Usa le virgole uscirai dalla crisi di Bruno Ventavoli

20 IL CASO. Una trasmissione di Radiodue lancia il dibattito sulla punteggiatura Usa le virgole, uscirai dalla crisi «Meno esclamativi, rappresentano il vecchio Il punto fermo invece promette un nuovo inizio» p ROMA UNTO e basta. Anzi no. Punto e se ne parla. Parole Nuove, la trasmissione radiofonica curata da Dino Basili, propone ogni domenica uno spazio dedicato a croci e delizie della punteggiatura (Radiodue, ore 11). E la cosa più curiosa è che l'invito a disquisire su quei piccoli arabeschi della pagina stampata viene accolto con entusiasmo da scrittori, giornalisti, studiosi, sempre più restii nel rapporto con i media. Sindrome da Bisanzio? Mentre il mondo crolla i teologi si dedicano al sesso degli angeli? «No, no per carità - dice sorridendo Basili -. E' proprio vero il contrario. I segni di interpunzione servono a mettere ordine nei discorsi e nel pensiero. Chi fa della comunicazione un lavoro, ha un rapporto quotidiano con punti, virgole, interrogativi, esclamativi. La punteggiatura ritma il pensiero, è impronta della persona come il Dna». Nell'antichità classica, i segni che consentivano di dare rilievo alle parti del discorso erano tre e tutt'e tre rappresentati da un puntino messo in posizioni differenti. Nel tardo impero romano comparvero anche rametti di palma per separare le parole. Il problema delle pause trapassò ai dettatori medievali, ma tra barbari e volgarizzazione del latino i puntini, le stanghette, ricciolini, fluttuavano nell'anarchia. Fu con l'arrivo della stampa che si cercarono, faticosamente, regole più salde. ' La virgola è il segno più ricorrente. La amano i filosofi che articolano il discorso, la sprecano gli ossequiosi nelle lettere di adulazione ai capi, la disprezzano i teorici del pensiero secco come una coltellata. Orazio Lombardelli, uno dei più raffinati virgolisti, regalò alla fine del 500, ne L'arte del puntar gli scritti, 16 regole precise per uscire dall'anar- chia. Ma non fu una missione compiuta definitivamente. Un poeta famoso come l'Ariosto era noto per disseminarle a capriccio nell'ardore del comporre. Padre Daniello Bartoli (nel 1600) tuonava con indignazione gesuitica contro i «tanti bruscoli di virgole» che volavano agli occhi aprendo la pagina di un libro. Ma uno dei nemici più acerrimi fu D'Annunzio che dichiarava di essere «nimico delle virgole come la cicogna è nimica delle serpi». Giulio Nascimbeni, reduce dai dettati senza punteggiatura della giovinezza, sostiene che le virgole vengono usate in maniera sempre più impropria, con grave danno per il senso e la comprensione delle cose. Gli equivoci che possono insorgere sono buffi. «Mussolini fece un discorso dal balco¬ ne di Palazzo Venezia esortando "Italia prolifica, in piedi!" - ricorda Nascimbeni nell'intervento radiofonico raccolto da Paola Springhetti -. I funzionari fascisti si premuraro¬ no di far dipingere sui muri l'invito. In un paese della Calabria, a Bagnara, riportarono lo slogan spostando la virgola "Italia, prolifica in piedi". Inutile dire che gli effetti per i cittadini che misero in pratica gli ordini del duce furono alquanto comici». Il punto esclamativo definito dal Lombardelli «pathetico» o «affettuoso», era detestato da Ugo Ojetti: il giornalista e critico romano voleva «bandirlo dalla calligrafia, dalle tipografie, dall'alfabeto Morse» perché «fa imputridire la ragione e i cervelli, rimbambisce gli adulti, acceca i veggenti, instupidisce i savi, indiavola i santi». Questo punteruolo dell'enfasi ha però perso posizioni. Su giornali e riviste si è lentamente defilato, per lasciare spazio ad altri punti, meno tronfi e meno sicuri di, sé. «E' veramente odioso - dice Lietta Tornabuoni - perché esprime nella maggioranza dei casi enfasi, retorica, euforia, che mi sembrano appartenere malamente alla cultura italiana e che vorrei vedere s*comparire. C'è un solo caso in cui l'esclamativo ha un ruolo simpatico: quando viene usato nei titoli dei musical come Oklahoma!, Evitai». Oggi la parola passa al punto. Interviene Giovanni Mariotti che, nell'ultimo romanzo Matilde (pubblicato da Anabasi), il punto l'ha esiliato del tutto. Ne usa uno solo, in chiusura («ho desiderato per oltre un anno di metterlo»). Perché questo ostracismo cartaceo? «Per ottenere l'effetto letterario del fregio, dell'immagine fluida, dove le epoche, le persone sfumano le une nelle altre come nella "dissolvenza incrociata" del cinema classico. E' faticosissimo, ma si può scrivere un romanzo senza usare punti. Molti lettori sono entrati senza fatica nella storia. Che effetto mi fa il punto? Quello del primo giorno dell'anno nel calendario: promette magie e attese come ogni incipit». Bruno Ventavoli Val la pena di occuparsene tanto mentre il Paese ha problemi terribili? Il direttore di rete: «Sì, mette ordine» il vecchio uovo inizio» sene tanto blemi terribili? mette ordine»

Luoghi citati: Calabria, Italia, Oklahoma, Roma, Venezia