Nessuna eredità dal ventennio fascista

Amato e le radici della partitocrazia Amato e le radici della partitocrazia Nessuna eredità dal ventennio fascista H| ORBERTO Bobbio ha ■ già risposto: non c'è con- ■ tinuità fra il regime fasci1 sta e il sistema democrati- ±AÌ co, o sistema dei partiti, nato nella lotta di liberazione. «Presidente non faccia confusione». Così il nostro grande amico si è rivolto al presidente del Consiglio dimissionario, a Giuliano Amato, che aveva sollevato una questione di notevole rilievo, la ricerca delle radici della partitocrazia (identificate non più soltanto con una deviazione del sistema, ma col sistema stesso). Noi vorremmo aggiungere, a quelle di Bobbio, talune osservazioni in chiave rigorosamente storica. «Siamo ad un autentico cambiamento del regime - sono parole di Giuliano Amato - che fa morire dopo settant'anni quel modello di partito-Stato che fu introdotto in Italia dal fascismo e che la Repubblica aveva finito per ereditare, limitandosi a trasformare il singolare in plurale». No: non esiste nessuna eredità che la Repubblica abbia raccolto dal ventennio fascista. Il partitoStato appartiene alla patologia dei totalitarismi moderni; in Italia il sistema fu introdotto dal fascismo, che si fondò su una cesura netta rispetto allo Stato liberale e garantista. Cesura all'inizio, e cesura alla fine. I partiti antifascisti rinascono in Italia su schemi prevalentemente pre-fascisti: rivivendo tutte le contraddizioni, le anomalie e le insufficienze di quella fase della lotta politica italiana spezzata dall'esperienza fascista, cioè dall'esperienza totalitaria. ' In molti casi gli stessi partiti si riallacciano ai nomi del pre-'22: così i liberali, che del resto erano nati come partito solo alla vigilia della marcia su Roma; cosi i repubblicani, che vantavano una quasi trentennale esperienza di partito; così la democrazia cristiana, che sostituiva l'insegna di Romolo Murri, sperimentata alla fine del secolo, a quella del partito popolare, troppo legato al profondo dissidio fra Sturzo e il Vaticano. E il partito socialista riprendeva la via delle scissioni e delle ricomposizioni che l'aveva caratterizzato fin dall'alba del secolo nuovo: il psi si rifaceva all'esperienza di Matteotti e di Turati ma non poteva chiudere le porte alla rinascita di una componente socialdemocratica che, attraverso Saragat, si ricongiungerà a Bissolari. Lo stesso partito comunista, l'unico che portava con sé una concezione peculiare di partitoStato per le influenze dell'Unio¬ La nascita del ne Sovietica e dei connesso universalismo, si ricollegava all'esperienza gramsciana del prefascismo e dei primi anni del fascismo, qualcosa che lo distingueva dai partiti esclusivamente legati all'internazionale sovietica e al modello staliniano. Unico partito nuovo, nato nella cospirazione e poi nella Resistenza: il partito d'azione, che, pur riprendendo un'antica testata risorgimentale, seguiva l'esperienza di «Giustizia e Libertà» e riuniva frazioni di repubblicani, di socialisti e di democratici senza aggettivi in una visione innovatrice della lotta politica, l'unica che dal prefascismo guardasse al postfascismo. Ma anche la più radicalmente e rigorosamente antifascista, la più ancorata a valori di coscienza tali da escludere ogni residuo, o influenza, di partito-Stato. Tutte le insegne del prefascismo tornano nella lotta politica italiana dopo la Liberazione. Una sola tende a scomparire (ma in parte era già scomparsa dalla geografia politica), ed è il termine «radicale». E' la democrazia del lavoro, nell'interno dei Comitati di liberazione, che continua quella malinconica «democrazia sociale» del periodo prefascista e anche dell'alba del fascismo, che aveva una specifica impronta massonica e si ispirava ad un riformismo innestato sul tronco della sinistra postrisorgimentale, né socialista, né classista. La nostra Costituzione fu la sola Costituzione postbellica in Europa che recepì il termine «partito» nel suo testo, ma in forme di garantismo liberale assolutamente estranee ad ogni influenza, o condizionamento, del totalitarismo fascista, del partito come «organo pubblico o collocato fra gli organi pubblici» (per dirla con le parole di Amato). L'articolo 49 è indicativo nella sua secchezza lapidaria e inconfondibile. «Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Associazioni libere. Il partito è quindi un'associazione privata, un'associazione volontaria e spontanea come era stata fino al 1922: un'associazione che non gode di rilievo pubblicistico, che non pone problemi di finanziamento pubblico, che vive nella sfera dell'adesione e dei contributi dei militanti. E gli anni del centrismo si muovono in questa dimensione: l'unico partito che si richiami ad un concetto di partito-Stato è ancora il partito comunista, per la sua collocazione internazionale corretta sempre dalla prudenza di Togliatti. A parte taluni filoni di integralismo cattolico, respinti da De Gasperi. Nessun legame quindi, diretto o indiretto, fra la nascita della Repubblica e l'eredità del partito-Stato. Non siamo quindi ad un «cambiamento del regime»: siamo al ricupero dei valori costituzionali originari e integrali, manomessi o svuotati da alcuni decenni di esperienza partitocratica, con l'assunzione da parte dei partiti di compiti che non erano i loro. Il sistema democratico ha subito una degenerazione: che si è aggravata negli ultimi anni. Una degenerazione che è anche una deviazione dalle vie della Costituzione. Il sistema dei partiti è diventato/wrt/Vocrazia: e noi conosciamo bene la storia e il senso di questa parola. Negli ultimi decenni lo spazio delle istituzioni è stato in larga misura occupato, anzi usurpato, dai i: partiti: in un'opera costante e infascismo stancabile di infil¬ trazione, di corruzione e alla fine di distruzione. Il gonfiamento di funzioni ha portato ad una ricerca frenetica di fonti di finanziamento che si riassumono nell'immenso complesso di scandali da cui siamo stati investiti. Si è tentato di svuotare la vecchia amministrazione, antiquata ma corretta. Nuove oligarchie, quasi tutte di origine partitica, hanno preso il posto dei reponsabili tecnici e professionali dei vari settori della vita dello Stato. Il tutto aggravato in chiave regionale e locale. Soprattutto nell'economia i guasti sono stati immensi: il sistema di economia pubblica così generosamente dilatato ha finito per alimentare, soprattutto nell'ultimo decennio, il perverso intreccio fra classe politica e mondo degli affari, fra Stato e centri di potere (la P2 insegni). Tutto è stato alterato. Quella che sta morendo, quella che deve morire è la partitocrazia. Ma la partitocrazia è, non dimentichiamolo, il rovescio della Costituzione. Giovanni Spadolini i: La nascita della Repubblica: non contiguità ma cesura col fascismo

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