Il genio inquieto di Siena
Si apre la mostra con 300 opere del pittore, scultore e architetto del Rinascimento toscano Si apre la mostra con 300 opere del pittore, scultore e architetto del Rinascimento toscano Il genio inquieto di Siena L'avventura di Francesco di Giorgio ESIENA RANCESCO di Giorgio di Martino, pittore, dalla miniatura alla pala d'altare al cassone, scultore in bronzo e in legno, in terracotta e in marmo, architetto civile e militare, maestro macchinista e idraulico. Per Federico da Montefeltro è responsabile di 136 cantieri a Urbino in un decennio, fra ottavo e nono del '400. E' richiesto a Milano dalla Fabbrica del Duomo, dal prefetto di Roma Giovanni della Rovere, dal Valentino, a Napoli da Alfonso d'Aragona. Il Leonardo di Siena. Formula affascinante, e in effetti il più giovane Leonardo lo incrociò a Milano, e possedette e annotò una delle copie manoscritte dei Trattati di architetture, di tecniche, di ingegni del senese. Formula che rende grande onore a una artista che la tradizione e l'abitudine culturale non hanno mai compreso fra gli spiriti magni del Rinascimento italiano. Ma c'è una ragione, ed è quella che rende infedele quella formula. Nelle due sezioni dedicate al pittore e scultore a S. Agostino e all'architetto ai Magazzini del Sale sotto il Palazzo pubblico della grande esposizione (fino al 31 luglio) curata dall'Università, dal Monte dei Paschi, dal Comune e della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici, le tre centinaia di opere di svariate tecniche e destinazioni hanno un tratto comune: l'eterodossia rispetto a quel «mainstream» del Rinascimento fiorentino che proprio in Leonardo trova il suo culmine classico. Inquieto, ma classico. Laddove l'inquietudine di Francesco di Giorgio, che Corrado Maltese vide addirittura in chiave premanieristica, è di tutt'altra matrice. Essa è figlia geniale e, appunto, modernamente inquieta di quella Siena che non rinuncia a confrontarsi con Firenze con le forme armate dalla sua gloriosissima tradizione gotica, semmai rovesciandole nell'estremo opposto, comunque rifiutandosi di bloccare quelle forme nell'ordine mentale aureo della prospettiva brunelleschiana. Nel saggio del catalogo Electa Francesco di Giorgio architetto (l'altro catalogo, Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena, è curato da Luciano Bollosi), Manfredo Tafuri, curatore assieme a Francesco Paolo Fiore, osserva che la sua poetica è «del tutto estranea alle grandi correnti linguistiche del XV secolo». L'ordinamento scelto da Bellosi a S. Agostino, lungo le cappelle sfruttate per collocarvi le pale d'altare di Francesco di Giorgio, del maestro Lorenzo Vecchietta, di Matteo di Giovanni, del condiscepolo e poi collaboratore Neroccio de' Landi, di Pietro Orioli alterna tempi culturali e incontri e scambi fra Siena e Francesco e il mondo rinascimentale: il passaggio di Donatello nel 1457-59, l'arrivo nei primi Anni 70 dei grandi miniatori di cultura settentrionale, padana e ferrarese, Liberale da Verona e Gerolamo da Cremona, l'importazione dei collaboratori ad Urbino, il rapporto nell'ultimo decennio del 400 con Luca Signorelli nella cappella Bichi. E sempre, anche quando sopra il disegno fantastico e nervoso, costruttivo nello spazio in un modo tutto suo e drammatico, si distende una pellicola pittorica affidata ad altri e innanzitutto ad un anonimo «Fiduciario di Francesco», è palese l'orgoglio eterodosso del maestro e imprenditore, che in quanto tale scavalca il secolo: proporre e contrapporre una propria forma, un proprio linguaggio della profondità e un ribaltamento metamorfico e illusionistico della gerarchia delle materie. Non credo basti l'ipotesi di Bellosi per giustificare il fatto che vibri assai di più l'atmosfera e il rapporto fra forme e spazi nei bassorilievi in bronzo o nello straordinario gesso della Discordia che non nelle tavole dipinte. Quest'impressione risulta tanto più valida se si prende in considerazione, seguendo un'altra affascinante proposta di Bellosi, la predella ricostruita con pannelli, di vari musei italiani ed europei, già attribuiti a Domenico Veneziano e poi al Vecchietta, con temi francescani. La proposta non solo sposta l'accento su Francesco di Giorgio ma vi riconosce il documento giovanile più autentico della sua pittura originale. Marco Rosei Leonardo Da Vinci lo conobbe a Milano e annotò i suoi trattati di architettura. Ma è sempre rimasto ingiustamente escluso dal novero deigrandi -m A destra. Atlante. Nella foto sotto, la «Predica di San Bernardino». Francesco Di Giorgio P spaziò dalla pittura all'architettura B
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