«Adelante» con Ayala di Gabriele Ferraris

«Addante» con Ayala «Addante» con Ayala De Gregori il più amato da Alleanza Democratica 'ni) ROMA. «Adelante adelante c'è un uomo al volante / è Andreotti che sembra un diavolo». Volava, la,voce di Francesco De Gregori, mentre l'altra sera piazza Navona s'illuminava d'abbracci di vincitori. Volava, raccontando «questa terra senza misura / che già confonde la notte e il giorno... e la ricchezza con il rumore / e il diritto con il favore / e l'innocente col criminale / e il diritto col Carnevale». Il Principe aveva aperto la campagna referendaria cantandola insieme con Ayala e gli altri di Alleanza Democratica: e «(Adelante Adelante» è diventata inno per forza propria. Con buona pace di «Non smettiamo di sperare», motivetto dei New Trolls per i Popolari di Segni. La Seconda Repubblica, se non altro, rinnova e migliora l'innografia politica. Anche la Rete è andata a pescare nella canzone di successo, arruolando «Povera Patria» di Battiato: scelta indovinatissima. Peccato che il cantautore si sia schierato per il sì. Contro Orlando, dunque. In altri tempi, altre tenzoni elettorali ebbero cantori meno illustri: era immediata, ma grezza, «vi ricordate quel 18 aprile / d'aver votato democristiani / senza pensare all'indomani / a rovinare la gioventù», scritta da Lanfranco Bellotti nel '48, dopo la disfatta del Fronte Popolare. Dalla trincea opposta, giganteggia una disdicevole caricatura de «La Bella Gigogin» sponsorizzata dal pli negli Anni Sessanta («Dàghela avanti un passo / votate liberale»). E ancora suscita imbarazzo il democristiano exploit di Renato Rascel: nei giorni caldi della contestazione partorì «Renatino e la coscienza», ove si spiegava come e qualmente rinnegando i valori scudocrociati si rischiassero gravi delusioni. Renatino elucubrava: «Mi avviene spesso di farmi scocciare / da chi contesta tanto per contestare». Al confronto, la famigerata «Biancofiore» era un capolavoro brechtiano. Gli avversari, onestamente, riuscirono a far meglio: intanto, ebbero autori di grande nobiltà artistica, dal Cantacronache a Ivan Della Mea, a Giovanna Marini. E pure i brani tradizionali erano di qualità. «Bandiera Rossa» ha tro- Francesco De G regori vato ottimi interpreti. Per non dire dell'«Internazionale», trasfigurata dagli Area in uno straordinario saggio di musica d'avanguardia: nulla da spartire con la raccapricciante versione tip-tap ordita da Raidue a celebrazione del centenario socialista, con ballerini che gettano la tuta operaia e sciorinano tenute da manager rampanti. Uno dei massimi crimini del Dopoguerra. Il contributo dei cantautori fu importante, benché talora poco premeditato: Paolo Pietrangeli ricorda con stupore come la sua «Contessa», scritta nel '66, due anni dopo finì sulla bocca di tutti. «Non c'era neanche il disco - ci ha raccontato -. E ovviamente non la ascoltavi né in radio, né in televisione. Eppure i ragazzi la sapevano a memoria, e la cantavano ai cortei e nelle occupazioni». Con il Sessantotto fiorì la canzone militante: c'erano la Lega del Vento Rosso, il Canzoniere di Lotta Continua che produceva 45 giri con «parole e musiche del proletariato», mentre la Commissione artistica del Movimento Studentesco coniugava il rock degli Stormy Six con le direttive di Capanna e Toscano. Ma alla fin fine, il vero «inno popolare» lo firmò il buon Guc cini: ancor oggi, «La locomotiva» istiga pugni chiusi «fratello non temere che corro al mio dovere / trionfi la giustizia proletaria». Le sinistre condividono con l'e strema destra un'attenzione speciale per canti ed inni. Il fascismo aveva saputo marciarci - se pos siamo usare questo verbo - alla grandissima: «Sole che sorgi libe ro e giocondo» e «Faccetta nera» hanno l'orecchiabilità della musi ca semplice, e quindi di presa immediata. Allorché quei parti arti stici apparvero leggermente im presentabili, gli scaltri tentarono d'impadronirsi proprio di De Gregori: le note di «Viva l'Italia» echeggiarono a beneficio prima dei fascisti, quindi dei craxiani. Il saccheggiato Francesco s'incavolò da par suo, e a suon di diffide fece cessare l'abuso. La lezione servì: oggi, prima di prendere, i politici hanno imparato a chiedere. Almeno quando si tratta di canzoni. Gabriele Ferraris Francesco De Gregori

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