Il voto? Questione di anagrammi di Stefano Bartezzaghi
Il voto? Questione di anagrammi Giocando con i nomi dei politici: «l'aculeo» di Leoluca e il «tristo enigma» di Mariotto Il voto? Questione di anagrammi Igiochi dei bambini iniziano con la frase: «Facciamo che io ero...». Bene, facciamo che quello della de era tutto un problema di nomi, nudi nomi. Non sarebbe bello giocarci? Innanzitutto troveremmo i nomi nell'anagramma di Mino, l'attuale segretario. Già, ma come dovranno essere, questi nuovi nomi? Risponde l'anagramma del cognome Martinazzoli, che afferma, con una certa pertinenza: moralizzanti (o sarà più pertinente normalizzati?). Un anagramma funziona rimescolando lettere (senza aggiungerne, né toglierne) e formando nuove parole. Qualche volta il gioco pare avere un senso, e così lo stesso Mino Martinazzoli dà i nomi moralizzanti di cui sopra, ma anche anagrammi meno ottimistici, come: non mazzolai miti!; o: non mitizzarlo mai!; o ancora; non ammazzi il trio (che sarà il Caf che c'era prima). Infine, un oscuro: Moro, Vanti-Mazzini. Le nomenclature e le nomen- klature più vecchie le mettiamo da parte, perché di anagrammi di Andreotti, De Mita, Forlani ce n'è stato uno spreco. Oggi, nei dintorni di Martinazzoli, troviamo Rosa Russo Iervolino (virus o lo asserirono?) che, rinunciando all'inagevole J del cognome, ci dimostra come l'anagramma possa essere un'arte poco galante: rissosa onorevol uri. E poi, un po' di de assortiti (un esempio, Cabras sbarca, ma anche sbraca) e qualche candidato alla presidenza del Consiglio. Mettiamoci Leopoldo Elia (lo dò pio, leale). Beniamino Andreatta (sempre in polemica con Formica, se attende nomina a Bari), Nicola Mancino (su cui è difficile avere opinioni: non malaccio? ni), e Romano Prodi (mondo riparo). Ma tra i nomi di Mino, non sono certo meno importanti quelli degli oppositori. Guardando dall'interno verso l'esterno, incontriamo innanzitutto Rosi Bindi, che senza ipsilon e con un semplice spostamento, viene incoraggiata a mostrare festosa baldanza: osi, brin¬ di. Poi viene Mariotto Segni, che per Mino è stato un doloroso interrogativo (o tristo enigma!), sciolto dopo lunghe titubanze. (Si. No. Ma. Rigetto!). Oggi Segni è fuori («m'ài rotto!», e i suoi Popolariper la riforma fanno parte a sé (Mario là, per farli oppor). Si parla addirittura di segnismo (m'ingesso) ora che si è deciso un altro referendum, nella tranquillità d'urne ferme. Il maggioritario è passato, perché Mario, oggi, tira. La peggiore spina nel fianco di Mino resta Leoluca (che un lettore della Stampa anagramma giustamente in l'aculeo). Leoluca si chiama Orlando, ma i suoi avversari lo chiamano Coscio, forse perché pensano all'anagramma coscai (da un improbabile verbo: cascare), o a esclamazioni dialettali assortite (saccio! soccia!). Per i suoi, il capo si chiama Leoluca Orlando Cascio e l'anagramma sarà inevitabilmente auto-agiografico: anelo a l'accordo siculo. Abbiamo perso di vista la dee forse non siamo soli. Tra i nomi a cui Mino pensa, c'è anche quello nuovo per il partito, e sembra che si ritornerà a partito popolare. Un • j proto-papale? Un tappo proletario? Un telo appropriato? D'altra parte i democristiani apparivano, in certi anagrammi classici e un po' governativi, modesti, carini e d'animi cortesi, ma il nome del partito aveva ispirato già da tempo agli enigmisti una soluzione poco lusinghiera democrazia cristiana = aristocrazia mendica. Un po' brusco, ma tutto sommato un partito interclassista per natura non ne avrà paura. -Ma mettiamo che a Mino, discretol'democristiano sia arrivata la stessa telefonata giunta a noi. Non abbiamo fatto questo anagramma (e ce ne dispiace). Lo segnala un lettore e vorremmo tenercelo per noi: ma visto che il nome del partito andrà cambiato, tanto vale sputare il rospo. Eccolo qua: democrazia cristiana - azienda camorristica. Da non credere, vero? Stefano Bartezzaghi
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