere ammesso al regime di semilibertà all'età di 35 anni. Questo Maso che si mostra pentito. Quel pentimento a lungo invocato dalle sorelle di Pietro. Ora Nadia e Laura non sanno che dire. Stanno in disparte, in silenzio. Nadia ha una smorfia di dolore. Giuliano Marchesini Pietro si mostra commosso e dimesso «Mamma e papà ora mi mancano» A fianco Pietro Maso all'udienza, sotto le sue sorelle mentre ascoltano il suo intervento prima della sentenza [foto errebq

Luoghi citati: Montecchia Di Crosara, Venezia