«Sì mi hanno tradito proprio tutti»

Lo sfogo di Andreotti dopo il voto: «Che disgusto. Mi fiderò soltanto della mia famiglia» Lo sfogo di Andreotti dopo il voto: «Che disgusto. Mi fiderò soltanto della mia famiglia» «Sì, mi hanno tradito proprio tutti» «E adesso spero che almeno mi giudichino in fretta» il giorno più' lungo LROMA A cosa più grave, quella che mi ha più colpito e rattristato è stato il fatto che all'inizio tutti facevano a gara per dirmi quanto fossero risibili, incredibili, insostenibili queste accuse. Io li ascoltavo, chiedevo: ma davvero vi sembrano cose che non meritano neppure risposta? E allora tutti in coro mi rassicuravano: non devi preoccuparti assolutamente, non devi far vedere che li prendi sul serio, sono tutte sciocchezze...». Il senatore Giulio Andreotti ha dormito profondamente ieri pomeriggio. La sua casa di corso Vittorio risuonava di grida infantili perché tutta la famiglia si era riunita intorno al nonno. Un nipotino gli salta al collo prima di uscire: «Ciao nonno!». E il nonno, divincolandosi dolcemente, alla banale domanda: «Come va?», stringendosi nelle spalle con l'aria un po' mesta che non gli conoscevamo, risponde: «Così». Ho letto sulle agenzie che lei non dorme più la notte. Recupera nel pomerìggio? «Be', un piccolo riposino». Adesso, col senno di poi e visto come è andata a finire, non rimpiange di aver mancato all'appuntamento con il bel gesto? «Quale bel gesto?». Chiedere, anzi esigere l'autorizzazione a procedere. «Ma, guardi. Questa è una storia davvero singolare. Fino a poco tempo fa, di fronte a questa valanga di assurdità, infamie e assolute sciocchezze che venivano scaricate contro di me, tutti quanti mi suggerivano di...». Mi scusi. Quando lei dice "tutti quanti", chi intende? «Tutti, gli amici di partito e i colleghi del Parlamento, coloro che sotto diverse bandiere mi conoscono e trattano con me da decenni...». E la sconsigliavano di chiedere l'autorizzazione a procedere? «Sì, lo facevano venendomi incontro e assicurandomi che consideravano tutta quella robaccia come un cumulo di fesserie, un castello di macabre scempiaggini che non meritavano risposta, che non sarebbero mai state prese sul serio da nessuna persona con la testa sulle spalle...». E così? «Così io, pensando che a quelle parole, a quei gesti, a quelle valutazioni, seguissero comportamenti coerenti, e sapendo - come soltanto io posso sapere quanto grottesche e false fossero tutte quelle accuse, ho pensato: be', va bene. Mi sembra che la cosa più saggia da fare sia non dare importanza, lasciar correre...». Perché, lei dice, sembrava non crederci nessuno... «Ecco, si è visto. Da un certo momento, quelle versioni private, personali di dimostrarmi non tanto solidarietà, quanto la certezza della incredibilità delle accuse, si è tradotto in questa accusa politica: dovevi subito consegnarti ai giudici». Insomma, liei accusa chi l'ha mal consigliata. «No,, io non accuso,, nessuno.. Spiego per quale motivo io avessi considerato del tutto sproporzionato un atteggiamento, quello di chiedere l'autorizzazione, che per avere senso doveva avere come presupposto almeno la lontana credibilità delle accuse. Mi dicevano tutti che erano incredibili e io infatti ero d'accordo. Così stanno le cose». Ma scusi, senatore: da un certo momento in poi si è visto che la faccenda si faceva molto più grave e strabiliante di quanto nessuno potesse credere. Sarà ben arrivato il momento in cui tanta soave lievità anche a lei sarà sembrata inopportuna. «Non è esatto neppure questo. Anzi, direi che è vero il contrario: più le accuse diventavano terribili, più tutti mi assicuravano che erano per ciò stesso incredibili. E quindi aggiungevano: meglio, lascia che aumentino la dose dell'assurdità, più scemenze e falsità accumulano, più si capirà che è un mucchio di invenzioni. E anzi, facevano tutti vedere che ne ridevano come di una barzelletta, il bacio di Riina, i summit mafiosi... E più gli altri ridevano, più io pensavo di non aver motivo di dar presti- gio ai miei accusatori». Ma adesso siamo davanti a un'autorizzazione a procedere. «Sì. Questo per me vuole soltanto dire che ci vorrà un po' più di tempo. Sarà un cammino lungo, ma spero proprio che non sia lunghissimo, visto che i processi possono durare anche degli anni. Sarebbe mostruoso dover trascinare una tale vicenda per degli anni, un incubo». Lei stasera è turbato. Ha un'altra voce, un'altra espressione. Ha scritto sul suo «bloc notes» che soffre d'insonnia... «Ma... ma io veramente sono molto turbato. Se vuole, molto sofferente. Io