Per fortuna abbiamo torto

L'orgoglio di perdere, vizio o virtù? discussioni. Paolo Rossi sul «Manifesto»: alla sinistra sconfìtta vien la faccia bella Per fortuna abbiamo torto L'orgoglio di perdere, vizio o virtù? EVVIVA, anche questa volta abbiamo perso. Paolo Rossi era un po' preoccupato, sette giorni fa, visti i risultati dei referendum. Lo ha confessato sul manifesto di ieri. «Una strana corrente d'aria mi ha colpito alla schiena - ironizza -. Era l'aria del cambiamento. Forse, mi son messo a riflettere, che lo spettacolo che sto replicando da mesi sia vecchio e già superato? Lo cambio e come?». Poi, aggiunge, «son tornato sui miei passi. Ho fatto lo spettacolo di sempre ed era più nuovo di prima. E l'ho fatto con allegria. Sapete perché?». Paolo Rossi, si sa, è uno che dice no: l'ha detto anche il 18 aprile. E, a pensarci bene, aver perso non gli dispiace. «Perché la lotta è bella quando è impari. C'è più gusto dopo. E a perdere, a volte, vien la faccia bella (guardate come si sta trasfigurando Pannella!). E poi, e non è poco, ci cresce l'ironia. Come quando penso che per me è la prima volta che voto qualcuno che arriva al 18%... e col cazzo che loro ci sono riusciti a prendere il 100%!». Magra consolazione. Paolo Rossi è un comico, non un politico, e la butta sul ridere; pure, un certo gusto della sconfitta, magari per poter poi dire «però avevamo ragione», un minoritarismo autocompiaciuto, quasi uno snobismo «da compagni», pare essere un residuo dei tempi in cui la sinistra era sempre lì lì per vincere, ma alla fine restava tutto come prima. Un residuo necessario? Spesso è accaduto che i fatti abbiano dato ragione alle voci clamanti nel deserto: ma chi se lo ricorda? Il più delle volte per le «cassandre» resta un sottile piacere tutto intimo, che si accresce nella consapevolezza dell'isolamento e affina la vocazione alla minoranza. Una fonte di soddisfazione, forse, ma anche un fattore di debolezza. Che ne pensa un vecchio combattente come Pietro Ingrao, spesso cassandra e spesso sconfitto? E' bello perdere? «A me non piace per niente - protesta e non mi è piaciuto nemmeno il 18 aprile. Però non ho paura di perdere e quando mi riesce cer co di imparare dalla sconfitta, per ripartire». Però Ingrao va oltre. Aggi un ge: «Del resto so che certe volte alcuni, non tutti, perdono nel l'immediato e vincono alla di stanza. Gramsci contro Mussolini: per vent'anni è sembrato schiacciato, poi si è visto che era lui il più forte». Riecco la tenta zione minoritaria: non è proprio questa fiducia riposta nella «distanza», nei tempi lunghi, che conduce a rimuovere i rovesci presenti e a idealizzare il prò prio supposto (indimostrato) «aver ragione»? Al limite, il «tor to» di oggi non rischia di diventare, agli occhi dei perdenti, proprio la sanzione della vitto ria futura? Ingrao non ci sta «Certo non tutti quelli che per dono sono Gramsci: non tutti ne hanno la statura, e non tutti perdono ingiustamente. Io ho perduto tante volte, ma mica tutte le volte avevo ragione. Il "pochi ma buoni" non mi ha mai interessato, io combatto sempre per vincere. Anche se ci sono casi in cui uno deve perdere costi quel che costi». Meglio perdere per una giusta causa, vuole dire Ingrao, piuttosto che affermarsi per una sbagliata. E' la salda convinzione che sorregge le battaglie di minoranza del manifesto, caldo riparo di «orgogliosi perdenti». Quando tre anni fa festeggiò il ventennale, il «quotidiano comunista» se ne uscì con uno slogan provocatorio: «Vent'anni dalla parte del torto». «Non volevamo dire che abbiamo sempre sbagliato - spiega un padre storico del manifesto, Valentino Parlato -, ma che abbiamo sempre combattuto contro l'idea dominante». Avere torto oggi per avere ragione domani? Con l'opportunità di bearsi indefinitamente dell'ineffabile snobismo minoritarista... «Ma no - ribatte Parlato -, perdere fa sempre male. Dopo di che ci sono due rischi: la defezione o l'arroccamento. Io ho sempre rifiutato ogni fuga estetizzante, perché ritengo doveroso non disertale - il campo ma analizzare le ragioni delle sconfitta. Come in un passo di Valéry: "Si alza il vento, bisogna tentare di vivere". Credo che Paolo Rossi, come tutti i combattenti, volesse dire proprio questo: si è perso, ma non si può capitolare». Però Paolo Rossi dice pure che «a perdere vien la faccia bella»... «E' una esagerazione di combattimento. Io sono per evitare al massimo le sconfitte, piuttosto è meglio ritirarsi. Sono contro le retoriche di Balaclava». E quell'altra idea del folletto milanese, che a perdere «ci cresce l'ironia»? E' d'accordo un «orgoglioso perdente» come Bobo, il personaggio di Staino che passa attraverso tutte le tempeste, come la morte del pei e la rinascita nel pds, sempre minoritario ma in fondo indistruttibile perché forte delle sue convinzioni? «E' vero - risponde Sergio Staino -, l'ironia è un'arma disperata usata contro chi ha un potere. In mano agli sconfitti è anche consolatoria. E' una delle armi più gratificanti e meno efficaci». Maurizio Assalto Ingrao: ma io mi batto sempre per vincere [OPERA, fu Tv FtotM CHe o. Sopra, Pietro Ingrao. In basso Sergio Staino: «L'ironia è una delle armi più gratificanti e meno efficaci» Valentino Parlato e alla sinistra Paolo Rossi durante uno dei suoi monologhi. Sopra, due sarcastici «sconfitti» di Altari. Le vignette sono tratte da «Cuore»