FAETI IL RIBELLE
FAETI IL RIBELLE FAETI IL RIBELLE «L'archivio di Abele», cronache di un'Italia minore Due fratelli a Bologna: vizi, furbizie, sregolatezze ÉTSÀ ARO Antonio Faeti, ti M ■ confesso che non so Hj 1 cosa pensare del tuo 1 i romanzo ma prima f ancora non so come leggerlo. Raccontando , I la storia (così probabili I le) di Arnaldo e Franwk 1 co, due fratelli bolo^Ls gnesi nati prima della guerra e ancora oggi viventi, hai voluto raccontare gli ultimi sessant'anni del nostro Paese magari dicendoci che da ieri a oggi nulla è cambiato, le stesse virtù si presentano come gli stessi vizi, le stesse dedizioni e le stesse furbizie, gli stessi sogni generosi e le stesse pratiche perverse, le stesse promesse e le stesse smentite e, insomma, la stessa vitalità infruttuosa e a perdere continua a marcarci, nonostante la democrazia e la conquistata libertà? Volevi raccontarci Bologna e i suoi abitanti, una Bologna rabelaisiana, avventurosa, anarchica e rocambolesca, che pensa con la pancia, faziosa, che risponde alle provocazioni, che provoca, che ride, che insulta, che tollera? Ti sei accorto che nelle tue duecentocinquanta pagine manca quasi del tutto il cibo (il mangiare), c'è solo un po' di vino (ma uno dei due fratelli è commesso in una bottiglieria), non ci sono crapule e ubriacature se non di testa (solo abbandoni a fantasie senza freno), c'è molto sesso, ma praticato più con efficienza che con passione? Sì, tu dici, ci mancherebbe, ho evitato i luoghi comuni, che per quel poco che hanno di vero sono un'acquisizione ormai generalizzata: chi non sa che Bologna ha i portici ed è di colore rosso? Se questa è la tua risposta, allora ho capito: con il tuo romanzo hai voluto fare un viaggio nella cultura popolare (film, libri, fumetti, riviste e quant' altro) in voga in Italia in questi ultimi sessant'anni, compiendo un'operazione tra Eco e Riotta. Eco scrive i suoi romanzi manipolando il materiale della grande biblioteca universale (qualche volta inventandone gli esemplari più rari); Riotta affida il filo delle sue storie, peraltro affatto moderne e originali, a una serie ininterrotta di citazioni dai capolavori dei grandi scrittori (più spesso romanzieri) italiani e stranieri di ieri e di oggi. Tu non fai né l'una né l'altra cosa: ma fornisci un quadro conoscitivo, dettagliato e esauriente, del consumo della produzione culturale popolare dell'Italia post-risorgimentale e lo fai trasformando i due tuoi protagonisti (come i numerosi personaggi che li contornano) in altrettanti replicanti degli eroi proposti da quella cultura, dei quali gli fai (fai loro) ripetere alla lettera (e in piccolo) passioni, sentimenti, imprese. In pratica tu racconti la storia di una famiglia bolognese composta da un padre, una madre, due figli maschi (prota- MLXCOAC fu il mio villaggio: tre sillabe notturne, / un velo d'ombra sopra un volto solare. / Venne Nostra Signora, la Madre delle Tempeste. / Venne e lo divorò. Io vagavo per il mondo. / La mia casa furono le mie parole, la mia tomba l'aria». Pochi versi riassumono il pensiero di un uomo che ha dedicato se stesso non soltanto alla poesia ma anche e soprattutto all'indagine storica e filosofica sulle origini del proprio Paese; quest'uomo è il messicano Octavio Paz, Premio Nobel per la letteratura nel 1990. Il fuoco di ogni giorno è una sorta di diario in versi, un autoritratto, ma anche una bibbia di poetica, dove ogni pensiero è al tempo stesso una concezione del mondo e una riflessione sull'essenza della poesia. Interprete del sostanziale dualismo della poesia messica- Un viaggio nella cultura popolare: come film, libri, riviste, fumetti Disegno tratto da «American llliistratu)ii7»v r ' ¥ ispirano lavila avventurosa di Arnaldo e Franco gonisti del racconto), due figlie femmine e molti parenti (sparsi nella