avrei considerato legittimo ogni attacco politico nei miei confronti per tutto quello che ho fatto durante la mia carriera politica e di governo. Avrei accettato ogni accusa che riguardasse la mia attività di ministro degli Esteri, di presidente del Consiglio, ogni mio atto, decreto... Ma la mafia! Propro la mafia... A me! Guardi che ci vuole una buona dose di improntitudine. Se c'è una cosa in cui mi sono impegnato perfino oltre certi limiti di liceità, è proprio la lotta alla mafia. Se non era per me, i condannati del maxiprocesso se ne erano andati tutti a casa, mi scusi! Altro che bacio di Riina e altre frescacce da film comico dell'orrore...». Tuttavia, anche su questa storia dei decreti per rispe¬ dire in carcere i mafiosi, lei sa che Martelli l'accusa di averli più subiti che promossi... «Martelli che c'entra? Il primo decreto con cui rispedii in galera gli uomini di Cosa Nostra lo feci con Giuliano Vassalli. Martelli ancora non c'era, alla Giustizia. Comunque, questi sono atti che coinvolgono tutto il governo, non sono neppure cose soltanto mie, però lei capisce che c'è qualcosa di mostruoso e di paradossale in questa vicenda che fa di me, il presidente del Consiglio sotto il quale alla mafia sono state assestate le mazzate più decise e vincenti, l'amico della mafia. Guardi, io sono addolorato, ma anche sbalordito e sono preoccupato per quello che tutto questo può significare». E sta male. Lei sembra aver perso l'imperturbabilità andreottiana. E' così? «Certamente non sto bene. Comunque, va be', adesso pazienza: la vita è fatta di giorni buoni e di giorni cattivi e quindi bisogna affrontare anche queste vicende. Avrò più tempo per guardare i miei figli, i miei nipoti, pregare con minor fretta e riflettere». Le rifaccio la domanda iniziale. Lei ha spiegato i motivi per cui non considerava opportuno chiedere l'auto¬ rizzazione a procedere. Tuttavia, secondo la Giunta, va concessa. Dunque, le domando se, almeno con il senno di poi, non ritiene adesso di aver fatto un grave errore. «Ma no, ma no... Io ho presentato documenti che mi sembrano inoppugnabili, a cominciare dalla memoria che è stata redatta in maniera esauriente, tutta sui dati di fatto: sia il mio avvocato, sia tutti coloro ai quali l'ho fatta vedere hanno convenuto che c'era un fumus persecutionis grande come una casa e quindi secondo loro doveva essere assolutamente battuta quella strada lì...». Quella di negare l'autorizzazione? «Sì, per manifesta e documentata infondatezza». Lo pensa ancora? «Ripeto: io ho fatto quello che persone esperte della materia mi hanno convinto a fare. Oggi che posso dire? Posso dire che anche a me sembrava che il mio fosse un caso tipico da non-autorizzazione. Forse adesso è vero: è meglio chiarire tutto senza che nessuno possa poi dire che hai delle coperture politiche». Saprebbe dire perché secondo lei i pentiti vorrebbero incastrarla? «Adesso no. Più in là, forse. Magari fra qualche tempo... un giorno poi ne parliano». Che sensazione prova? «Un disgusto morale. Credo che lo provino anche tutti coloro che hanno lavorato con me. Lei ricordi una cosa: senza di me, senza il mio governo, il maxiprocesso se ne sarebbe uscito in burletta». Senatore, nella sua lunga vita di uomo politico le sarà capitato, almeno per sbaglio, per imprudenza, di fare un favore, anche un piccolo favore, a un mafioso. «Mai. Né un favore, né un sorriso». Di chi si fiderà da adesso in poi? «Dei miei. Della mia famiglia, delle persone che sono qui. Voglio sentire che cosa mi consigliano e riflettere». Il senatore a vita Giulio Andreotti ci accomiata e ci accorgiamo che è cambiato: l'uomo che per anni ha retto ogni colpo, ogni accusa, ogni pettegolezzo senza quasi batter ciglio, cavandosela magari con una delle sue lepide battute, o con uno dei suoi celebri componimenti ciceroniani, sembra veramente invecchiato. Ma non tanto fisicamente, quanto piuttosto nell'animo: la botta è stata forte e, se dobbiamo credergli, arrivata a freddo. Lo saluto dicendogli: le auguro di poter far valere le sue ragioni e la sua verità in modo netto e chiaro. Mi risponde: «Io ho solo paura del tempo che passa. Non voglio restare appeso a queste accuse per anni. Questo non possono farmelo. Vogliono il processo? Benissimo. Però lo voglio subito». Paolo Guzza riti «Tutti mi dicevano: macché processo sono fesserie, macabre scempiaggini» L'ex ministro Martelli il senatore Andreotti, e sopra l'ex ministro Vassalli A lato Salvo Lima

Persone citate: Andreotti, Giuliano Vassalli, Giulio Andreotti, Paolo Guzza, Riina, Salvo Lima, Vassalli