L'ultima amarezza del grand-commis «Ho dovuto sostenere politici mediocri»

L'ultima amarezza del grand-commis «Ho dovuto sostenere politici mediocri» L'ultima amarezza del grand-commis «Ho dovuto sostenere politici mediocri» UN ARCHITRAVE DEL SISTEMA SROMA E è vero che la storia d'Italia degli ultimi cinquantanni dovrà essere interamente riscritta, allora è vero anche che in essa dovrà essere riscritto il ruolo che Guido Carli vi ha avuto. Di questo mezzo secolo di storia, infatti, egli è stato non solo un protagonista, un'autorità intellettuale, un riferimento indiscusso forte anche del prestigio che all'estero, da> Washington a Mosca, gli era riconosciuto. E' stato anche, e forse soprattutto, un architrave. !Poco più che quarantenne, e con una già consolidata fama di tecnico brillante e poliedrico, giunge al vertice della Banca d'Italia all'inizio degli Anni 60 apportandovi subito tutta la carica del salto generazionale che con lui veniva compiuto rispetto alla Banca di Menichella. Chi lo ricorda, ha ancora davanti agli occhi un vero e proprio manager moderno che passava gran parte del suo tempo girando per ogni stanza di quell'immenso ed austero palazzo non per controllare, ma per rendersi conto, per partecipare al lavoro di tutti e tutti galvanizzare sul suo progetto di fare della Banca il maggiore, più attrezzato e perciò il più autorevole punto di riferimento dell'economia italiana. Voleva il meglio degli uomini e da ciascuno pretendeva il meglio perché la Banca doveva mettersi in grado di sostenere ed affermarsi in ogni confronto: con il sistema bancario, con il mondo accademico, con gli esponenti politici. Il disegno gli riuscì grazie anche all'abilità ed alla fortuna con la quale potè scegliersi collaboratori del calibro di Occhiuto, di Ossola, e soprattutto di Baffi, di Sarchielli e dello stesso Ciampi. E gli riuscì anche in breve tempo, tanto che a metà degli Anni 60 la Banca d'Italia già era diventata cosa ben diversa da quella misteriosa e riservata istituzione che i più conoscevano solo per il fatto che figurava nella intestazione delle banconote. Era già quel polo di riferimento che Carli aveva voluto, quell'autorità le cui posizioni erano dirimenti per ogni polemica, quel centro che riforniva di analisti e consulenti le altre istituzioni. Erano gli anni, quelli, nei quali il centrismo cominciava a mo strare le prime crepe e nei quali le tensioni politiche e sociali stava no già prospettando la insuffi cienza della maggioranza dega speriana incardinata sulla de. Si stava delineando il tempo del centro-sinistra e, quindi, dello spostamento del confine che divide la maggioranza dall'opposizio ne nel bel mezzo delle forze poli tiche di ispirazione marxista: il psi, quello di Nenni, nella maggioranza ed il pei all'opposizione Una maggioranza dunque congenitamente debole per il fatto che nasceva condizionata dall'esigenza di non offrire alcuno spazio po litico ad una eventuale crescita del partito comunista. Una maggioranza, dunque, che doveva da re riforme, redditi, assistenza, in cernivi, tutto; ma senza chiedere, o chiedendo il meno possibile. L'artefice che consentì a quella maggioranza di formarsi e poi di durare a lungo fu proprio Carli. Concepì e realizzò un sistema nel quale tutti i flussi finanziari transitavano attraverso il sistema bancario. Il controllo ed il condizionamento che la Banca d'Italia era in grado di esercitare sulle banche avrebbe in tal modo consentito - e Carli lo ammise esplicitamente - il controllo sulla formazione e sull'impiego del risparmio. Con vincoli amministrativi sulla gestione delle banche e con un controllo serrato sul mercato finanziario (per anni le obbligazioni pubbliche vennero emesse al 6% nominale e quotavano tutte 96, né un centesimo in più né un centesimo in meno) costruì quel gemale circuito attraverso il qua¬ le il settore pubblico poteva spendere in disavanzo perché poteva essere sicuro che ciò che spendeva gli sarebbe tornato come finanziamento dello stesso disavanzo. Risale a quel tempo la sua affermazione secondo la quale il rifiuto di finanziare lo Stato, sia pure coartando il mercato o addirittura generando inflazione, «sarebbe equivalso ad un atto di sedizione». In epoca successiva ebbe a dichiarare che la sua opinione si era modificata, ma ciò non deve stupire perché tutta la sua vita è stata segnata dalla continua contrapposizione tra principi e