Un odio e amore lungo quarantanni di Pietro Nenni

Un odio e amore lungo quarantanni Un odio e amore lungo quarantanni L'attrazione fatale tra Bottegone e Palazzo Chigi IL TRAMONTO DEL FATTORE «K» SENZA entusiasmo, senza lacrime, senza cortei, senza bandiere. Deserto il balcone delle Botteghe Oscure, e sotto, per strada, passano gli autobus e le macchine, come sempre. Il «fattore K», chi se lo ricorda più. Malamente, timidamente, con tempi e modi che è difficile giudicare decenti, però è pur sempre l'ex pei che va al governo. No, non ci va. Invece sì che ci va. No. Sì. No, solo alcuni ministri. Ecco, appunto, i ministri di un governo con il pds. Forse non vale neanche la pena di farla troppo lunga. Tre ministeri, forse quattro perché Spaventa non è iscritto... E tuttavia pare di ricordare che il nome di Spaventa, «l'eterno esterno», già se lo sussurravano di notte, per strada, Luciano Barca, messo di Berlinguer, e Tullio Ancora, ambasciatore moroteo. Era il 15 marzo del 1978, i comunisti trasmettevano in quel modo un po' avventuroso i loro ultimi colpi di lima alla lista che Andreotti avrebbe presentato a Leone. L'ambasciatore de prendeva appunti appoggiato su un'automobile. Inutile dire che di quegli ultimissimi suggerimenti, la de non tenne alcun conto. Dopo 55 giorni di ansia, quella Renault rossa fatta simbolicamente ritrovare a metà strada fra piazza del Gesù e il Bottegone stava a significare che la solidarietà nazionale doveva finire. Che ieri sia ricominciato qualcosa del genere non si può dire. Oggi Occhetto dovrà pur spiegare; ieri, fino all'ultimo, non si è capito bene. Ingrao, a sinistra, dirà il contrario. Macaluso, da destra, un altro tipo di contrario. C'è solo da sperare che D'Alema, che è parso d'accordo solo nel prendere tempo, non si distingua pure lui. Come dimostra l'evidentissima Babele, il centralismo democratico è ormai bello e dimenticato. E allora forse oggi vale la pena di ricordare che anche per via di quell'eredità teorica e pratica del leninismo, che quasi nessun non comunista capiva bene cosa fosse, per molti anni il pei non è potuto andare al governo. L'altro impedimento - ma per la verità ne sorgevano sempre di nuovi, alla fine Intuii s'era attaccato a Togliatti e non lo mollava più - riguardava le questioni internazionali. L'Urss. Che oggi non c'è più. Così come l'afa di questa serata romana senza stelle ha soffocato fino a far svanire - ed è un'altra mezza novità che l'ingrasso triste e privo di gloria del pds nel governo non riesce ad annullare - quella sorta di dottrina su cui si sono esercitati per una trentina d'anni politici e politologi: la «conventio ad excludendum». Già il nome suona remoto ai post-comunisti. Come se lo immaginavano diverso, comunque, questo giorno. Il ritorno al governo dopo 46 anni. Un Berlinguer al potere, e via, quel che conta è il cognome e ciò che evoca. Pazienza se Luigi è solo un cugino (e fratello dell'ispiratore di Cossiga). Pazienza se alla fine degli Anni Sessanta rasentò l'eresia del manifesto pubblicandovi certe «Tesi sulla scuola» che fecero storcere il naso a più di un professore delle Botteghe Oscure per la loro chiara impostazione maoista. Dunque, il ministro Berlinguer (Luigi, a suo tempo cripto-maoista). E per un secondo ci si può perfino illudere di risentire il sonoro di certi slogan (e neppure dei più trascinanti). Dicevano: «E' ora/ è ora/ è ora di cambiare/ il picei/ de-ve-go-ver-na-re!». Governare, appunto. Eccolo, più o meno, quel che resta del pei. Il sogno del governo. Agognato e odiato ormai da tre generazioni, da tre «leve» di. compagni, come si diceva. E c'è da credere che ognuna se lo fosse rappresentato a suo modo, questo giorno. L'evento conclusivo detta lotta del proletariato, la presa del potere, come pure, nel lessico