Verona tre storie d'esilio all'ultima frontiera di Stefano Reggiani

Verona, tre storie d'esilio all'ultima frontiera Con il «Premio Stefano Reggiani» si conclude domani la Settimana internazionale cinematografica Verona, tre storie d'esilio all'ultima frontiera Benjamin suicida nel '40, un lavoratore nero, un terrorista basco VERONA DAL NOSTRO INVIATO Sala affollata, moltissimi ragazzi, domande agli autori, discussioni che si prolungano dopo l'ultimo film nell'aria leggera delle notti di primavera: dedicata al nuovo cinema spagnolo, la ventiquattresima Settimana internazionale cinematografica diretta da Pietro Barzisa è un successo di pubblico, e l'appagata fame di film differenti, di immagini diverse da quelle televisive, suscita tra gli spettatori una partecipazione inconsueta, calda. Tutti s'incuriosiscono a veder recitare in coppia gli attori spagnoli più cosmopoliti, Angela Molina e Antonio Banderas, in «Una mujer bajo la lluvia» (Una donna sotto la pioggia) di Gerardo Vera. Tutti ridono ascoltando la piccante Reyes Moleres, nella commedia «Siempre felices» (Sempre felici) di Pedro Pinzolas, usare termini anomali per insolentire le amiche: «Utopi¬ ca!», «Neorealista!», «Repubblicana!». Tutti hanno uno scatto quando, nel solito «noir» elegante «Estación Central» (Stazione centrale) di Josep Anton Salgot, sentono una bambina di dieci anni col rossetto proporre ai viaggiatori notturni «Vuoi che te lo succhi?», o vedono il poliziotto violento massacrare di botte il fotografo Feodor Atkine. Tutti sembrano toccati da tre diverse storie d'esilio, passate e presenti, d'un grande intellettuale ebreo, d'un giovane lavoratore nero, d'un terrorista basco. «La ùltima frontera» (L'ultima frontiera) del catalano quarantenne Manuel Cussó-Ferrer racconta i giorni estremi della vita di Walter Benjamin in uno stile efficace che mescola fiction, testimonianze, citazioni, documenti. Il filosofo e critico letterario berlinese autore di studi sul dramma barocco tedesco, de «L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica», della raccolta di scritti teorici e critici «Angelus Novus», del testo autobiografico «Infanzia berlinese», si uccise a quarantotto anni. Per sottrarsi alle persecuzioni antisemite dei nazisti era emigrato a Parigi; quando la Francia venne occupata dai tedeschi, fuggì passando a piedi con altri esuli sui Pirenei il confine francospagnolo, arrivò a Port Baiou; quando seppe che le autorità spagnole rifiutavano il visto d'ingresso e che avrebbero riconsegnato il gruppo alla polizia francese si tolse la vita, il 26 settembre 1940. Il film rievoca quella lunga, dura marcia sui monti e, attraverso testimonianze, momenti della vita di Benjamin: la gemale fotografa Giséle Freund, che lo conobbe a Parigi nel 1934, lo fotografò e lo ebbe come compagno bisettimanale nel gioco degli scacchi, ricorda che era nato sotto Saturno, parlava e camminava lentamente, portava per anni lo stesso vestito; il critico d'arte francese Jean Selz lo ricorda nel 1932 in una Ibiza ancora senza turisti, «appena qualche tedesco, qualche americano»; Francesca Neri interpreta Asja Lacis, la donna incontrata nel 1924 a Capri e amata da Benjamin, interpretato da 0.uim Lecina. L'esilio europeo dei lavoratori africani immigrati è uno dei problemi contemporanei più strazianti: speriamo che Michele Placido, regista del melodrammatico «Pummarò», non veda mai «Las cartas de Alou» (Le lettere di Alou) di Montxo Armendariz, protagonista Mulie Jarju. Ci sta¬ rebbe male: qui il problema è affrontato dall'autore quarantenne senza alcuna retorica, con semplicità quotidiana asciutta e a volte scherzosa, e come irrisolvibile: l'africano in Spagna non si integra e neppure torna al proprio Paese, semplicemente continuerà l'andirivieni provvisorio, il lavoro provvisorio, la sradicata vita provvisoria. L'esilio sociopolitico d'un ex terrorista basco che torna nella sua cittadina dopo cinque anni di prigione è al centro di «Ander età Yul» della trentenne Ana Diez, protagonista Miguel Munàrriz. La sua casa è vuota, la città è cambiata, fatica a parlare con gli altri, ma ritrova l'amico insieme col quale era stato seminarista, ritrova le armi d'un tempo sepolte nel bosco, ritrova una furia: con l'amico uccide gli spacciatori di droga «per mostrare che siamo noi la vera polizia, il vero Stato, diverso da questa merda che ci governa», e trova la morte. Laconico, lirico, accompagnato dal suono del pianoforte e dai suoni delle manifestazioni politiche nelle strade, il film comunica bene il sentimento così contemporaneo d'estraneità, di lontananza, d'esuio: ed è tra le opere in concorso per il «Premio Stefano Reggiani», intitolato al mai dimenticato critico di cinema de «La Stampa» scomparso nel 1989, che la giuria assegnerà domani a conclusione della Settimana di Verona. Lietta Tornabuoni Folla, moltissimi ragazzi, fame di un cinema diverso Una scena di «Las cartas de Alou» di Montxo Armendariz, il film sull'esilio europeo dei lavoratori africani immigrati

Luoghi citati: Capri, Francia, Parigi, Spagna, Verona