prassi, tra l'impostazione teorica dei problemi ed il pragmatismo, qualche volta persino cinico, col quale nella realtà finivano per essere affrontati. Ed infatti, sebbene risalga a quel tempo la genesi di alcune tare - la crescita dell'indebitamento pubblico, la deresponsabilizzazione della classe politica rispetto ai vincoli di natura finanziaria, l'assenza di cultura imprenditoriale delle banche, l'arretratezza del mercato finanziario, la compressione delle libertà valutarie -, tare che l'Italia si è dovuta portare appresso negli anni, ed alcune delle quali sono tuttora irrisolte, non bisogna concludere che Carli sua stato tout-court un dirigista; al contrario. Non solo la sua formazione e la sua mentalità sono sempre state permeate di un con¬ vinto liberismo e le sue rappresentazioni dei problemi sempre inquadrate nello scenario internazionale e sempre integrate da una cultura che spaziava ben oltre i pur ampi campi nei quali il suo ufficio doveva esercitarsi. Ma anche la sua attività operativa è stata coerente con il fine dell'integrazione italiana nell'Occidente industrializzato. Prima di entrare in Banca d'Italia aveva lavorato all'Ufficio italiano dei cambi ed era stato ministro per il Commercio con l'estero. Nel primo e, soprattutto, nel secondo incarico si batté con successo perché l'Italia - un'Italia economicamente gracile nella I quale anche il mondo inprendito- riale era ancora incline al protezionismo - partecipasse a tutti gli accordi internazionali che avessero per scopo la liberalizzazione degli scambi, il superamento del bilateralismo, la verifica in un libero mercato del valore esterno della moneta. In tal modo, non solo fu tra coloro che predisposero le condizioni necessarie perché l'Italia potesse concorrere alla istituzione del Mercato comune europeo, ma conseguì un consolidamento valutario che a tutt'oggi trova espressione nella tangibile consistenza delle 2592 tonnellate di oro delle nostre riserve. Questa ambivalenza di Carli si compone nella concezione del ruolo istituzionale che si trovò a svolgere. Sebbene avvertisse i guasti che l'inefficienza politicoistituzionale andava producendo, ed amasse ripetere che «è garanzia di democrazia il pluralismo delle istituzioni, non il pluralismo nelle istituzioni», riteneva che il suo ruolo, al pari di quello di ogni altro grand-commis dello Stato, fosse sempre e comunque subordinato alle scelte di chi traeva dal voto popolare la legittimazione del proprio potere. Ma questo è il punto per il quale oggi, alla luce degli eventi che stiamo vivendo, il giudizio su Carli deve essere riconsiderato. Mettendo in pratica questa sua filosofia, infatti, Carli non ha solo assecondato la realizzazione dei disegni politici imposti dal potere legittimato dal voto, ma ha anche consentito a quel potere di continuare a legittimarsi col voto malgrado l'evidente danno che le sue scelte andavano determinando. Un tempo, se qualcuno lo portava davanti a considerazioni di questo genere, Carli si arroccava dietro la forza dialettica con la quale era capace di costruire un'argomentazione tecnica per ogni possibile assunto. Si piccava, in questi frangenti, di trovare testimonianze del suo pensiero in qualche passaggio delle quindici «considerazioni finali» che ha letto da Governatore, non senza avvertire però, in omaggio alla sua onestà intellettuale, che «in queste considerazioni c'è tutto ed il contrario di tutto». In tempi più recenti questo arroccamento si è via via indebolito. Fino a quando, solo pochi mesi fa, deluso ed amareggiato per l'esito della sua esperienza al Tesoro al fianco di Andreotti e Pomicino, ammise di aver favorito la crescita ed il consolidamento di una classe politica mediocre. Ma - aggiunse - «ho ritenuto che fosse importante non consentire al pei di andare al potere». «Il pei - sono ancora sue parole - faceva proposte catastrofiche delle quali oggi molti si sono scordati». E concluse: «Il resto è stato solo una conseguenza». Alfredo Recanatesi Sua l'«apertura» al psi di Nenni nel '63 Consolidò la posizione valutaria del Paese ma avallò molte errate scelte di governo Un'immagine del 1965 di Guido Carli con la moglie al matrimonio della figlia Antonella A destra una recente immagine di Guido Carli A sinistra una sua foto con Paolo Baffi allora direttore generale della Banca d'Italia A destra Carli con Andreotti

Luoghi citati: Italia, Mosca, Ossola, Washington