I figli dei carnefici in Israele

Bormann jr e altri 8 incontrano i familiari di nove superstiti dell'Olocausto Bormann jr e altri 8 incontrano i familiari di nove superstiti dell'Olocausto I figli dei carnefici in Israele Iniziativa di uno psicologo per superare il trauma del ricordo Rabin a Auschwitz: quelle grida ci lacerano ancora le orecchie TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Mentre il primo ministro Rabin, in visita in Polonia, varcava il cancello di Auschwitz accompagnato dalla moglie e da una delegazione di ebrei scampati allo sterminio («Dopo 50 anni le loro grida lacerano ancorta le nostre orecchie. Anche se il lago di lacrime si è ormai seccato, noi non dimentichiamo e non perdoniamo», ha detto commosso fino alle lacrime), ieri in Israele si è diffusa la notizia che domenica scorsa, in coincidenza con la giornata di lutto nazionale per lo sterminio di sei milioni di ebrei, a Gerusalemme, nei mesti vialetti del Mausoleo dell'Olocausto «Yad Va-Shem» si aggiravano in incognito - col cuore in tumulto - nove anziani tedeschi: Martin Bormann, 63 anni, ex sacerdote, figlio del luogotenente di Adolf Hitler, e altri otto figli di «personaggi di importanza centrale all'interno dell'apparto nazista». «Il momento più doloroso - ha commentato in seguito Bormann, in un'intervista al quotidiano "Yediot Ahronot" - è stato quando abbiamo visto l'interminabile elenco dei bambini morti nell'Olocausto. E pensare che di migliaia di altri non conosciamo neppure il nome, che intere famiglie sono state distrutte...». La visita a Yad Va-Shem' è stata il momento culminante di un progetto curato dallo psicologo israeliano Dan Baron, dell'Università di Beer Sheva, teso a scoprire se esista una qualsiasi possibilità di dialogo tra i figli dei carnefici e i figli delle vittime e se possano in qualche modo aiutarsi a vicenda a superare le proprie difficoltà. Perché anche i figli dei gerarchi nazisti (Baron non ne rivela l'identità) hanno ansietà e problemi di inserimento nella società. Per anni lo psicologo israeliano ne ha studiato in Germania là fenomenologia, in lunghe conversazioni a quattr'occhi riassunte in un libro, «Tradizione del silenzio». Lo stesso Bormann ne ha accennato nell'intervista a Yediot Ahronot: «Non provo odio per mio padre ha detto - perché col tempo ho imparato che bisogna saper distinguere tra il Bormann privato, che fu un buon padre per i suoi figli, e il Bormann pubblico, le cui attività non mi erano com¬ prensibili durante l'infanzia. L'ultima volta che l'ho visto avevo appena 15 anni». Baron ha messo due sofferenze diverse a contatto. In un primo incontro, organizzato in Germania alcuni anni fa, ha fatto sedere i figli dei gerarchi accanto ai figli delle vittime dell'Olocausto. «Sono stati quattro giorni molto tesi - ha detto ieri lo psicologo - durante i quali mi sono prefisso un unico obiettivo: gettare un ponte fra le due parti, far conoscere gli uni agli altri. Ciascuno ha così raccontato la propria esperienza personale». Il secondo incontro è avvenuto la settimana scorsa in un luogo discreto presso Beer Sheva, nel deserto del Negev. Era la prima volta che i nove tedeschi si trovavano in Israele. Bor- mann ha espresso stupore: Questo Paese - ha detto - sembra un giardino!». Anche in questa occasione non si è trattato di un incontro facile. «Ci sono state esplosioni di collera - ha riferito Baron -, manifestazioni di dolore. Ma non ci sono state in alcuna fase accuse sul piano personale: i figli delle vittime comprendono che i figli dei nazisti non hanno colpa alcuna della loro identità, e questi ultimi, da parte loro, non hanno alcuna riserva sulla fondatezza storica delle accuse che vengono mosse al Reich». [a. b.l Un'immagine del lager di Auschwitz. Nella foto piccola il figlio di Bormann

Luoghi citati: Germania, Gerusalemme, Israele, Polonia, Tel Aviv