Arresti domiciliari al manager Iveco di Susanna Marzolla

Arresti domiciliari al manager Iveco Arresti domiciliari al manager Iveco Rinviato all'ultimo momento il ritorno di Garuzzo MILANO. E' durata poco più di 24 ore la permanenza in carcere di Massimo Aimetti, direttore finanziario dell'Iveco. Il manager Fiat, tornato lunedì in Italia, ha lasciato San Vittore ieri alle tre: è salito su un'auto dove lo aspettava un familiare ed è subito partito verso la sua abitazione, dove deve restare agli arresti domiciliari. Apparentemente disteso, non ha voluto fare dichiarazioni. Il gip Ghitti aveva deciso la sua scarcerazione fin da ieri mattina, confermando così che la scelta di far dormire Aimetti a San Vittore era dovuta a quella polemica sempre più palese che lo divide dalla procura. Poi, però, ha deciso proprio per quello che chiedevano i pubblici ministeri, e cioè gli arresti domiciliari, anziché la libertà, come invece aveva sollecitato l'avvocato di Aimetti. Questa decisione sarebbe in relazione ad una «discrepanza», in particolare sulle date, tra le dichiarazioni di Aimetti e quelle del concessionario Luigi Caprotti: per chiarire la questione i due saranno probabilmente messi a confronto. Aimetti resta per ora l'unico dei manager Fiat ad essere rientrato, ma si è saputo che fin da ieri non avrebbe dovuto essere so- lo: alle 15 Giorgio Garuzzo, direttore centrale della Fiat, era infatti atteso nell'ufficio di Ghitti (non sarebbe finito a San Vittore perché aveva chiesto di essere sentito prima ancora che fosse spiccato il mandato di cattura nei suoi confonti). Invece, 1'«appuntamento» è saltato. Cos'è successo? «Esiste un complesso di ragioni per cui Garuzzo non è potuto rientrare oggi in Italia - dice il suo avvocato, Cesare Pedrazzi - ma, per rispetto verso i magistrati e verso il mio cliente non posso entrare nei particolari». Ma di questo ritardo il legale è tutt'altro che contento: «E' nostro interesse che questa situazione si sblocchi al più presto». A quanto, si è appreso, Garuzzo aveva preavvertito del suo arrivo ma la procura avrebbe fatto capire che, prima di interrogarlo, aveva bisogno di fare ulteriori indagini; d gip, al contrario, era disponibile. E cosi Pedrazzi si è trovato a far la spola tra l'ufficio di Ghitti e quello del pm di Pietro per capire quando poteva «sbloccarsi» l'intoppo: tra qualche gior¬ no, sarebbe stata la risposta della procura. Il legale non vuole criticare i magistrati: «Il loro è un atteggiamento corretto, capisco che abbiano i loro problemi. Ma per noi quello che conta è chiarire al più presto la situazione». Intanto un altro manager Fiat è ricomparso ieri a Palazzo di giustizia: Enzo Papi, ex amministratore delegato di Cogefar-Impresit. Interrogato, nel quadro di una «risistemazione» delle indagini sul gruppo Fiat dopo il memoriale di Romiti, ha detto ai magistrati che Antonio Mosconi era al corrente delle tangenti. Una dichiarazione che va letta in risposta a quanto Mosconi, ex vicepresidente di Cogefar-Impresit, aveva detto ai magistrati: che cioè lui si era sempre opposto all'acquisizione della Cogefar, perché inserita nel sistema delle tangenti; che era stato sempre più emarginato mentre «Papi si impegnava in una corsa alle commesse». Niente di vero, ha ribattuto Papi, sostenendo che quando arrivò al vertice di Fiat Impresit (la società che acquisì la Cogefar), nell'88, sarebbe stato Mosconi a consegnargli un elenco con le tangenti concordate. Susanna Marzolla

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