Sicilia, il latifondo elettorale

Sicilia, il latifondo elettorale Dal '47 a oggi, storia di un'isola «fuori del coro» Sicilia, il latifondo elettorale I segreti del voto, fra deferenza e consenso JN Italia valanga di sì «Power to the people», come dice il Times di Londra. Ma ancora una volta la Sicilia stecca dal coro. Dall'isola, e in particolare da Palermo, i dati contrastano nettamente con quelli del resto del Paese; il «no» al cambiamento del sistema elettorale non riesce a vincere, ma comunque vi si avvicina. E addirittura vince nei quartieri palermitani cosiddetti «a rischio». Vince allo Zen, mostruosità concentrazionaria firmata da grandi architetti. Vince a Borgonuovo, terra di mafia cementiera ed estorsiva, vince nel mitico e fosco Brancaccio, vince nell'araba Kalsa dei contrabbandieri. Non vince nel centro borghese. E Leoluca Orlando, alfiere del «no», non sa se dirsi contento o imbarazzato. Più «no» nei quartieri di mafia, meno «no» in quelli che espongono i lenzuoli negli anniversari delle stragi di mafia. Ci sarà di che dibattere con veemenza in televisione. . Una stampella per Roma Chi vuol saperne di più sul voto dei siciliani, tra qualche giorno troverà in libreria un'interessante raccolta di saggi: Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta, a cura di Massimo Morisi (Feltrinelli) raccoglie i saggi di otto studiosi - Antonio Agosta, Antonino Anastasi, Franco Cazzola, Renato D'Amico, Paolo Feltrili, Alfio Mastropaolo, Massimo Molisi, Claudio Riolo - che per la prima volta ripercorrono la storia politico-elettorale dell'isola con vaste curiosità appagate per gli studiosi, copiose rielaborazioni di dati statistici, ma soprattutto alcune chiavi di lettura di decisa attualità: specie in un momento in cui la politica siciliana è diventata oggetto di dettagliata ingordigia, per le notizie - e ora anche le fotografie - spedite dalla procura di Palermo a carico del senatore Giulio Andreotti. Dal denso volume, che riesamina storia, tendenze, risultati delle elezioni, diversi punti fermi, tutti materia scottante. Il primo: la Sicilia elettorale è sta- ta finora responsabile del mantenimento dell'attuale maggioranza governativa. La democrazia cristiana, che in quarant'anni ha visto dimezzare i suoi consensi al Nord e ridurli del 30 per cento nel Centro del Paese, in Sicilia è sempre aumentata. Si è anche sempre più «sicilianizzata» nell'elite decisionale del partito. Altri beneficiati: il pri, che in Sicilia ha sempre avuto una sua roccaforte; il psdi, che in quarant'armi ha triplicato i suoi voti; il psi, che li ha quasi raddoppiati. Il pli, che li ha mantenuti. Maggiore tra gli sconfìtti, il pci-pds, che li ha quasi dimezzati. Ma se si vuole capire come, quando e per quali ragioni tutto questo sia successo, tutto diventa più difficile. Questo perché, come spiega Morisi, si entra in un mondo di «opacità tra mafia e politica» che rappresenta lo «stile» della politica siciliana, un «oscuro retrobotte¬ ga», che rende scarsamente visibili i rapporti tra rappresentanza e mediazione politica. Che dietro ci sia il potere violento della mafia è chiaro, come questo si espliciti è meno chiaro. Per esempio - ed è il secondo punto - è evidente che in Sicilia sono esistiti finora un voto libero ed un voto obbligato. Il primo si è espresso clamorosamente nei referendum passati il divorzio e l'aborto ebbero percentuali svedesi -; il secondo è quello che si dà nelle elezioni amministrative o politiche, quando il «mercato» prevale sulle «opinioni». Così, conseguenti e pragmatici, i siciliani votarono convinti il 9 giugno 1991 per la preferenza unica, ma poi, una settimana dopo, alle elezioni amministrative, scrissero compatti i nomi delle quaterne sulle schede. Il lettore vorrà sapere, allora, se è direttamente la mafia a condizionare il voto. Lo è, ma non è la sola. U voto siciliano è stato finora un misto di localismi, intimidazioni, «appartenenze», con scoppi periodici di ribellione, che hanno premiato nel tempo l'astensionismo, il msi, la Rete o Rifondazione comunista. Un laboratorio locale che spesso ha sperimentato tutto prima degli altri, con movimenti erratici all'interno di un consolidato «latifondo elettorale», frase felice di Alfio Mastropaolo. Ma forse, in termini di comportamento elettorale, più ancora della mafia, la peculiarità siciliana è la sua ampia autonomia politica ed amministrativa. Ottenuta velocemente nel 1947 con lo spauracchio del separatismo, la Regione Sicilia supera qualsiasi sogno della Lega di Umberto Bossi. Un Parlamento con amplissimi poteri; autonomia bancaria e autonomia fiscale; addirittura - sulla carta - una polizia propria. La Regione Sicilia nacque con un organico di 486 persone che divennero 822 nel 1949; 1474 nel 1953; 3556 nel 1959; 20 mila nel 1990; 23 mila oggi, con un costo di 1200 miliardi in stipendi e la ragguardevole cifra di 13 miliardi in bollette Sip. Qualsiasi decisione elettorale di Totò Riina rimpicciolisce di fronte al potere elettorale dei burocrati della Regione, «la macchina meravigliosa» (definizione di Saverio Lodato), «un labirinto della discrezionalità, del fortuito e dell'interesse particolare innalzato a principio di spesa». E domani? La breve attesa E domani, come voterà la Sicilia? In pochi anni se ne sono andati, ammazzati, i due maggiori collettori di voti democristiani, Paolo Arena a Catania e Salvo Lima a Palermo. Scomparso per mano violenta il potente Ignazio Salvo di Salemi, che faceva e disfaceva governi. Prudente, anzi prudentissimo, l'ex politico emergente Calogero Mannino. Duramente colpita Cosa Nostra. Indagato Giulio Andreotti. Per reati amministrativi, truffe, ma anche accuse di mafia sono imputati ben 16 deputati sui 90 dell'Assemblea regionale, al cui governo per la prima volta è presente anche il pds. In altalena Leoluca Orlando, ultimo rappresentante di «quella sorda corrente sotterranea che sopravvive e cova sotto le ceneri della routine intermediatoria della politica quotidiana, dei suoi interessati consensi e delle sue ragionate deferenze». In chiara crescita, dopo le stragi dell'estate scorsa, i fenomeni di solidarietà e militanza civile. Non sarà necessario attendere molto tempo per sapere: il 6 giugno la Sicilia torna a votare in 108 Comuni, compresi tutti quelli che sono stati sciolti per mafia, comprese grandi città come Catania e Agrigento. I siciliani saranno i primi a sperimentare l'«uno contro uno» dell'elezione diretta dei sindaci. Banco di prova, per tutti, della possibilità di un «cambio di stile». Enrico Deaglio L'autonomia bancaria e fiscale, il potere della mafia e i burocrati della Regione: ifili del «labirinto» Tutti i dati delle urne rielaborati da otto studiosi Sopra, Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo condannato per mafia. Accanto, manifesti elettorali a Catania nel '55 Leoluca Orlando. Politico di rottura o ultimo leader di una antica «corrente sotterranea»? L'esattore Ignazio Salvo e, sotto, Il boss della mafia Totò Riina