Quei portaborse nel tritacarne Prima balie e poi in manette

Ma Valter ego di Forlani ha cantato quasi subito DURA SORTE DURA SORTE DEGLI «ANGELI CUSTODI» Quei portaborse nel tritacarne Prima balie e poi in manette CLAAAAUDIO! Claaaaudio!». L'urlò metallico lanciato da Sergio Restelli doveva oltrepassare una cinquantina di metri di platea, il brusio intenso del Palasport pieno di comunisti e anche le note dell'Internazionale («futura umanità!»). «Claaaaudio!»: e tuttavia dopo aver gridato, Restelli non solo rimaneva a bocca spalancata, ma conquistata ormai l'attenzione a distanza dell'onorevole Martelli, ospite illustre al XVI congresso del pei (Firenze, 1986), con gesto ritmico appoggiava l'indice della mano destra sulla lingua, mentre alzava il polso sinistro in una sorta di misteriosa segnalazione corporea che un istante dopo Claudio mostrò di aver compreso. L'occhiata che seguì poteva anche essere un ringraziamento. Restelli avvisava che era l'ora della pillola, della medicina. Erano giorni di sole. Faceva quasi tenerezza quel giovanottone abbronzato che si prendeva così cura del fragile Martelli. Sergio: eh, classico personaggio da prendere o lasciare. Timido aggressivo - ce ne fosse stato uno, ma uno solo, nel psi che fosse timido-timido - generoso e casinista. Prima di destra, poi di sinistra, Movimento studentesco, fase violenta, servizio d'ordine, poi ludica, da bar, scrocco rivoluzionario e viaggi in taxi Parigi-Milano: «Scusi, monsieur, mi aspetti pure qui che vado a prendere Y argento e chi s'è visto, s'è visto. Piccola grande leggenda della Statale, Restelli: vestiti gessati (nel senso di abiti grigi corretti con vero gesso) e rocambolesca abilità nelle scaramucce con poliziotti per forza di cose ignari che quello scalmanato lì, sì, proprio quello che come in un film aveva aperto il tombino e fatto cadere una paio di colleghi nella buca, con i loro cappottoni da celerini, Restelli insomma, una ventina d'anni dopo aveva l'autista, lavorava a Palazzo Chigi e ne impestava pure la stanze con certe sigarettine indiane. Aveva sempre l'aria soddisfatta. Ieri è toccata a lui. Giorgio Casadei, invece, il Restelli di De Michelis, è la seconda volta che l'hanno messo in carcere. Si è consegnato ormai con il consueto abito di circostanza, che è una tuta da ginnastica. Di questo triestino con i baffi, silenzioso e un po' cupo, più che di tanti altri fa impressione la docilità, la rassegnata pazienza con cui va incontro al suo destino di carcerato, in nome e per conto del brillante ex ministro degli Esteri. Anche nel suo caso il ricordo del bene passato si colora oggi di dettagli crudeli, quasi irreali. Alla Farnesina, si dice - e la formula impersonale copre nidi di anonime vipere - Casadei possedeva un'invidiata poltrona che vibrava e rilassava. Una sorta di Jacuzzi a secco, simbolo di opulenza burocratica. La sistemazione della cospicua segreteria di De Michelis, del resto, aveva comportato al ministero problemi logistici e divenne anche nodo di contese sindacali con la diplomazia. Nel palazzone bianco ancora se ne parla come nelle Filippine del dopo-Marcos. Casadei, a un certo punto, pretese anche le chiavi del cifrario segreto. La resistenza dell'apparato (e, pare, dei servizi) che non gliele ha mai concesse è narrata come un'epopea del bene contro il male. Camillino Zuccoli, infine, era davvero l'ultima persona che doveva finire in galera. Un originale, perciò monarchico. Adorava i nobili e i mobili, certe rarissime torte e con quell'aria compita da viaggiatore in Estremo Oriente, pareva uscito da un quadretto coloniale d'altro secolo. Come sia finito a maneggiare conti correnti Anas (con i nomi dello zodiaco) e cartoni di soldi al servizio di Prandini, lo schiacciasassi bresciano venuto su dal nulla, ecco, anche questo è un