provincia marco-romagnola) dagli inizi degli Anni Trenta a tutti gli Anni Ottanta. Tutti sono grandi lettori. Il padre, fascista e fracassone, ha come libri di comodino Arnaldo Cipolla, Guido Milanesi e Mario Appelius e con le parole della loro retorica tuona in famiglia finché, caduto il regime, elegge a propria bibbia La Rua (certo la ruota gira ma il numero ritorna) di Gian Dauli. La madre, stesa su una ottomana, consuma l'intera «Biblioteca circolante Brugnoli» che raccoglie tutta la letteratura d'appendice italiana e francese (da «Zevago a Ponson de Ferrail fino a Guerrazzi e Gramegna») e poi, a guerra finita, gli americani S. Lewis, Steinbeck, ecc. Ma il suo libretto rosso, cui ispira le decisioni nei riguardi dei figli, è II padrone delle Ferriere di cui condivide l'amore per l'aristocrazia. E si inventa dei parenti nobili - lei «che è stata scambiata a balia» - ver so i quali spinge il figlio coni plice. E i due fratelli? Il più grande è il vero protagonista del romanzo, l'altro è il deuteragonista (e vedremo anche l'io nar rante). Insieme ne combinano di tutti i colori o, meglio, è il grande a fare di tutto, l'altro si limita ad ammirarlo e trepidare per lui. Arnaldo (il grande! non tarda molto, è ancora bambino, a farsi ribelle: alla scuola preferisce le lavandaie, ingoia ostie senza confessarsi, viene chiuso in collegio, scappa, torna, fonda centri di masturbazione intitolati a Luisa Ferida, organizza feroci beffe a danno del Padre priore, scappa ancora, si mischia alle bande nere e poi ai partigiani, torna a Bologna, capeggia azioni contro i comunisti, diventa informatore della polizia, fugge, si sposa, ha due figli, è tra i soccorritori delle vittime dell'alluvione di Cornacchie salva un cane, incontra un principe napoletano, diventa il suo galoppino elettore, segue a Milano una nobildonna brutta e vecchia, torna ancora a Bologna, apre una cantina dove tutti gli adepti devono vestire di nero come Juliette Greco, ecc. ecc. Questo all'ingrosso il percorso delle sue avventure, percorso che si intreccia strettamente, anzi coincide, con quello delle sue letture e dei film che fin da bambino, grazie ai due cinema sotto casa, ha potuto vedere. Ma che libri legge? Naturalmente... è un assiduo dei fumetti del Vittorioso e del Corriere dei Piccoli, ma, è appena cresciuto, che si lancia nella lettura dei romanzi di Salgari e dei capolavori di Victor Hugo che alterna con stimolanti manuali di contro-pedagogia del tipo Piaceri e crudeltà storiche di Paul Jadis e Ore allegre di Giuseppe Petrai; si infiamma quindi per i romanzi Sonzogno e i gialli Mondadori di cui si fa consumatore accanito come del settimanale Crimen e dei fascicoli del «Club del Mistero», infine si appassiona a La nausea e a II muro di Sartre. E il fratello deuteragonista? Ovviamente ha le stesse letture del fratello maggiore di cui è ammiratore e seguace. Ma è anche l'io narrante e allora ha le stesse letture (la stessa sapienza) dell'autore. Ma come: non è poco meno di uh analfabeta, commesso di un negozio di vini? E allora? Allora niente. Così è. Ciascuno è libero di soffrire o rallegrarsi per la contraddizione. Rimane che il romanzo punta alto e colpisce basso, è colto e ingenuo, spinge senza frutto il pedale dell'ironia, manca l'allegria che si propone, cresce senza svilupparsi. E' che Faeti sa manovrare bene la penna ed è fin troppo a suo agio nella materia che insegna (storia della letteratura per l'infanzia) ma deve meglio addentrarsi nell'arte del nar rare che, a dirla poveramente, non è guardare in faccia il mondo (e per ciascuno il mon do è ciò con cui uno ha più dimestichezza) ma raccontare l'altro lato delle cose, quello invisibile. Angelo Guglielmi Antonio Faeti L'archivio di Abele Sellerio pp.2SI.L 15.000
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