il messia fucilato

il messia fucilato Texas 1993, Italia 1878: anche nella nostra storia un caso di «follia» religiosa finita nel sangue il messia fucilato IL personaggio che si proclama il nuovo Cristo, riunisce una comunità di fedeli per diffondere il verbo della giustizia e muore alla testa dei suoi in uno scontro con la forza pubblica è esistito anche in Italia. Con il messia del Texas aveva in comune perfino il nome, Davide. E poi, per quasi tutto il resto, era diverso, anche in senso religioso. Davide Lazzaretti, ex garibaldino, nella seconda metà dell'Ottocento aveva fondato sul Monte Amiata una singolare «Repubblica di Dio», spiacente al Papa ed ai nemici suoi. Era il profeta di una società contadina che rifiutava tutte le parole d'ordine trasmesse dall'alto, sorda alle istituzioni. Soltanto lui, il barrocciaio toscano che reinterpretava la Bibbia, era in grado di convincere questi uomini. L'avventura di Davide Lazzaretti si colloca sul versante minoritario della storia, nasce già destinata allo scacco. Il personaggio è l'eroe perdente di un anti-Risorgimento che si tinge, per una imprevista congiura delle circostanze, di antipapismo; campione di una fede invisa tanto ai potenti dello Stato quanto a quelli della Chiesa. Era nato nel 1834 ad Arcidosso, un paese di mezza montagna circondato dai boschi; era stato un famoso bestemmiatore, aveva indossato la camicia rossa negli scontri con le truppe pontificie. Ma un giorno lo avevano visto tornare al paese trasformato. La sua via di Damasco lo aveva portato a un borgo della Sabina, dove era stato colto da febbri, che avevano favorito strane visioni. Ai suoi fedeli disse poi di aver avuto vari incontri con la Madonna e San Pietro. Nella grotta di Montorio Romano, dove si era ritirato a fare l'eremita, era venuto fuori anche uno scheletro, che, secondo il novello Davide, apparteneva a un suo lontano antenato, Lazzaro Pallavicino, figlio naturale del re di Francia. Informazioni nebulose, avvolte nella leggenda, ma destinate a fare presa sul suo seguito, passando di voce in voce. Il futuro profeta era stato anche all'isola di Montecristo per prepararsi alla sua missione, come Gesù nel deserto. A 36 anni, il figlio del carrettiere si ripresentò ai suoi compaesani come il secondo Messia. Era un uomo alto, vigoroso, i capelli al vento, la grande barba e sapeva farsi capire da quel pubblico di montanari, pastori, boscaioli, carbonai. «Dopo 1870 anni è scaduta la cambiale e Gesù ora chiede il rimborso», disse ai primi seguaci, riuniti sul monte Labbro, un'altura dell'Armata, da lui ribattezzato, con intuizione costantiniana, monte Labaro. Le file del movimento si ingrossarono presto, ai primi «dodici apostoli» da lui nominati si aggiunsero tanti discepoli, venuti anche da lontano. Arrivarono perfino due pre- ti, padre Polverini e Filippo Imperiuzzi. Dopo la sospensione a divinis. Polverini lasciò il gruppo, Imperiuzzi vi rimase, come vice dello stesso Lazzaretti e poi come suo continuatore. La Chiesa, sulle prime, non avversò l'uomo di Arcidosso. Il vescovo di Montalcino permise la benedizione di una cappella da lui costruita; don Bosco testimoniò a suo favore; lo stesso Pio IX lo ricevette in Vaticano. Ma Lazzaretti si spingeva su posizioni sempre più radicali, chiedeva che fosse abolito il celibato dei preti, sosteneva che l'inferno fosse solo una pena temporanea, sostituiva la confessione auricolare con un atto di pentimento pubblico. E, dopo la morte di papa Mastai, venne la scomunica; alla quale Lazzaretti rispose scomunicando il nuovo Papa. Lo Stato non aveva atteso tanto per sospettare di quel pericoloso eversore e di quella comunità dove tutti i beni venivano messi in