mistero inglorioso che aggiunto a tanti altri, sempre miseri nella loro indecifrabilità, ti regala una sensazione di poltiglia umana allo sbando, il presentimento che sulla stagione di questi segretari si sta mettendo una pietra tombale, e allora certi destini individuali sono li, in esposizione, senza immunità'parlamentare, come monito per qualche giovanotto che magari si fosse fatto venire qualche voglia. E' la prima volta che entra nel tritacarne un'intera leva di portaborse. Immolati al cambiamento e a una fedeltà di coppia che tiene sempre meno, con i primi esempi di rottura, di più o meno operoso ravvedimento. Quel signore di nome Amendola, per dire, che Forlani ha ereditato da Tambroni, che ha subito cantato. L'inizio simbolico di un improvviso, angoscioso «tana libera tutti». Inconcepibile fino a ieri. Quasi per tutti il ruolo del servitore, antico come la storia del potere, si legittimava attraverso immagini concrete, viventi, con l'esempio luminoso di portaborse saliti" nell'empireo della politica, come Tony Bisaglia, oppure gratificate nelle loro sostanze come Sereno Freato. Non solo, in una catena virtuosa Bisaglia, portaborse di Rumor, aveva affrancato e beneficiato due suoi portaborse, i futuri onorevoli Danesi e Zampieri, i quali a loro volta avrebbero... Insomma, pullula¬ Ma Valter ego di Forlani ha cantato quasi subito In alto Bisaglia A lato, Freato con Eleonora Moro Sotto, Evangelisti va di buoni esempi Montecitorio: Pino Leccisi era stato l'altra metà di Donat Cattin; Sbardella di Petrucci, e così via. La paurosa indeterminatezza del ruolo a compensare l'intimità, l'esclusività, la complicità di un rapporto che a volte si chiudeva con la morte. La morte del portaborse di Scotti, per esempio, sul palco di un congresso de. Un piccolo mondo di vaga professionalità. Così vaga che agli albori anche Licio Gelli era il segretario di un deputato, l'onorevole de Romolo Diecidue. La moltiplicazione e l'articolazione dei ruoli che prende le vie più diverse, sagomandosi a seconda dei protagonisti. Di Freato, con Moro, s'è detto. Il primo Andreotti, con il giovane Evangelisti come rete di sicurezza, ha l'intuizione di utilizzare, salvandola e quindi assicurandosi fedeltà perpetua, la spaventata burocrazia fascista, in cui spicca la mostruosa conoscenza della macchina amministrativa e la diabolica abilità di Gilberto Bernabei. Mentre il Fanfani più maturo gioca in coppia con Giampaolo Cresci, consigliere tanto ascoltato quanto maltrattato. La vicinanza coatta, la condivisione di chilometri e chilometri, e strette di mano, e cattiverie, e pranzi, e appisolamene repentini, in viaggio, finiva per riverberarsi sui comportamenti della coppia, in una dimensione quasi infantile. Nei ricordi di anziani cronisti c'è anche l'automobile fanfaniana sempre in moto, con i finestrini chiusi, e dentro il piccolo grande leader con i pugni alzati. Eppure solo ora che i portaborse stanno «come d'autunno sugli alberi le foglie» la memoria di quel mondo inevitabile sfuma nell'immateriale di certe atmosfere d'anticamera, in un lessico un po' pietoso e un po' miserabile: «Mi starebbe a cuore...»; «dare una mano...»; «per l'interessamento...». E anche la messa c'era, un santo protettore, e il sindacato dei portaborse, pardon, degli «assistenti» del dottor Del Petriilo. Senza dimenticare il mitico Cencelli, che pareva un'invenzione del «suo» onorevole, Sarti, e invece esisteva, in carne ed ossa, di famiglia papalina. Come sembrava finto - ed era vero - il cognome sensazionale del segretario dell'onorevole Carelli: il dottor Voto. Come? Sì, Voto. Fine corsa, fine raccolta. Segretari «nuovisti» in arrivo. Se ne potrebbe fare a meno, per la verità, almeno per un po'. Filippo Cecca rolli

Luoghi citati: Estremo Oriente, Filippine, Firenze, Milano, Parigi