Alle 14,01 l'urlo di Segni: vittoria di Pierluigi Battista

In piazza Navona l'apoteosi del leader referendario: «Finisce la democrazia incompiuta» In piazza Navona l'apoteosi del leader referendario: «Finisce la democrazia incompiuta» Alle 14,01 l'urlo di Segni: vittoria Niente brìndisi in pubblico, «questo Sì ha troppi padri» ROMA. L'urlo di gioia liberatoria gli scappa un minuto dopo le 14. Il primo sondaggio trasmesso dalla tv rivela che il Sì stravince, dilaga, sommerge l'Italia politica. E lui, Mario Segni, per un attimo perde tutti i freni inibitori, grida «come se avesse segnato il Cagliari», esterna senza pudore la sua felicità, assorbe come una spugna il gusto forte del trionfo e dell'apoteosi. Il volto raggiante, il nodo della cravatta appena allentato, l'uomo del Sì abbraccia la moglie Vichi che ha i lucciconi agli occhi, cinge in un abbraccio amicale le figlie commosse, distribuisce pacche sulle spalle ai fidatissimi Augusto Barbera ed Enzo Bianco. E' il trionfo-bis, il raddoppio fragoroso, il secondo tempo della partita cominciata a suon di Sì il 9 giugno del 1991. Solo che, due anni fa, Segni non ebbe esitazione a stappare simbolicamente la bottiglia di champagne in pubblico. Ora il vincitore esulta tra pochi e selezionati amici. I flash dei fotografi verranno dopo, le luci della ribalta possono aspettare qualche ora. Medita a lungo, Mario Segni. Prima di pronunciare verbo, l'uomo del Sì soppesa con cura ciò che dovrà dire davanti alle telecamere. Consulta gli amici, telefona a ripetizione ad Arturo Parisi, il politologo sardo di cui Segni si fida ciecamente, l'ex direttore dell'Istituto Cattaneo che fu il solo a prevedere, dieci anni fa, la disfatta di De Mita mentre tutti i media pronosticavano il trionfo del leader irpisno alle elezioni del 1983. Ma Segni non vuol dare l'impressione di strafare, di perdere il senso del limite. «E' il momento della generosità e della moderazione», ripete in continuazione, ai suoi amici.. Nella sala stampa allestita dal Comitato per il Sì attendono con ansia che Segni si affacci per consacrare là vittoria del referendum. Ma il trionfatore del 18 aprile lascia scorrere il tempo, risponde docilmente alla valanga di telefonate di congratulazioni. Ha pure qualche gatta da pelare, prima di presentarsi al pubblico con le dita della mano che formano una V. La «V» della vittoria numero due. E' che un plebiscito di questa natura conferisce immancabilmente a Segni una leadership del fronte del Sì che fatalmente rischia di ingenerare gelosie, ripicche, inconfessabili malumori tra i tanti coautori del trionfo di ieri. Il popolo del Sì si è dato appuntamento a piazza Navona, otto di sera. Già, ma chi parlerà da quel palco? Se interviene Pannella, lo stesso onore deve toccare a Occhetto, ma è già da qualche ora che il segretario del pds e il leader radicale se le danno di santa ragione con accanimento reciproco davvero singolare. E poi ci sarebbe Patuelli del pli, qualcuno, forse Ayala, di Alleanza democratica, Bogi del pri. Troppi oratori. Troppi padri per la pur straripante vittoria del 18 aprile. Senza contare che le ultime 48 ore di campagna elettorale occhettiana, tutta protesa ad annacquare la portata del Sì, era stata tutt'altro che gradita dal comitato promotore del referendum. Barbera compreso. Dunque si decide così: parlerà soltanto Mario Segni e gli altri a far da comprimari, destinati ad accontentarsi della luce riflessa, concentrata sull'uomo che di questo referendum è l'autentica incarnazione, la bandiera indiscussa, il simbolo riconosciuto da tutti. Intanto, Segni, in pieno pomeriggio, rimanda ancora la sua apparizione pubblica. Lima il testo del discorso che pronuncerà in conferenza stampa: «Finisce la democrazia impotente, la