l'intramontabile «rosa» dc dopo incontri scontri e veti

8fe Sfumata l'ipotesi del governo istituzionale, la de divisa propone a Scalfaro più candidati l/intramontabile «rosa» de dopo incontri, scontri e veti ROMA. Ore 10 di ieri mattina, alla buvette di Montecitorio davanti ad un cappuccino e un cornetto, un gruppo di deputati de, di medio e piccolo calibro, svelano gli umori del partito sul prossimo governo. Spiega Clemente Mastella: «Ho parlato con Martinazzoli e mi ha detto che l'incontro con il pds non è andato bene. Ci hanno chiesto di accettare Napolitano e noi abbiamo risposto che ci sono problemi e gli abbiamo fatto il nome di Elia. Io gli ho detto che noi facciamo male a dire di "no" a Napolitano. Gli ho anche detto che, a questo punto, l'unico nome che abbiamo è il suo, Martinazzoli. Mino non mi ha risposto sull'argomento. Mi ha riferito solo che molti de, come De Mita, puntano su Spadolini». Mastella si ferma un attimo e sorseggia il cappuccino, quando interviene come una furia il forlaniano Bonferroni. «Ma quale Napolitano!» si arrabbia. «E' il momento di fare il nome di Segni, prima che la merda ci sommerga. Napolitano non ha carattere. Allora sarebbe meglio la lotti, almeno lei è di parola. Eppoi perché dovremmo avere paura di Segni, non può nuocere visto che farebbe solo quello che gli chiede la Confindustria». Non avesse mai fatto il nome di Segni il povero Bonferroni. Romeo Ricciuti, exdoroteo, lo assale. «Segni? esclama -. Ma che siamo matti! Quello vuole un sistema politico che non mi piace. Eppoi è un cretino. Non ci sono dubbi: meglio Napolitano». Incredibile de. E' in crisi, ha di fronte un problema di sopravvivenza, eppure ha ancora il coraggio di dividersi sui nomi. E forse, prevedendo questo, ieri Mino Martinazzo li ha visto bene di tenere la riunione della direzione sulla crisi di governo al vecchio centro studi della Camilluccia, più adatto a tenere lonta ne le orecchie indiscrete che non le mura bucate di Piazza del Gesù. E lì, davanti ai vecchi e nuovi capi de, ha fatto il «check up» della situazione, facendo il punto anche sullo stato dei rapporti con quel nuovo interlocutore che è il pds. Il segretario nel suo rac conto è stato chiaro: «Ho spiegato ad Occhetto e ai suoi - ha detto - che su Napolitano nel la de ci sono dei problemi...». Di più, in quella sede, non ha detto. Non ha raccontato, ad esempio, delle stranezze di Occhetto che al telefono ha fatto anche i nomi di Segni (ri cevendo un grugnito da Mar tinazzoli) e di Elia, eppoi nella riunione delle due delegazioni due giorni fa, ha parlato solo di Napolitano. E ha tralasciato anche di confidare agli altri la confusione che ha in testa su un punto: non è riuscito a capire se è stato Scalfaro suggerire ad Occhetto il nome di Elia o viceversa, come rac contano al Quirinale. Né ha voluto spendere una parola, come ha fatto invece con i socialisti, sui problemi che a livello internazionale pone la candidatura dell'ex-comunista Napolitano. «Sì, - ammettono Enrico Manca e Mario Raffaelli, cooptati nella delegazione del psi - anche noi abbiamo capito che un problema sulla candidatura di Napoli- tano alla presidenza della Consiglio viene anche dall'estero». Né, infine, ha fatto partecipi i suoi interlocutori delle ultime voci, non si sa se fondate, sulla disponibilità del pds di concedere ad un governo Elia l'astensione e qualche «tecnico». No, su tutto questo, Martinazzoli ha preferito non scendere in particolari. Ha detto qualcosa di più, ma neanche tanto, sulle convergenze che ci sono state sul programma, e cioè che il pds in fin dei conti sarebbe disposto a dare un anno di tempo al governo («anche perché - ha spiegato il governo non è una mozzarella che ha una scadenza»), che non esige una patrimoniale o la tassazione dei Bot, che gli si può dare la riforma sanitaria e l'abolizione dell'immunità parlamentare. Gli altri lo hanno guardato alcuni acconsentendo, altri con una certa meraviglia, altri con ostilità. E, con il solito volto pensoso, ha ascoltato i tanti suggerimenti. Gabriele De Rosa è tornato a parlare di Napolitano ed Elia. Piccoli ha spezzato una lancia anche in favore di Napolitano. De Mita ha spiegato che bisogna tentare prima su di un de e, quindi, ci si può indirizzare verso Spadolini o Napolitano. Hanno fatto sentire la loro voce anche i nuovi e i vecchi forlaniani. Pierferdinando Casini ha teorizzato aperta¬ mente una candidatura Segni, seguito da altri tre autorevoli esponenti della direzione democristiana. In alternativa ha chiesto a Martinazzoli di scendere lui stesso in campo e magari, se deve essere proprio uno dei presidenti delle due Camere, di guardare più a Spadolini che a Napolitano. Anche lo stesso Forlani non ha detto «no» sul nome di Segni: «Come diceva il padre di Mario - si è limitato a dire - : "Mai dire mai"». Ed ancora: Gerardo Bianco ha detto chiaramente che il Capo dello Stato preferisce non muovere nulla nelle cariche istituzionali (quindi non sono disponibili né Napolitano, né Spadolini) e si è appassionato al nome del governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi. Binetti è tornato a parlare di Napolitano. Altri nella sinistra hanno dato peso al nome di Leopoldo Elia, a quello di Nicola Mancino e di Beniamino Andreatta. Insomma, tante indicazioni, tante parole, tanti ragionamenti. Forse anche troppi. Ma alla fine, tirando le somme, il segretario della de ha capito quello che già sapeva: e cioè, che la de farebbe molta fatica a digerire il nome di Napolitano e che in alternativa ci sono diversi nomi nessuno dei quali, però, darebbe in sé la certezza di riscuotere il consenso del pds. E allora? Meglio fare una «rosa», la solita, intramontabile «rosa» democristiana e lasciar scegliere al Capo dello Stato. Del resto, anche usando questo metodo antico, ci vuole poco a capire quanto questa de stia cambiando. Una volta nomi d'obbligo di quell'elenco erano i vari De Mita, Andreotti, Forlani, Colombo e altri ancora. Oggi non ce ne è traccia, per ragioni anagrafiche o giudiziarie. Al loro posto ci sono quelli di Elia, Andreatta, Prodi. Augusto Minzolini Manca (psi): «Napolitano? Problemi anche dall'estero» 8fe A sinistra, il segretario della de Martinazzoli Sopra, Leopoldo Elia «candidato» per Palazzo Chigi

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