IL MALE OSCURO DELLA JARRE
IL MALE OSCURO DELLA JARRE IL MALE OSCURO DELLA JARRE Padre e figlio quasi estranei GIORNI d'afa, in una città deserta. Lorenzo, un architetto, è a Torino, come tante altre volte, per occuparsi della prima moglie e del figlio; è ospite nella casa, dove ancora abita la sorella. Un week-end e tornerà dalla nuova famiglia. Una situazione comune. E nel racconto di Marina Jarre nulla accade di particolare. Né il protagonista è interessato a particolari percorsi di memoria. Eppure la cronaca di questo passaggio doveroso e annoiato, affrontato con passività, si rivela subito sottilmente perturbante. Sotto le convenzioni dei vari rapporti, con le persone di famiglia e anche con gli amici che rivede, Lorenzo si ritrova di fronte a un disagio, sfuggente ma non per questo meno intenso. Quali sentimenti ha per lui la moglie Silvia, chiusa in un segreto riserbo e capace solo di trasmettere emozioni attraverso le sue immagini di fotografa? E la sorella Valeria con le letture estive di classici, e le stanchezze e le illusioni sentimentali non lo invischia forse in un reticolo irrisolto, dove trapelano le incomprensioni e le difficoltà della famiglia d'origine? Lorenzo ottiene risposte vaghe, distraenti, ambigue, ogni certezza gli si sgretola. Punto cardine dell'esperienza è il figlio; Francesco lo induce a un confronto generazionale, a una riflessione su come possa rivivere in condizioni mutate l'utopia della giovinezza. E Lorenzo rimane perplesso, nel verificare come gli antichi entusiasmi non trovino più sintonia e anzi siano guardati con ironia. Agli slogans irruenti della contestazione si sostituiscono scritte inneggianti a Pietro Micca, postmoderne e scettiche, mentre i sogni comunitari approdano a ritiri campestri in vaghi progetti di rigenerazione. Il confronto non è più nelle parole, nelle idee, ma si muove attorno a gesti che per voler essere di buon senso, finiscono per risultare veri paradòssi. Attenta da sempre al dialogo tra generazioni, Marina Jarre coglie nella cerchia attorno a Francesco, il figlio, sfumature acute e caratterizzanti di uno sti¬ le e di una visione del mondo. I giovani sono colti con passione e precisione, e sono figure che sentiamo vicine. Così l'autrice ci cattura, sollecita a identificarci nei rapporti che lei analizza, con ascolto partecipe e senza amarezza. Lorenzo si smarrisce in un giocò di riflessi, c'è qualcosa che 10 prende e lo svia, e anziché far delle scelte si abbandona a un flusso che non controlla, che segue come un destino. Quando soccorre il ragazzo tossicomane, è come se toccasse il nodo opaco del percorso, da quel punto i gesti, gli accaduti si succedono come qualcosa alla deriva che azzera i progetti. Con vivacità Marina Jarre ci fa partecipi di domande vive, concrete, ed evoca un panorama che sgomenta, il consumarsi con le ideologie delle principali coordinate di riferimento. E' questo l'attuale male oscuro, la difficoltà a dare un senso a qualcosa che sembra invece arenarsi contro l'opaco, senza lotta e senza dialogo. La sapienza narrativa sta nel far emergere con naturalezza queste sensazioni sottili e lasciarle crescere e associarsi nel loro moto spontaneo, senza ridurle a tesi. E' come una letteratura minimale, che non solo isola e mette a fuoco dei particolari, ma ci fa cogliere nelle voci dei personaggi quanto prende transitoria e incerta forma sul crinale tra detto e non detto. Lettura fenomenologica e non fenomenica, 11 racconto registra ogni variazione dei vissuti, mantenendo vitale e insostituibile per la conoscenza lo strumento specifico della scrittura. E' nell'equilibrio tra descrizione e rifrazioni metaforiche, nella misura rispetto alle situazioni, alle figure, agli oggetti, che si delinea la verità umana dei personaggi, ritratti su un fondo di città derealizzata e senza tempo, dove anche l'inquietudine atmosferica, tra calura gonfia e scrosci di pioggia, evoca dubbi, angosce, fragilità, insicurezza. Giuliana Morandini Marinajarre Tre giorni alla fine di luglio Bollati Boringhìerì pp. 140, L 20.000 getto unico, creato da una tecnica che muore nel momento preciso della sua creazione: «Fra ciò che vedo e ciò che dico/fra ciò che dico e taccio/fra ciò che taccio e sogno/fra ciò che sogno e oblio,/ la poesia/Guizza/tra il sì e il no:/dice/ciò che taccio,Aace/ciò che dico/sogna/ciò che oblio./Non è un dire:/è un fare TE' un fare/che è un dire ./La poesia/dice e si ascolta//è realeJE appena dico/è reale,/si dissolve». L'impegno e l'utopia definitiva di Paz stanno nel salvare l'uomo attraverso ìapalabrapoética «che non conosce confini, che salva dalla solitudine, che perpetua la speranza attraverso il canto dell'amore e fa della massa un popolo di individui». Giuliano Sona Octavio Paz Il fuoco di ogni giorno (a cura di Ernesto Franco) Garzanti, pp. 278, L 48.000
Persone citate: Ernesto Franco, Garzanti, Giuliana Morandini, Giuliano Sona, Marina Jarre, Octavio Paz, Pietro Micca
Luoghi citati: Torino
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