Nelle grotte più vecchie del mondo

SPELEOLOGIA SPELEOLOGIA Nelle grotte più vecchie del mondo Esploratori italiani al lavoro in Venezuela Et rientrata in Italia la spedizione speleologica nazionale «Tepuy 93» che ha studiato granai grotte nelle rocce quarzitiche degli altipiani amazzonici venezuelani. Grotte in rocce quarzitiche? Nel Monte Bianco, per esempio, non ci sono grotte. E neanche nel Rosa, o nel K2. Le loro rocce non sono carsificabili, cioè non sono solubili nell'acqua. A differenza dei calcari, quelle masse di carbonati di calcio e di magnesio variamente metamorfizzati che formano i grandi e piccoli massicci pieni di grotte (Marguareis, Grigna, Canin, Alpi Apuane...) che si sciolgono lentamente e tornano al mare. Un torrente che proviene dai calcari delle nostre montagne porta via 0,1 -0,2 grammi di sali in ogni litro d'acqua sottraendoli al monte. Dalle precipitazioni è facile vedere che questo significa che, in media, da ogni chilometro quadrato di montagna calcarea viene sottratto un volume di roccia di 0,5 centimetri cubi al secondo, una decina di metri cubi ogni anno. Da dove viene asportata questa roccia? Dalle superfici esterne, ovviamente, ma anche da quelje interne, l'altra faccia del monte visibile, dove si forma il mondo sotterraneo che esplorano gli speleologi. Il fatto è che, da un punto di vista chimico, anche le rocce delle montagne «non carsificabili» sono solubili: pochissimo, ma lo sono. La silice (biossido di silicio), ad esempio, il costituente principale delle grandi montagne del pianeta, riesce a dissolversi in acqua in ragione di frazioni di milligrammo per litro, centinaia di volte meno dei calcari: ma questo significa che se a una montagna silicica si dà tempo a sufficienza anche in essa si formeranno grotte. In Sud America questo tempo è stato concesso dalla estrema quiete tettonica delle sue regioni centro-orientali. Nel Venezuela meridionale affiora un basamento roccioso (Scudo della Guayana) vecchio di più di tre miliardi di anni; sopra di esso fiumi e mari immemorabili hanno deposto migliaia di metri di rocce quarzitiche, che poi sono state erose e hanno lasciato il paesaggio straordinario che possiamo vedere adesso: vasti altopiani che si rilevano dalla pianura, isolati da essa da pareti che arrivano a 1500 metri. In cima al maggiore (l'Auyantepuy, 700 chilometri qua¬ « drati) scorre un fiume che poi, cadendone, forma la più alta cascata del mondo, il Salto Angui. Si tratta di ecosistemi quasi isolati dalla pianura e che hanno per questo un enorme interesse biologico. E ci sono grotte. Già gli speleologi venezuelani si erano accorti della presenza di grandi pozzi in certe zone dell'altopiano, e ne avevano disceso uno (la Sima Aonda) vastissimo, lungo 400 metri, largo una ottantina e profondo quasi trecento. Ma l'esplorazione dell'altopiano è molto problematica: l'erosione ha formato zone che sono un intrico di pozzi, anche profondissimi, e anche la vegetazione è spesso un intrico invalicabile. L'unico mezzo di spostamento è l'elicottero. Per questo le ricognizioni in genere sono state leggere e sono arrivate solo a sfiorare la vastità del problema speleologico di quelle aree. La spedizione «Tepuy 93» ha potuto (e dovuto) operare più massicciamente perchè doveva realizzare un documento televisivo. Gli scopi della spedizione erano in linea con quelle sinora fatte dallo stesso gruppo di esploratori in altre regioni del mondo: una descrizione non tanto «speleologica» quanto geografica, puntando a descrivere e inquadrare le grotte nel contesto in cui sono, e dandone descrizioni multidisciplinari. Ne hanno fatto parte 18 esploratori italiani e 5 venezuelani, divisi in tre zone della parte settentrionale dell'Auyantepuy. I contatti fra i campi erano limitati alle radio e ai periodi di volo con l'elicottero. Durante i venti giorni di campo le tre zone sono state finalmente inquadrate con cura. Un grosso lavoro è stata la cartografia delle zone, prima inesistente a scale dettagliate. . Sono state discese moltissime grotte (per un totale di oltre due chilometri di dislivello e cinque di sviluppo) iniziando a chiarire le modalità del trasporto ipogeo dell'acqua in quelle zone. Le gallerie profonde sono uguali a quelle che si formano nei calcari e dunque, per quanto detto prima, centinaia di volte più antiche. La maggiore delle grotte scoperte ed esplorate (battezzata «Rio Pintado») risulta attualmente la maggiore del mondo nelle quarziti: 360 metri di profondità e 2,5 chilometri di gallerie sviluppate su più piani. I tre geologi presenti hanno studiato la solubilizzazione della silice nei numerosi torrenti interni ed esterni al variare delle precipitazioni: che, per inciso, nell'ultima parte del campo sono state tanto intense da creare gravissimi problemi di sicurezza in grotta. I tre medici della spedizione hanno invece condotto studi sull'impatto fisiologico delle discese in grotta (rilevazione continua di elettrocardiogramma e pressione arteriosa). La parte biologica si è limitata a prelievi, poi consegnati a specialisti del campo. In coordinamento con ricercatori del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino sono state fatte numerose catture di insetti sia esterni che interni, attualmente sotto studio, e in collaborazione col Centro Ricerche Lepetit sono stati prelevati campioni di terriccio a varie profondità nelle grotte delle varie zone per studiare le popolazioni microbiche dei suoli. Giovanni Badino La tipica struttura dei "tepuy", vasti altipiani creati dall'erosione, che si ergono per molte centinaia di metri sul livello della pianura amazzonica

Persone citate: Angui, Canin, Giovanni Badino, Lepetit

Luoghi citati: Italia, Sud America, Torino, Venezuela