comunista degli Anni Settanta, la «partecipazione delle masse alla direzione politica del Paese». A cominciare da quelli che battevano le mani al Togliatti della campagna elettorale del 18 aprile, il Togliatti mica tanto rassicurante che facendo uno strappo al suo autocompiaciutissimo stile tutto sommato borghese e professorale annuncia di essersi fatto risuolare le scarpe per prendere meglio a calci nel sedere De Gasperi. E a tanto perfezionismo pedatorio faceva eco il popolo degli attivisti: «E vattene/ e vattene/ odioso cancelliere/ se non ti levi subito/ son calci nel sedere». Questa, più o meno, la partenza. Che si incarognisce, dopo la sconfitta, con una rabbiosa voglia di rivincita, dalle armi dissotterrate qui e là, dopo l'attentato del 14 luglio. E poi la guerra fredda, e il governo diventa sempre più lontano, irraggiungibile, la rivoluzione o la via democrati¬ ca come bivio irrisolto, a lungo. Quindi la lotta per la sopravvivenza del partito, l'amore per il pei negli anni duri della repressione che s'intreccia con certe torve speranze da 1956. Quando, saputo che i carri armati sovietici erano entrati a Budapest, si sentono certi vecchi compagni sospirare: «Ancora un po' di chilometri, e arrivano qui da noi...». Neppure un po' d'invidia per i cugini socialisti che di lì a qualche anno entravano nella stanza dei bottoni. Un po' d'orgoglio, semmai, per essere riusciti a resistere all'isolamento. E un po' anche per la paura che il pei continua a ispirare. Paura metaforica e reale. «Noi non voghamo sposare Nenni - sintetizzava Fanfani - e poi, la sera, trovarci Togliatti in camera da letto». L'alcova del potere i comunisti l'avrebbero espugnata di forza (democraticamente) anche adesso che Togliatti non c'era più. Con Longo, e poi con quel sardo taciturno che, lanciato il compromesso storico, portò il pei alle soglie del potere: senza però riuscire mai a forzarle. E alla solidarietà nazionale, inevitabilmente, si ritorna. A Natta che in un sussulto di ripensamento, prima di farsi ingannare da chissà quale trovata aridreottiana solennizza l'occa¬ sione con il latino: «Edam nunc regredì possumus», ci possiamo ancora pensare. La solidarietà nazionale con le promesse mancate, i rinvìi, le stranezze programmatiche, le giunte aperte, gh esterni mascherati da comunisti e i comunisti mascherati da esterni. La politica dei sacrifici, Lama e la linea dell'Eur, Pecchioli che sul terrorismo faceva concorrenza al ministro dell'Interno, i giovani della Fgci che non potevano avvicinare cortei extraparlamentari senza essere presi a sputacchi (e anche a randellate) e un bel giorno saltava su l'onorevole Galloni e tutto tranquillo ti spiegava che la politica di unità nazionale era una gran furbata perché serviva a «logorare» i comunisti. Furbi pure loro, comunque, i comunisti. Tutto a un tratto, dopo aver fatto, anzi dopo aver subito qualsiasi cosa pur di andare al governo, quello stesso governo diventava una cosa bruttissima e neanche a pensarci, mai, mai, mai, e mai, «con la de - sosteneva Natta - neanche un caffè». Per poi recuperarlo ed esorcizzarlo, quel concetto, nella pagliacciata occhettiana del governo-ombra. Con tanti ministri che facevano finta, facevano fiction. Filippo Ceccarelli Berlinguer voleva Spaventa nel governo Andreotti del 78 La de fece quadrato e disse no Sono caduti i vecchi ostacoli: il centralismo democratico e l'ombra dell'orso sovietico Una foto delì'84: Berlinguer con, a sinistra. Tato e Natta sfoggia «l'Unita» che annuncia: Eccoci. Nelle foto piccole: sopra Macaluso, accanto: De Gasperi e Lama A sinistra la Renault rossa con il corpo di Moro, sopra Galloni Nelle foto piccole a destra: Luciano Barca e Armando Cossutta, sotto Pietro Nenni insieme a Palmiro Togliatti

Luoghi citati: Budapest, Urss