Il nuovo Parlamento? E' in tv

il caso. La telecamera cambia la politica: anche Ingrao si converte all'immagine il caso. La telecamera cambia la politica: anche Ingrao si converte all'immagine Il nuovo Parlamento? E' in tv Giorgio Galli: «Le idee alla prova dell'Auditel» Santoro: «Così il Paese si è abituato a scegliere» EDREMO nascere alleanze politiche nei faccia a faccia televisivi? Vedremo nominare ministri e decidere decreti a Mixer, a Milano Italia, a II rosso e il nero? Insomma, la tv concepita come strumento per raccogliere consensi è avviata a divenire essa stessa luogo dove la politica si evolve, con studi Rai e Fininvest tramutati in dépendances delle sedi istituzionali? Se ancora non siamo a questo punto, qualcosa sta succedendo. Proprio ieri, su La Stampa, in un'intervista ad Alberto Staterà, diceva Pietro Ingrao: «Avendo una volontà convinta di stare nella mischia politica ho dovuto prendere atto che la tv ne è il luogo e il mezzo». Dunque, anche un leader storico si adegua alla nuova tribuna, e le sue considerazioni hanno eco fra giornalisti, politologi, segretari di partito, esperti di mass media, che concordano: il teleschermo come politica diretta, controllata sul momento, con un Auditel della concretezza. Se l'uomo di potere bluffa, parla tanto ma di niente, l'indice cala; se va al nocciolo sale. Proprio su questo punto insiste Michele Santoro e rivendica alle telecamere la vittoria del sì, non per ragioni di propaganda, ma di educazione alle scelte: «La tv pratica da anni una struttura duale, propone l'alternativa fra due posizioni: e il Paese si è abituato via via a scegliere». Contrapposizione su cui si fonda la tensione del programma: «Noi sappiamo che per una buona riuscita occorre mettere a confronto due ipotesi: la televisione per sua natura cerca semplificazioni Certo che i leader e gli altri che fanno ascolto sono pochi». Fra quelli che «funzionano» c'è il Segretario del movimento sociale Gianfranco Fini. Il suo incontro con Occhetto ha stimolato più titoli di giornale di tante guerre e paci di Mon tecitorio. Commenta Fini: «Dicono che "buco" lo schermo. Quello di cui mi rendo conto è che più di ciò che si dice conta come lo si dice, anche se non siamo al livello degli Stati Uniti, dove si seguono corsi per prepararsi alle telecamere e si indossa la camicia che non rivela il sudore». Comunque si va in tv e lì si scoprono posizioni diverse da quelle con cui ci si osteggiava in Parlamento. «Direi che non è il caso di generalizzare, anche se il mio faccia a faccia con Occhetto è stato un'occasione che in altre sedi istituzionali non ha mai avuto una tale eco. Comunque, andiamoci piano: i governi non si fanno negli studi televisivi. La tv non costruisce, sottolinea». Molte cose si decidono al ristorante. E, da questo punto di vi¬ sta, il nuovo ruolo di vice Parlamento della tv è positivo. Dice il politologo Giorgio Galli: «Ha dato un grande contributo alla ripresa del dibattito. Ma l'interesse accresciuto non dipende dalla televisione, bensì dalla gente stessa. Un paio di mesi fa, il confronto Bossi-Occhetto ha dato effettivamente l'impressione di un dibattito diverso da quello che ci si poteva attendere, fino alla disponibilità a sottolineare punti di convergenza, quasi come se tutti e due volessero verificare lì che impressione poteva fare il confronto anziché lo scontro». Un sondaggio? «Un potenziale scambio di proposte: ed è venuto il sostegno esterno del pds a giunte leghiste. I politici si scambiano messaggi in presenza del pubblico. Teniamo presente che un leader può scegliere a quale faccia a faccia presentarsi, Occhetto ha rifiutato Garavini e preferito Fini». Qualcuno vede un rischio. Se la tv è in procinto di divenire una sede politica, la scelta degli ospiti può condizionare nettamente gli spettatori. Ed è quello che denuncia Giovanni Minoli. Sabato scorso, suU'Unitò ha commentato il «vietato vietare» lanciato da Maurizio Costanzo su Canale 5 e ha scritto Minoli: «Più che "vietato vietare" mi è sembrato che si gridasse "vietato dissentire"». Qual è il timore? Che le tre reti Fininvest possano mobilitare chi vogliono per un'unica campagna senza precedenti. Ecco il problema dell'accesso alla comunicazione «anche per chi non ha mezzi finanziari e reti tv». Ora aggiunge Minoli: «Di per sé la polìtica in tv è positiva, fa assestare il rapporto politica-televisione su livelli di Paesi moderni. Ma il rischio è che quel "vietato vietare" diventi "vietato votare", con Berlusconi al posto di Costanzo». Il potere oscuro. Carlo Sartori, docente di Teorie e tecniche delle comunicazioni di massa all'Università di Urbino (in autunno uscirà il suo «La qualità televisiva»), distingue tre livelli di intervento della televisione: accelerazione della comunicazione; certificazione e falsificazione della realtà; modificazione della realtà. Dice: «La civiltà televisiva è caratterizzata dalla vicarietà a luoghi o avvenimenti. Ma può produrre qualcosa di non vicario. Il problema è proprio che questi meccanismi nuovi non vengano da un lato bevuti acriticamente o solo respinti. Ricordiamo che quello che i politici dicono in tv non è completamente separato dalla loro azione fuori dagli studi. L'importante è porre paletti1 invalicabili, fregole ferree che l'operatore della comunicazione deve osservare». Marco Neirotti ontà conschia polire atto che mezzo». eader stoova tribuoni hanno tologi, serti di mass o: il telea diretta, to, con un tezza. Se ffa, parla ndice cala; unto insi rivendica oria del sì, opaganda, scelte: «La a struttura nativa fra se si è abiere». Coni fonda la mma: «Noi buona riu confronto ne per sua lificazioni ha mai avuto una tale eco. Comunque, andiamoci piano: i governi non si fanno negli studi televisivi. La tv non costruisce, sottolinea». Molte cose si decidono al ristorante. E, da questo punto di vi¬ di convergenza, quasi come se tutti e due volessero verificare lì che impressione poteva fare il confronto anziché lo scontro». Un sondaggio? «Un potenziale scambio di proposte: ed è venuto il sostegno esterno del pds a Carlo Sartori (qui sotto): «Servono regole» n e a ; a , , a a a Carlo Sartori (qui sotto): «Servono regole» Pietro Ingrao: «La televisione è il luogo e il mezzo della mischia politica»

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