Placido contro la mafia la tv precede lo Stalo di Simonetta Robiony

L'attore torna su Raidue come pentito e sarà Falcone nel film di Ferrara L'attore torna su Raidue come pentito e sarà Falcone nel film di Ferrara Placido: contro la mafia la tv precede lo Stalo GUBBIO. Michele Placido ha piccoli baffi curati e capelli grigi lasciati così, senza tintura. Sta girando il film su Falcone, firmato da Giuseppe Ferrara, quello de «Il caso Moro» con Gian Maria Volontà. Un film che, dice, non vogliono né i parenti di Falcone né Andreotti, né i carabinieri né i magistrati, né la Rai e neppure Canale 5 perché la tesi sostenuta da Ferrara è di quelle scomode, violente, sgradite. Per vincoli contrattuali non dice una parola sulla trama. «Io sono un attore. Il mio compito è rendere credibile il personaggio che mi viene affidato. Falcone, qui, viene rappresentato come un eroe solitario che si batte contro la mafia: io ho solo cercato di accentuarne i lati umani». Lo stesso compito che si era preso per il commissario Cattaui di «La piovra», per il maestro di «Mary per sèmpre» di Risi, per il capitano sovietico di «Afghan break-down». Cos'è, un limite interpretativo o una scelta professionale? Né l'uno né l'altro risponde Placido. «I migliori attori possono fare al massimo due o tre personaggi. Avere interpretato a metà della carriera il commissario Cattaui ha finito con il segnarmi. Ma Cattani non l'ho mai amato. E in principio a "La piovra" non credeva nessuno, io per primo. L'ho fatta e ho continuato perché me l'hanno chiesto. Ma adesso basta. Non c'è alcuna buona ragione che potrebbe convincermi a tirarlo di nuovo fuori. Neanche i miliardi. Ora faccio altro». E per dimostrare di non avere più nessun legame affettivo con il ruolo che l'ha reso famoso, Placido cita la partecipazione a «Quattro bravi ragazzi» di Claudio Camarca, 0 prossimo film di Pasquale Pozzessere, la rivelazione di Venezia. Intitolato «Un padre e un figlio», è una storia ambientata nel mondo dei transessuali. E poi un documentario sulle ragazze di oggi che accompagnerà in ottobre la messa in onda del suo film «Le amiche del cuore». E ancora la regia di «Un eroe borghese» sull'assassino dell'avvocato Ambrosoli che dovrebbe avere John Malkoyich e Michel Piccoli, una regia alla quale Placido è disposto a rinunciare se l'impegno risulterà troppo pesante per le sue forze. «L'Orso a Berlino l'ho preso per "Ernesto" di Samperi dove facevo l'omosessuale. Se la gente mi ricorda solo per Cattani non è colpa mia». Intanto però Placido a Umbriafiction è arrivato per presentare «Un uomo di rispetto», in programma su Raidue martedì e giovedì prossimo, primo sceneggiato a raccontare la storia di un pentito di mafia. Scritto da Ennio De Concini e da Aurelio Grimaldi sul libro che Enzo Russo pubblicò anni fa anonimo da Mondadori ispirandosi alla vita di Totuccio Contorno, racconta la storia di un mafioso di mezza tacca che di fronte alla mattanza operata dalle cosche in Sicilia, al principio degli Anni Ottanta viene colto da una crisi di coscienza e decide di collaborare con la giustizia. Un pentito diverso, quindi, dai Buscetta, dai Mannaia, dallo stesso Baldassarre Di Maggio, che hanno parlato solo per ottenere sconti, favori, protezioni. La scelta è stata fortemente voluta dal regista Damiano Damiani, cui sta molto a cuore raccontare il contesto sociale e culturale dentro il quale si è sviluppata la mafia. «A me non interessano i grandi protagonisti della cronaca ma la gente comune - spiega Damiani -. E in Sicilia, per la gente comune, il confine tra legalità e illegalità è tuttora labile. Una storia come questa potrebbe indurre a qualche riflessione. Il resto lo devono fare i politici». Michele Placido è d'accordo. Tanto d'accordo che si lancia perfino in una breve cronistoria critica del nostro cinema. «In tre occasioni storiche importanti il cinema italiano è stato chiamato a dare il suo contributo per la crescita della coscienza civile: nel dopoguerra con il neorealismo, negli Anni Settanta con la denuncia, e in questi ultimi tempi con i film di impegno civile. Solo che stavolta l'ha fatto su sollecitazione della tv. La prima "Piovra", quella di Damiani, ha avuto il merito di far intuire che la gente aveva nuovamente voglia di interrogarsi sulla sorte del Paese. Se non ci fosse stata, forse saremmo ancora ai Pierini e alle infermiere. E' dopo, solo dopo "La piovra" che sono venuti fuori i Marco Risi e i Ricky Tognazzi». La tv quindi è diventata meglio del cinema? «Non è migliore o peggiore. E' più attiva, più veloce. In alcuni casi addirittura più veloce dello Stato». In che senso? «E' stato in tv, da Santoro, che abbiamo saputo che Falcone contrariamente a quanto si sosteneva era andato in America dopo l'assassinio di Lima. Se non ci fosse stata la tv, nessuno ce l'avrebbe mai detto». Simonetta Robiony «Senza televisione non avremmo mai saputo certe cose» «Il cinema? E' impegno civile» Michele Placido sarà domani su Raidue nello sceneggiato «Un uomo di* rispetto»