comune. Già due volte le rivelazioni di qualche pentito avevano portato Lazzaretti in carcere, con accuse di frode che si rivelarono poi infondate. I notabili della zona diffidavano. Li disturbava soprattutto il suo programma sociale, che preannunciava l'era del diritto (e di lì il movimento si sarebbe chiamato giurisdavidico). Quell'ex conduttore di cavalli, nell'Italia che imponeva ai poveri la tassa sul macinato, predicava l'uguaglianza, l'istruzione obbligatoria e gratuita, voleva scardinare uno fra i principi su cui si reggeva la società chiedendo - inaudito - il voto alle donne. Lo scontro finale, inevitabile, avvenne il 18 agosto 1878, una domenica. Quel giorno Davide Lazzaretti aveva riunito migliaia di seguaci sul monte Labaro, per una marcia della fede che doveva puntare su Arcidosso. L'uomo era eterodosso ma legalità-, rio, si era perfino preoccupato di avere il permesso per la manifestazione dalla polizia. Tutto inutile. Il nuovo Cristo aveva preannunciato fin dalla vigilia la fine a cui stava andando incontro. «La mia missione si compie - aveva detto alla moglie -. Sono tutto grondante di sangue. Ma voi non temete. La vittima è già pronta. Io sono quella vittima». Il corteo si mosse, si ingrossò. Lo guidava Lazzaretti in camicia rossa, mantello azzurro, in capo un elmo con tre piume di struzzo e in mano una verga sacerdotale. Quando arrivò davanti al paese c'era ad attenderlo il delegato di polizia De Luca, in stiffelius, cilindro e fascia tricolore, con sette carabinieri, due guardie comunali e un bersagliere in licenza. Il delegato intimò l'alt, Lazzaretti non si arrestò: «Io vado avanti in nome di Cristo, duce e giudice. Se volete misericordia, porto misericordia. Se volete sangue, ecco il mio sangue». Dall'alto volarono sassi, De Luca cercò di sparare contro il profeta, ma l'arma gli si inceppò. E così il fucile del brigadiere Caimi, dopo di lui. Il bersagliere in vacanza, Antonio Pellegrini, non ebbe esitazioni. «Vediamo se lo chiappo io!», gli sentirono gridare dopo una bestemmia. Il colpo andò a segno. Nella confusione che ne seguì restarono uccisi altri tre uomini del corteo, una cinquantina furono i feriti, fra cui molte donne. Il sindaco di Arcidosso non rispose a una richiesta di soc¬ corsi; il farmacista, presente, rifiutò perfino di portare le medicine. Lazzaretti fu caricato dai suoi su una scala a pioli come barella e portato a un paese vicino, dove morì dopo poche ore. «Fucilazione appena mascherata», scrisse Gramsci, rievocando l'episodio. Altri storici, documenti alla mano, cercano di alleggerire le responsabilità del massacro. Ma non possono negare la caccia ai giurisdavidici che si scatenò subito dopo la domenica di sangue, con grandi rastrellamenti sulla montagna, e arresti in massa. La Giunta di Arcidosso, il giorno dopo, votò un elogio per le forze dell'ordi- ne, che «fecero fronte a quelle orde fanatiche e avide di saccheggio». Alla salma di Lazzaretti fu perfino' impedita la sepoltura nel cimitero del paese. Ci sono voluti centodieci anni per rovesciare quel giudizio. Il 18 agosto 1988 il Comune di Arcidosso ha revocato la delibera con la quale «l'illustre concittadino era stato infamato» e ha riabilitato per sempre il santo della montagna, dedicando a lui la via sulla quale era stato ucciso. E' la strada che ripercorrono in processione ogni anno i suoi ultimi discepoli, rari ma fedeli custodi del suo messaggio. Giorgio Calcagno Una veduta di Arcidosso, il paesino sulle pendici del Monte Amiata dove nacque Davide Lazzaretti e dove fu ucciso dalla fucilata di un bersagliere «volontario» •V*.' - t ■■■■ • o, # J David Koresh Sopra: Lazzaretti A destra: un contadino mostra le scarpe del «santo»