La «grande Serbia» vista da Manhattan di Furio Colombo

La «grande Serbia» vista da Manhattan INTANTO IN AMERICA La «grande Serbia» vista da Manhattan 1NEW YORK N un'aula della Columbia University sto presentando Jacques Merlino, direttore del telegiornale «France 2». Ci sono molti francesi, molti americani, molti studenti di giornalismo. Il tema è un confronto fra il telegiornale francese e quello americano. Merlino mostra spezzoni dei suoi telegiornali. La Bosnia torna spesso, anche perché il generale Morillon, l'ormai leggendario comandante dei pochi Caschi blu che hanno tentato di impedire il massacro fra serbi e bosniaci, è un generale francese. C'è Srebrenica - in quei video-tape -, c'è Sarajevo, ci sono i piccoli corpi inermi di bambini abbattuti dai mortai o dai cecchini. Siamo appena all'inizio della conferenza quando mani si levano dal fondo. C'è, in piedi, una parete di giovani, belle facce, ben vestiti, uno con la cartella grande da architetto, un altro con ima barba bionda e l'espressione profetica, ragazze in jeans, alcuni uomini che, a occhio, avevo immaginato fossero professori di un altro dipartimento. La prima domanda sembra tecnica, innocente. «Signor Merlino, nel suo filmato da Srebrenica si vedeva uno che lei definisce "signore della guerra" serbo. Non ha visto che sul giaccone aveva un distintivo croato?». «E' un croato, non è un serbo quell'assassino, è un croato!» gridavano in molti. Come organizzatore dell'evento ho dovuto alzarmi e affrontare il pubblico. Mi rendo conto che quasi metà dei presenti sono serbi, tutti con un buon inglese, un taglio aggressivo, un modo sferzante di fare domande e di parlare a voce alta senza cercare risposte. Appena in piedi mi viene sibilata questa domanda: «Qual è la posizione dell'Italia sull'Istria?». Lo chiedono in molti, incalzano. «Risponda, qual è?». Il mio collega francese è un signore gentile. Riconosce l'errore della giacca col distintivo croato. Era lui l'autore del filmato. Da quel momento la sala diventa difficile da controllare. I serbi sembrano decisi, in questo piccolo angolo d'America, a prevalere. Colpisce che siano tutti di buona classe sociale, con l'autorevolezza spavalda e prepotente dei giovani borghesi di tutti i Paesi, un tratto che non esiste in America, Paese capitalistico senza borghesi. Gli studenti americani infatti sono intimiditi, in silenzio. I serbi sono decisi a imporre questo punto di vista: «Francesi; italiani, tedeschi, americani, ci diffamate. Non c'è mai stato uno Stato islamico jugoslavo, perché dovrebbe esserci adesso? La Bosnia non ha alcun diritto di esistere. C'è sempre stata una Serbia, perché non dovrebbe far valere i suoi diritti con la guerra? Forse voi non avete mai messo a ferro e fuoco l'Europa e altre parti del mondo? Che male c'è a combattere per la patria?». Come in «Guerre stellari», è uno scontro fra mondi che non sono nella stessa epoca e sullo stesso pianeta. Mi rendo conto infatti che l'impossibilità di rispondere a queste persone intelligenti, che sono decise a non cedere, deriva dal fatto che viviamo in decenni diversi, benché ci separino pochi metri di spazio. Ecco perché gli sforzi e i tentativi delle Nazioni Unite cadono in un buco nero, senza speranza. Non esiste una macchina per viaggiare indietro nel tempo. Le voci continuano a salire, forti, dominatrici, voci di gente che non ha il minimo dubbio. E' il loro modo, come nel 1914, di dichiararsi pronti a morire, di invocare la guerra, come «la prova dei veri uomini». L'hanno detto. Furio Colombo

Persone citate: Jacques Merlino, Morillon

Luoghi citati: America, Europa, Istria, Italia, Manhattan, Sarajevo, Serbia