Se Placido è mafioso (con scrupoli)neppure Villaggio gli tiene testa di Alessandra Comazzi

r TIVÙ' & TIVÙ' Se Placido è mafioso (con scrupoli) neppure Villaggio gli tiene testa MICHELE Placido batte Paolo Villaggio 6 milioni 697 mila contro 3 milioni 559 mila. Si scontravano, l'altra sera in tv, due appuntamenti molto reclamizzati: Raidue trasmetteva «Un uomo di rispetto», ennesima storia di mafia, Placido protagonista; Canale 5 trasmetteva «Seratissima», condotta da Enrica Bonaccorti, un programma dedicato ogni volta a un ospite diverso, sempre di riguardo e sempre profumatamente pagato: primo della lista, Villaggio, affezionato cultore del genere. Neppure un attore come lui (e neppure adesso che si aspetta il suo ultimo film, quello in cui morirà Fantozzi) è riuscito a distaccare il pubblico televisivo dalla «fiction» mafiosa. «Un uomo di rispetto» terminerà domani, con la completa crisi del protagonista. Michele Placido questa volta non combatte la mafia, com'era sua abitudine nella «Piovra» (il commissario Cattaui, ricordate?, crivellato di colpi davanti alla sua fidanzata) e come tornerà a fare nel film (regista Giuseppe Ferrara) in cui sarà il giudice Falcone. Questa volta l'attore, che si chiama Giovanni Bonivento detto Nino, si trova dall'altra parte della barricata, è un mafioso. Ma non un mafioso convinto, un leader: è uno che sembra agire in ipnosi, quasi facesse parte dell'organizzazione criminale per caso; uno che si fa degli scrupoli e che, alla fine, si ribella. Nino Bonivento è l'autista di un mafioso che viene ucciso con una parte dei suoi uomini. Lui si trova, sopravvissuto per caso, dalla parte sbagliata. Lo cercano, si nasconde, si presenta a uno dei capi vincitori, rientra in gioco, deve uccidere. Non va alla guerra con entusiasmo: è un buon figliuolo, porta i genitori al ristorante, trova anche il tempo di sposarsi. La dolce e innamorata fanciulla non sa niente della sua vera attività, e quando viene interrogata per ore dalla polizia sul lavoro del marito, ha una crisi e perde il bambino che aspettava. Non vuol più tornare con l'uomo che l'ha ingannata. Lui dice: «Temevo di perderti. Credevo che qualcosa avessi capito, che ti andasse bene». «Non avevo capito, e adesso non mi va più bene». Fine di un amore. Ma morto un amore, se ne fa un altro, come vedremo nella prossima puntata. Il regista dello sceneggiato è Damiano Damiani, l'autore della proto-Piovra, la capostipite, quella dell'84. Già allora a Damiani interessava raccontare non soltanto fatti, ma anche personaggi. Disegnarne la psicologia, vedere come sono fatti dentro. In questo «Uomo di rispetto», la figura del protagonista non è tagliata con l'accetta, è invece dipinta con le pennellate di un quadro espressionista. Sì che il mafioso Bonivento non è fiero del suo ruolo, e matura in sé una dolente opposizione. C'è però qualcosa che non va: forse c'è troppo poco ritmo per un film d'azione, poco approfondimento per un film psicologico. Un oggetto è unificante: il telefonino. Nel film ha un ruolo importantissimo, simbolico: accomuna la vecchia e la nuova mafia, è l'emblema della velocità delle comunicazioni, rivoluzionaria anche per i criminali. Alessandra Comazzi — I zzi I