«Farmi giudicare a Palermo? Mai di quelli non mi fido» di Giovanni Bianconi

Andreotti per la terza volta si difende davanti alla Giunta Andreotti per la terza volta si difende davanti alla Giunta «Farmi giudicare a Palermo? Mai, di quelli non mi fido» ROMA. Giulio Andreotti continua a difendersi attaccando. Nella sua terza deposizione davanti alla Giunta per le immunità del Senato l'ex presidente del Consiglio mette da parte ogni atteggiamento remissivo e accusa i suoi accusatori: pentiti e magistrati, protagonisti di una «macchinazione persecutoria». Per un'ora, ieri pomeriggio al primo piano del palazzo della Sapienza, il senatore a vita inquisito per concorso in associazione mafiosa ha letto la nuova memoria difensiva, quindici pagine"'più una lettera di don Pernice, il parroco della chiesa dove Andreotti è stato fotografato con i familiari di un mafioso. Poi ha risposto alle domande dei commisari. «Perché non chiede lei stesso l'autorizzazione a procedere, in modo da dissipare ogni dubbio nell'opinione pubblica?», insistono i senatori dell'opposizione. E Andreotti, sempre senza scomporsi: «Anche Giovanni Falcone, parlando del Palazzo di Giustizia di Palermo, l'ha definito il palazzo dei veleni». Cita spesso Falcone, Andreotti. Per esempio quando il giudice assassinato, riferendosi al clima creato dalle accuse di Orlando e della Rete, disse sempre al Csm: «Io resisto, ma gli altri colleghi sono in grado di resistere?». Il senatore a vita, comunque, all'immunità non rinuncia: se vuole sia il Senato ad assumersi la responsabilità. Per Andreotti quelli della procura di Palermo sono giudici inaffidabili: «Non credo che abbiano quell'obiettività che garantirebbe il rigore indispensabile... Questa sovrapposizione di notizie e cose patetiche non mi dà alcuna garanzia». Il leader democristiano contesta il continuo arrivo di carte, che sarebbero pure in contraddizione tra loro; denuncia le «escogitazioni pretestuose» del procuratore Caselli e dei suoi colleghi; dice che i magistrati dell'accusa «aggiustano di volta in volta» gli «incidenti di percorso» dei pentiti. Baldassarre Di Maggio in particolare, quello che ha riferi¬ tnMmltstcdpdssslnS to del bacio tra Andreotti e Riina, è un personaggio «sospetto». Ma fu proprio Di Maggio, tre mesi fa, a far arrestare Riina, commentano i senatori. Lui, l'accusato che ora accusa, ribatte insinuando dei dubbi anche su quella «facile cattura, dopo tanto tempo». E consiglia di controllare le date dei «contratti di protezione» sottoscritti dai pentiti, e poi quelle delle loro deposizioni. Infine Andreotti sembra fare sue le richieste annunciate dai senatori democristiani: conoscere gli omissis che costellano le dichiarazioni di Marino Mannoia e di altri pentiti inviati al Senato. Insomma, quella che dovrebbe essere una discussione sulla possibilità di avviare le indagini sulle presunte responsabilità dell'ex capo del governo, rischia di trasformarsi in un processo vero e proprio, con l'esibizione di prove e controprove, richieste della difesa e così via. Dice Andreotti: «Il metodo degli omissis rende anche a me impossibile fornire ragguagli e precisazioni che potrebbero essere utili». Ma è dubbio che la magistratura possa fornire gli elementi richiesti dall'accusato e dai senatori del suo partito. Se quegli atti non sono stati inviati a Roma è perché non riguardano l'inchiesta Andreotti, ma altri fatti per cui sono in corso proce- dimenti separati. E la diffusione di notizie sulle altre inchieste potrebbe pregiudicarne l'esito. L'ex presidente del Consiglio insiste nel dire che la mafia si vendica per le misure anti-cosche adottate dai suoi governi: «Ho la consapevolezza di una reazione ai colpi che ho contribuito a dare loro». E quando qualcuno gli chiede se ha sospetti concreti, per esempio su una regia proveniente dagli Stati Uniti, lui risponde che non ha elementi obiettivi. «Ma la commissione antimafia potrebbe chiarire», aggiunge. Con sé Andreotti aveva portato anche una videocassetta registrata, procuratagli da don Pernice, nella quale si vedrebbe il senatore seduto a distanza dal mafioso Sinacora, parente del sacerdote. Ma per la Giunta quella «prova» è «irricevibile». Dopo l'audizione di Andreotti è cominciata la discussione generale. La de ha lasciato libertà di voto, ma la maggioranza dei democristiani sembra ancora orientatala per il «no», mentre fra i socialisti spunta qualcuno favorevole all'autorizzazione a procedere. Il dibattito è stato sospeso ieri sera e riprenderà oggi pomeriggio, una seduta che potrebbe potrarsi fino a notte. Si voterà stasera o martedì prossimo, poi toccherà all'aula del Senato. Giovanni Bianconi «Non per niente Falcone chiamava quel Tribunale Palazzo dei veleni» E contesta il metodo degli omissis Il procuratore di Palermo Giancarlo Caselli

Luoghi citati: Falcone, Palermo, Roma, Stati Uniti