Uno nessuno centomila Zelig

Pirandello e i paradossi d'oggi Pirandello e i paradossi d'oggi Uno, nessuno centomila Zelig Sta per uscire da Feltrinelli la riedizione di Uno, nessuno e centomila, l'ultimo romanzo di Luigi Pirandello, pubblicato nel 1926, che segna il culmine della riflessione sullo smembramento del soggetto, avviata 22 anni prima con // fu Mattia Pascal. La nuova edizione è arricchita da un'ampia introduzione di Remo Bodei, intitolata Uscite di sicurezza. Ne anticipiamo la parte finale. TkJ ON si può fare a meno di ■ osservare come oggi, al- ■ l'interno almeno dell'a1 rea geo-politica in cui ci A_U situiamo, i problemi della scissione della coscienza, delle personalità multiple o della crocefissione dell'individuo sui due bracci del nome e del ruolo - che proprio Pirandello aveva reso popolari - appaiono sostanzialmente sdrammatizzati nella «vita» e nella percezione abituale dei soggetti. Le cause di questo fenomeno non sono del tutto chiare. In assenza di un attendibile prospetto sinottico, alcuni frammenti di spiegazione poggiano tuttavia su basi sicure. E' cosi certo che il mantenimento di un'identità o di una identificazione rigida preoccupa o scandalizza molto meno di prima tanto i singoli quanto le società nel loro insieme. Questo accade o perché le esigenze a cui corrispondeva la difesa intransigente della compattezza della personalità sono state ormai sufficientemente metabolizzate e somatizzate oppure perché, come sostiene con piglio risoluto il filosofo inglese Derek Parfit, l'identità è una questione di cui intrinsecamente non ci importa più nulla: identity does not matter. Un'altra ragione, carica di conseguenze, è da ricercarsi nell'ostentata indisponibilità dei più a farsi catturare dalle pirandelliane «trappole della vita». Lo si può osservare a partire da sintomi inappariscenti, dal diffondersi, ad esempio, di condotte interessate a comunicare - mediante segni esteriori - il bisogno di disidentità, anche nelle forme che Ervin Goffman aveva individuato nelle prese di «distanza dal ruolo»: gli impiegati di banca che non portano più la cravatta o la giacca o i professori che indossano blue-jeans in classe. In diverse zone della nostra cultura si è poi fatta strada negli ultimi decenni la convinzione che possa essere addirittura gratificante convivere avviluppati nei «nòdi» del proprio «io diviso» o che l'esistenza del singolo si arricchirebbe sicuramente se potesse declinarsi in una serie di «vite parallele», senza preoccuparsi oltre un certo limite della loro coerenza e compatibilità reciproca. Essere simultaneamente fedeli e infedeli a tutti i propri «io», diventare «centomila» ma alla maniera mimetica di Zelig -, suddividere la propria lealtà tra vari interessi e ideali, aromatizzare il sapore dell'esistenza mediante la frequentazione di circuiti sociali eteroge nei, più che fattore di disgregazione o di corruzione dell'identità, è diventato quasi un obbligo, un must d'ordinanza, e, insieme, un metodo di «realizzazione» dei singoli e dei rapporti interpersonali. E questo soprattutto in un mondo in cui la distinzione tra il reale e il virtuale, gli enti fisici e i simulacri «immateriali» tenderebbe a ridursi sino a scomparire. Dopo un'epoca dominata dal pathos per le «contraddizioni» e dal richiamo del «profondo» abbiamo recentemente attraversato una fase che si potrebbe definire per brevità «post-pirandelliana», di smussamento cioè dei conflitti psichici e sociali e di scarsa propensione a scrutare le turbolenze degli inferi. La geniale battuta di Oscar Wilde, secondo cui il vero superficiale è colui che non guarda alle apparenze, è stata presa sin troppo sul serio. Sono dunque tramontate le drammatiche esigenze poste da Pirandello? I paradossi da lui analizzati con tanta tenace crudezza si debbono considerare melodrammi fuori moda, costumi teatrali smessi abbandonati alla polvere dei ripostigli? La mia risposta è nettamente negativa. Sono convinto che la lezio ne di Pirandello stia ricuperando una nuova incisività, anche sul terreno non strettamente letterario. (...) Quando sorgono tensioni individuali e sociali inedite, intrinsecamente opache o non sufficientemente comprese quando la distribuzione dei ruoli, degli oneri e dei benefici non corrisponde più alle linee di tendenza in atto nelle trasformazioni delle gerarchie psi chiche e nelle torsioni della storia; quando, infine, si impongono scelte precise e inaggirabili, tutto ciò sta a suggerire che è arrivato il momento opportuno per riflettere con maggior chiarezza e per rinfrescare il proprio sguardo sul mondo. Leggere o rileggere Pirandello non offre indubbiamente alcuna soluzione diretta alle nostre domande. E' anzi probabile che ne moltiplichi il numero. Ma anche per questo i classici sono tali: dislocando e articolando i nostri pensieri e i nostri sentimenti, ci aiutano'ad aprire meglio il ventaglio dei possibili e a immaginare allegoricamente quali percorsi verso la realtà essi potrebbero prendere senza esaurirsi. Remo Bodei