Bogarde la mia vita maledetta di Mirella SerriLiliana Cavani

Bogarde, la mia vita maledetta Parla l'attore: a 72 anni ha dimenticato i film e pubblica il suo quarto romanzo Bogarde, la mia vita maledetta «Ho scritto questo libro per non morire» ^fl ROMA I IMPECCABILE nel vestito I grigio, molto cordiale, I aristocratico, dotato di *lhumour. Si definisce, con un po' di civetteria, il «patriarca di una grande famiglia», il «prozio» più famoso del Regno Unito, poiché a Londra, dov'è tornato a risiedere dall'87, è coccolato da una nutrita schiera di nipotini. Il settantaduenne Dirk Bogarde, celebrato interprete di grandi pellicole, da II servo a Morte a Venezia a Providence, sta vivendo in Inghilterra momenti di gloria. In veste di scrittore, con quattro romanzi, un epistolario e una fluviale autobiografia, ha toccato le vette delle classifiche. Adesso è arrivato in Italia, dove sta uscendo il suo ultimo libro, Jericho, tradotto dalla Longanesi con il titolo Fratelli di odio. Per l'attore che oggi ha abbandonato le scene e che ha avuto successo portando sullo schermo i risvolti più oscuri dell'omosessualità e personaggi sadici, carichi di mquietudini e perversioni, è difficile sostenere a lungo la parte del tranquillo «prozio», dai capelli solo sfumati di grigio con l'anello con stemma nobiliare al dito. A smentirlo ci sono tante pagine del suo libro: come quelli in cui Bogarde descrive con dovizia di particolari i punti caldi della «vita maledetta» di James Caldicott, artista omosessuale, frequentatore di saune, dedito a pratiche sadomaso, che si è rifugiato tra gli splendidi paesaggi della Provenza per espiare le sue colpe con un matrimonio borghese, destinato al fallimento. James scompare in modo misterioso. Sulle sue tracce si avventura il fratello romanziere, William, che ignora quasi del tutto la vita dell'irrequieto consanguineo. All'ultima pagina il lettore scoprirà che James ha abbandonato la moglie e il figlio affetto dalla sindrome di Down, per andare a morire in sohtudine, colpito da una grave malattia. Una bella tranche di «biografia» per Bogarde: James richiama le figure tremendamente viziose, i ruoli preferiti dall'attore. Lo stesso Bogarde, poi, per molti anni, ha eletto cóme propria residenza una vecchia villa di Grasse in Provenza, luogo del suo «esilio» dorato, con 400 ulivi, giardini meravigliosi, una splendida biblioteca. «Era una specie di Paradiso in terra. Una vita che mi piaceva molto, facevo l'allevatore, giravo vestito alla meno peggio, senza regole da rispettare. L'ho dovuta abbandonare dice mentre il suo sguardo si riempie di dolore - perché proprio lì ho avuto la tremenda esperienza di veder morire di cancro il mio amico più caro, la persona con cui ho condiviso la mia esistenza a Grasse per tanti anni. Credevo che non gli sarei sopravvissuto: scrivere questo libro è stata l'ancora di salvezza a cui mi sono aggrappato; e ha funzionato». Il centro del libro è proprio la scoperta dell'omosessualità del fratello, da parte di William. Lei ritiene che al giorno d'oggi sia ancora così scandaloso avere in famiglia un gay? «Una mamma spagnola o italiana amerà in ogni caso un suo figlio omosessuale. Ma la famiglia anglosassone non perdona. Lì ci si sente più responsabili delle "anomalie" del gruppo familiare, ci si accusa reciprocamente. James è il simbolo di tutto questo: ha un figlio mongoloide, proprio perché è come se portasse nei cromosomi il marchio della sua diversità». Sente nostalgia per il cinema? Che cosa rimpiange di più di tutta la sua carriera? «Mi manca soprattutto il rapporto con personaggi eccezionali come Visconti. E Fassbinder, un vero genio. Volevo tanto lavorare per lui, ma ci sono stati dei conflitti. Io e Rainer avevamo preso i primi accordi e concluso il contratto di Despair. Poi cominciammo a girare, e il film era in inglese. Rainer se la cavava benissimo in questa lingua, ma con me si serviva sempre dell'interprete. "Basta gli dico dopo quattro giorni - .Voglio parlare con te, direttamente". "No" mi risponde con testardaggine. La troupe era tedesca e Fassbinder non voleva che si sentisse esclusa dai nostri dialoghi. Ma io ero molto a disagio e con uno scatto d'ira abbandonai furibondo il set. Andai alla toilette per lavarmi le mani e andarmene quando vidi nello specchio Fassbinder che faceva la pipì: "Okay, hai vinto tu", mi disse in inglese». Anche Visconti era così determinato? «Tutti i grandi uomini lo sono. Visconti, però, rispetto a Rainer, era più sfumato nei suoi atteggiamenti. Ma c'era tutta una prassi da seguire per entrare in confidenza con lui. Quando giravamo la Caduta degli dei passavamo insieme l'intera giornata, però mi permise di pranzare alla sua tavola soltanto dopo due settimane di lavorazione». Brigitte Bardot una volta ha detto di lei: «Dirk è come il ven¬ to. Non è di nessuno. Gli uomini come lui non sposano che se stessi». Si riconosce in questa definizione di egocentrismo? «Per carità. Io ho lasciato il mondo del cinema proprio perché il narcisismo è la caratteristica di tanti divi. E poi Brigitte non può aver detto questo, è una carissima amica. Non sarà stata mica Monica Vitti che è una donna più severa nei giudizi?». Mirella Serri «Racconto fallimenti e perversioni Del cinema rimpiango uomini eccezionali come Visconti e Fassbinder» Dirk Bogarde in «Morte a Venezia», di Luchino Visconti. Sotto, l'attore oggi e Raiqer Fassbinder Bogarde con Charlotte Rampling nel film di Liliana Cavani «Il portiere di notte»

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