AMEDEO GUILLET CORSARO NEL DESERTO

AMEDEO GUILLET CORSARO NEL DESERTO AMEDEO GUILLET CORSARO NEL DESERTO La guerra di un Lawrence d'Arabia italiano AVEVAMO anche noi un Lawrence d'Arabia. E non lo sapevamo. Amedeo Guillet, nato a Piacenza, comandante di bande a cavallo nell'Africa Orientale (allora italiana), è di quei protagonisti nascosti nelle pieghe della storia, figure che grandeggiano per pochi amici e nemici. Scatenò con i suoi ascari una guerriglia astuta e coraggiosa contro gli inglesi, imperversò anche dopo la resa dell'Eritrea. A trascinarlo sotto i riflettori è un ex nemico, Vittorio Dan Segre, che a quei tempi militava nell'Intelligence Service e ora gli dedica un libro, La guerra privata del tenente Guillet, giunto alla seconda edizione in una ventina di giorni. E' uno spaccato di guerra desertica dal 1940 al 1942, il ritratto di un eroe schivo, un intreccio di cultura italiana', africana e araba. Segre ha studiato il suo personaggio nei dossier «top secret», lo ha combattuto e poi ne è diventato amico. Di lui ricorda il primo incontro nel 1944 a Napoli: Guillet era magro, due baffetti sul viso scuro, più felino che marziale. Ma come si svolsero le gloriose imprese? Il racconto ha un tono vivace, dialogato, attinge a testimonianze personali e testi storici, rifugge dall'enfasi. Il tenente Guillet (figlio e nipote di generali, cavaliere nella squadra nazionale olimpica, decorato nella campagna d'Etiopia) è spinto dalla seconda guerra mondiale in Eritrea dove gli affidano un gruppo di bande a cavallo con duemila indigeni. E' un soldato fuori dagli schemi, audace e imprevedibile: colpisce le forze inglesi e poi si dilegua. Lo chiamano «Cummundar-as-Shaitan», Comandante Diavolo. Una specie di corsaro del deserto, bruciato dal sole, conoscitore della lingua araba. Nella tenda, con un moschetto e una scimitarra, tiene la Germania di Tacito in latino. Cerca l'azione, ma non è un fanatico; gli indigeni lo seguono, lui li rispetta senza l'arroganza di un colonialismo che vede ormai al tramonto. A Cherù ostacola per due giorni la marcia della Gazelle Force, contrasta gli avversari sul colle Cochen, protegge la ritirata italiana che si incanala lungo la strada ferrata per sfuggire ai mezzi corazzati inglesi. Arriva da Roma l'ordine di resa, ma Guillet decide di continuare da clandestino la resistenza. E' una trasformazione anche interiore, come se si lasciasse assorbire dalla religione islamica. Indossa futa e turbante, diventa Ahmed Abdallah el Redai, musulmano yemenita, e trascina nella guerriglia un centi Amedeo Guillet nel 1932 tenente del Reggimento Guide Accanto: Kadija Le gesta africane di un eroe schivo narrate da Vittorio Dan Segre naio di indigeni fedelissimi: assalti a convogli militari, sabotaggio di ponti, un treno bloccato in galleria sulla linea Asmara-Cheren. Proprio come Lawrence d'Arabia che credeva nei beduini, nella loro mobilità, negli attacchi e nelle fughe. Qui affiora anche la figura dolce e orgogliosa di una donna, Kadija, figlia di un capo villaggio, che gli fa da compagna. Nell'ottobre del 1941 Guillet scioglie la sua banda, ridotta ormai a una trentina di uomini malconci, e scompare. Gli inglesi, che hanno messo una taglia su di lui, non lo prenderanno mai. Campa in miseria, fa l'acquaiolo e il facchino, sognando di imbarcarsi a Massaua su un sambuco verso lo Yemen: straordinaria è la sua capacità di mescolarsi alla povera gente, di travestirsi (ma è solo un travestimento?) con un'altra cultura. Quasi avesse due vite. A differenza di Lawrence, un mito che alla fine cercava di scomparire nell'anonimato come semplice «aviere Ross», Amedeo Guillet dopo la guerra diventa ambasciatore italiano in India. Anche gb ex nemici gli rendono onore. E ora, a 84 anni, coltiva in Irlanda la sua passione per la pittura e i cavalli. Il personaggio ha conquistato l'autore? Vittorio Dan Segre, studioso di questioni mediorientali che vive tra Gerusalemme e il Piemonte, ci parla con il tono pacato dello storico: «Sono stato suo nemico e dopo l'armistizio abbiamo combattuto dalla stessa parte: lui era diventato un capo del Sim nel governo Badoglio, io ero nell'Intel¬ ligence militare inglese. Ho apprezzato le sue qualità di soldato e esperto dell'Africa Orientale, ma anche la sua concezione molto futuristica e prematura di un accordo fra arabi ed ebrei». Che peso ha avuto Guillet in quella campagna di Eritrea? «Se dobbiamo giudicare dagli scambi di telegrammi tra Londra, il Cairo e il comando delle forze britanniche dell'Africa Orientale, è stata l'unica resistenza che preoccupava gli inglesi. Sapevano che Guillet voleva continuare a combattere fino a un'ipotetica vittoria dell'Asse in Egitto e per questo creare un problema alle loro spalle. E poi la propaganda britannica era di liberare gli indigeni dal "giogo fascista" mentre l'unica resistenza interamente fatta di indigeni combattenti era quella guidata dal tenente italiano». Lo spingeva il patriottismo? Il gusto del beau geste? «Il senso dell'onore». E in che cosa somigliava a Lawrence d'Arabia? «Nell'essere diventato un leader indigeno con piena credibihtà. Ma forse il vero paragone è con il generale von Lettow-Worbek che nella prima guerra mondiale, in Tanganica, senza contatti con la Germania, non si arrese mai». Perché sulle gesta di Guillet è sceso questo lungo silenzio? «Perché rappresenta l'antitesi di tutto quello che l'Italia autoflagellatrice è stata negli ultimi vent'anni. Ma se c'è un momento in cui ha bisogno di un esempio di virtù è oggi: per questo ho scritto il libro». Il personaggio ha uno strano fascino anche per cmeu'immersione totale in un'altra cultura, come se fosse la sua nuova anima. «Sì, prima racconto le gesta dell'eroe contro il nemico, poi contro se stesso. Per sciabolare gli avversari ci vuole coraggio, ma diventare portatore d'acqua senza perdere la dignità, o vivere in una prigione di quasi condannati a morte senza perdere la speranza, è vero eroismo». E i suoi rapporti personali con lui? «Sono sempre stati sulla base dell'onore che non conosce frontiere e passaporti». Ma Vittorio Dan Segre, politologo. eminente, professore a Haifa e Stanford, ha anche uno scatto di ammirazione. ((Amedeo Guillet è un simbolo. Rappresenta quella categoria di italiani che sono stati e continuano ad essere nobili e disinteressati». Emesto Gagliano Vittorio Dan Segre La guerra privata del tenente Guillet Corbaccio. pp. 235, L. 26.000