NEL MEDIOEVO DI CURTIUS

NEL MEDIOEVO DI CURTIUS NEL MEDIOEVO DI CURTIUS L'unità culturale dell'Europa pea, sostenuta dalla continuità fra mondo antico e mondo moderno. Un metodo per il quale Curtius si vale più volte della citazione del motto di Aby Warburg: «Il buon Dio si nasconde nei particolari». Ne deriva un'opera ricca di citazioni e di esempi, di scavi soprattutto entro gli elementi formali, che in questa prospettiva e nelle simpatie dell'Autore assumono un valore eminente. La storia della letteratura vagheggiata e perseguita da Curtius non è una storia dello spirito (e ciò irritò terribilmente Croce) ma dei sistemi formali. Ieri poteva far sorridere un privilegio del genere, oggi un po' meno. La classe di Letteratura europea e Medio Evo latino deriva anche dalla tonalità aristocratica che queste simpatie inevitabilmente le attribuiscono, dall'atmosfera pura che vi si respira, senza far trasparire ~tm "y EL 1927 vivono a BuI^K I carest alcuni giovani I^A I uomini desiderosi di I I fare irruzione nella I I Storia districandosi dalle nebbie del loro Paese dimenticato. Si « ^fl chiamano Mircea I ■ Eliade, che nel '27 V pubblica L'itinerario spirituale, considerato il manifesto di quella generazione brillante e inquieta, Eugène Ionesco, Emile Cioran. L'Occidente li attende e presto li accoglierà. Qualcuno, però, il più brillante, il più mondano di tutti, non parte. O meglio, una volta partito, decide di tornare. Si chiama Constantin Noica, frequenta con accanimento i classici della filosofìa, aspira a una serenità sostanziale. Più tardi, mentre i suoi amici sono festeggiati a Parigi come in America, il regime comunista a lui riser¬ le angosce degli anni in cui fu concepita. Si galleggia nelle scuole dei grammatici, nei creatori dei poemi epici, delle elegie e degli inni, in una bella compagnia che nasce da quella del Limbo dantesco, da Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano, Stazio, e a cui si aggiungono Sedulio, Venanzio Fortunato, i perfetti artisti dello Stabat mater e del Bies irae. Ciò che ne fa la grandezza, e fa la grandezza dell'intero Medio Evo latino, sono le strutture letterarie, gli artifici, la fusione del suono e del senso, la rima, questa grande creazione del Medio Evo estranea ai Romani come ai Germani ma nata dalla concentrazione sugli strumenti formali della poesia, anzi della letteratura. L'artificiosità, dichiara Curtius, non è come solitamente si ritiene una degenerazione dell'arte e un prodotto della decadenza; essa può anche agire come stimolo sulle ambizioni dell'artista e suU'airicchimento delle tecniche. Così agì sul Medio Evo latino il «manierismo formale» dell'antichità, contenuto in particolare nella scuola di retorica. Nella retorica ammirata in Cicerone ma propagandata soprattutto in quegli sviliti e misconosciuti maestri della tarda latinità che sono Marziano Capella o Prisciano (la grammatica è anch'essa un'arte), poi in Padri come Gerolamo e Agostino, si esercitarono tutti gli scrittori, e non solo allora ma ancora nel cosiddetto Rinascimento. Tutta la classicità, senza distinzione di aurea o argentea, fu attinta ed elaborata, confluì nelle raccolte erudite, negli studi scolastici, nell'imitazione dei modelli, nella ripresa delle figure, nella costruzione dei concetti. Si legge Omero in riassunti di basso latino, le favole di Esopo in una redazione del IV o V secolo siglata da un Romulus. Si assorbono i racconti romanzeschi di Apuleio, le enciclopedie tarde di Macrobio, i metodi interpretativi di Servio, i programmi culturali di Cassiocloro, la filosofia di Boezio. Finché, verso la fine del secolo XII, si passa al libero cimento con gli esempi antichi e nascono le letterature nazionali entro una formidabile comunità culturale e linguistica fra i paesi della Romania, per cui Dante fa parlare nel Purgatorio un grande provenzale come Arnaut Daniel nella propria lingua, Brunetto Latini scrive la sua opera maggiore in francese e il trovatore Raimbaut de Vaqueiras compone una poesia di cinque strofe in cinque Lingue diverse. Ciò, senza soffocare la letteratura in latino; anzi: Guido delle Colonne traduce in latino un romanzo francese su Troia per uso dei colti; si eseguono redazioni abbreviate in latino dei Roman de la Rose e di quello desSept Sages o dei viaggi di san Brandano. Di lì sono usciti via via Alcuino, Alano di Lilla, Giovanni di Salisbury, e infine escono Bernardo, e Dante. Dante si pone al sommo di questo processo, che dopo di lui continuerà fino a Goethe. Curtius fa suo il detto di Eliot che «nella Divina Commedia troviamo più che mai altrove il classico in una lingua europea moderna». Ma il classico trasmesso e filtrato dal «Medio Evo latino»; questo, accanto alla lirica provenzale e italiana, è la base della genesi della Divina Commedia. Se Virgilio essenzialmente ispira la visione dantesca dell'aldilà, il Virgilio di Dante non è quello di Tasso e di Milton ma quello medievale, e vi entra anche il Somnium Scipionis mediato da Macrobio; la forma letteraria della Commedia sboccia dall'Eneide ma risente della concezione epica di Alano. I vantaggi della comunità linguistica del latino e della sua straordinaria elaborazione letteraria furono per le lingue volgari, dalle nordiche alle mediterranee, enormi. Esse sbocciarono da uno strumento linguistico già sofisticato; imparando a maneggiarlo, gli Europei impararono a maneggiare i più raffinati strumenti espressivi, che non erano nemmeno solo espressivi ma anche concettuali. Quella lingua trasmise ed espanse una cultura, e chiunque vi attinse, da Carlo Magno e dalla scuola palatina in poi, non potè non godere della ricchezza di quella fonte comune e trasmetterla con una continuità ininterrottamente alimentata e alimentante, fino all'età moderna. Cario Carena

Luoghi citati: America, Europa, Lilla, Parigi, Romania, Troia