Il giorno più nero del No «Ma i giochi restano aperti» di Flavia Amabile

Garavini: colpa dei giornali. Fini: la controprova il 6 giugno Garavini: colpa dei giornali. Fini: la controprova il 6 giugno Il giorno più nero del No «Ma i giochi restano aperti» ROMA. Porta aperta a metà, gente seduta ai lati di una grande stanza, qualcuno in piedi, braccia incrociate, mormorii: l'atmosfera ricorda un funerale di paese e forse non è una sensazione del tutto sbagliata visto che la scena si svolge presso la sede del Fronte del No, il grande sconfitto del pomeriggio referendario di ieri. Completano questa sorta di veglia, tre televisori accesi ma a basso volume, una gran quantità di microfoni e telecamere eppure molto meno invadenti del solito. Ogni gesto dei convenuti e persino l'atteggiamento dei mass-media sembra adeguarsi alla discrezione e al rispetto d'obbligo in certe occasioni. Se questa è l'aria che tira nel Comitato, ancora più desolante è quella che si respira presso le sedi dei singoli partiti. A Rifondazione comunista, un unico televisore acceso trasmette la non-stop di parole e immagini del lungo pomeriggio referendario, ma dichiarazioni ufficiali e dibattiti si perdono nel vuoto: due militanti immersi nella lettura di un giornale e i grandi capi blindati in riunione rappresentano le uniche presenze umane nei locali del partito e, tutte, sembrano aver altro da fare che ascoltare le maratone televisive. L'unico in apparenza disoccupato è il portierecentralinista, data la penuria di telefonate o di persone in arrivo, ma nemmeno lui presta molta attenzione alla tv. E per vedere che cosa, poi? Le cifre della disfatta? No, meglio di no, e uno sguardo distratto è più che sufficiente anche per il segretario di Rifondazione, Sergio Garavini, che per tutto il pomeriggio va su e giù tra il deserto del suo partito e la veglia fune- bre della sede del Fronte del No. Con il risultato che, verso sera, ha il volto ormai tetro mentre ripete per l'ennesima volta al ventesimo giornalista che gliela chiede, la sua analisi del voto: «Non è un successo ammette - anche perché attorno al Sì si è creato un clima plebiscitario. E qui gli organi di informazione hanno una precisa responsabilità perché hanno condotto una campagna di grossolana propaganda in modo del tutto unilaterale, hanno fatto intendere che per cambiare bisognava votare Sì». Parole che, per i paradossi creati dagli schieramenti referendari, non suonano molto diverse da quelle che arrivano dall'estrema destra. Anche il segretario del msi parla di una «campagna di disinformazione fatta dai giornali» che può aver portato «qualche missino a votare in modo diverso da come avrebbe dovuto». La tesi di Fini è che il Sì sia stato «identificato dai cittadini come il cambia¬ mento, come il modo per portare avanti la propria lotta alla partitocrazia. Non mi stupisce, quindi, che anche una parte del nostro elettorato abbia potuto sentirsi coinvolta in questa infatuazione collettiva. La prova del nove da cui risulterà se questa mia analisi è esatta o meno, l'avremo il 6 giugno: se mi sbaglio, de, psi e pds vinceranno le elezioni; se, invece, ho ragione, le perderanno». Questo il commento di Fini, l'unico leader del No che non fa nemmeno un passaggio velocissimo al terzo piano di via del Leoncino, la sede del Fronte: non per mancanza di rispetto, ma perché, insomma, un segretario del msi nei locali del manifesto è qualcosa di inimmaginabile. No, Fini preferisce rimanere nella sua via della Scrofa in un'atmosfera di lucida rassegnazione che si trasforma in rabbia solo quando il discorso si sposta sui risultati del referendum sulla droga. «E' l'effetto trascinamento - spiega agli increduli tesserati che si scandalizzano per la risicata vittoria dei Sì -. Credo che molti abbiano votato per l'abolizione della legge sull'onda dell'altro Sì». Proteste e teorie a parte, ora bisogna pensare al futuro. In attesa del 6 giugno per poter capire se la sua tesi era esatta, che cosa farà Fini? «Riunirò l'ufficio politico mercoledì e decideremo». E gli altri partiti? E il Comitato del No, scomparirà oppure rimarrà in piedi, nonostante la disfatta, come proposto da Pietro Ingrao? «Si discuterà della riforma elettorale, il Fronte del Sì è già frantumato e noi vogliamo rimanere come punto di riferimento», chiarisce Garavini. D'accordo anche il verde Gianfranco Amendola, il retino Alfredo Galasso, il pidiessino Stefano Rodotà che, nonostante l'appartenenza ad un partito del Sì, era schierato sul fronte qpposto. «Credo che abbiamo posto una serie di questioni che ora sono anche più aperte di prima: quale legge avere per la Camera, ad esempio. I giochi sono ancora aperti. Le indicazioni dell'elettorato sono senza dubbio molto forti, ma le interpretazioni suscitano già guerriglie interne al Fronte del Sì che non sappiamo dove porteranno. Ed è proprio per questa ragione che il comitato del No non si scioglierà, ma continuerà a vigilare su quale legge verrà discussa in Parlamento e su quale governo adesso verrà proposto», annuncia ai microfoni del Tg2, il tono battagliero addolcito da un pacchetto di caramelle che stringerà fra le mani fino a sera, quando, finalmente, l'avrà vuotato. Flavia Amabile Rifondazione: «Il Sì è già frantumato e noi vigileremo sulla riforma» Il msi: «Mancano voti dei nostri» | Sergio Garavini, segretario di Rifondazione comunista

Persone citate: Alfredo Galasso, Fini, Garavini, Gianfranco Amendola, Pietro Ingrao, Sergio Garavini, Stefano Rodotà

Luoghi citati: Roma