democrazia incompiuta. Comincia la democrazia dell'alternanza, la democrazia dove i partiti conteranno di meno e i cittadini conteranno molto di più». Parole che devono suonare come adeguate alla «gior¬ nata storica» che sta vivendo l'Italia. Ma intanto, tra un ritocco e un altro, a Largo del Nazareno si forma una folla sempre più fitta. Ci sono stuoli di giornalisti, sciami di cameramen, legioni di sostenitori del Sì che sono venuti ad omaggia¬ re il vincitore: Willer Bordon e Nicolò Lipari, Paola Gaiotti De Biase ed Enzo Mattina, Gustavo Selva e Giovanni Bianchi, Alberto Michelini e Maria Pia Garavaglia, Vito Riggio e Peppino Calderisi, Ferdinando Adornato e Bartolo Ciccardini, Gio¬ vanna Melandri e Cesare Salvi. Ci sono frotte di turisti incuriositi, gruppi di passanti attratti dalla confusione. Torme di ragazzini attratti dal Gabibbo, il mostruoso e sguaiato pupazzone di Striscia la notizia che attira l'attenzione ammirata dei teen-agers romani che capitano a Largo del Nazareno nel pomeriggio del Sì. C'è anche rocchetto finto di Crème Caramei tra la folla, nell'attesa che quello vero si cosparga il capo di cenere per aver venduto la pelle dell'orso prima di aver agguantato la preda e venga a sottolineare con la sua presenza che è proprio qui, e non a Botteghe Oscure, il quartier generale dei referendari. Sotto, la folla che rumoreggia. Sopra, blindato, lo stato maggiore di Segni. Entrando da una porta laterale, il segretario del pds va in pellegrinaggio dal trionfatore. Chiacchiera con lui per una buona mezz'ora, il tempo di chiarire la linea di condotta per la partecipazione alla manifestazione di piazza Navona e per cominciare a discutere sul che fare dei prossimi giorni. Occhetto non aveva fatto mistero, guadagnandosi le ire pannelliane, di propendere per una soluzione che mitigasse i rigori del sistema uninominale secco, magari con un bel «maggioritario a due turni con correzione proporzionale». Ma l'alluvione di Sì, di dimensioni davvero inaspettate, non consente pasticci e papocchi. Questo fa capire Segni al segretario del pds, prima di uscire e soddisfare le attese della folla che s'accalca di sotto. «Giuseppe, vieni, manchi soltanto tu». E in effetti manca soltanto il Giuseppe Ayala invocato tramite un telefono cellulare da uno spazientito e insieme euforico Bordon. Quando Segni e Occhetto s'affacciano sulla piazza, una bolgia di cavi televisivi aggrovigliati, fotografi che inciampano e ruzzolano malamante, ragazzini travolti dalla calca, Gabibbi che con la loro mole schiacciano chiunque capiti a tiro, segnala che finalmente è arrivato il clou del pomeriggio. Segni avrebbe preferito una scena un po' più «clintoniana»: sorrisi, saluti alla folla plaudente, camminata spedita, strette di mano e la first lady al fianco. Invece è una muraglia umana che gli si fa incontro, minacciosa e distruttiva, un codazzo assatanato che segue Segni e il suo alleato Occhetto lungo la scalinata del Collegio Nazareno che raggiunge l'Aula Magna. Ce la fa. A fatica, tra spintoni e imprecazioni, ma alla fine ce la fa. Segni si sistema al centro del palco. Gli altri, Michelini e Ciccardini, Barbera e Cesare Sanmauro, Rutelli e Occhetto, Patuelli e Lipari, Enzo Bianco e Bordon, tutti a fare il segno della vittoria. «E' una vittoria straordinaria», dice Segni. I seguaci . del Sì applaudono con frenesia, i fotografi immortalano il trionfo del gruppo che sorride dal palco, con tutto il contorno di abbracci plateali, ammiccamenti, segni di giubilo. Manca Pannella, all'appuntamento. Ma con teatrale non puntualità il leader radicale entra in scena proprio mentre il nemico Occhetto abbandona la sala. Si ricomincia daccapo: abbracci, sorrisi e pacche sulle spalle. Segni viene conteso dalle televisioni. I vincitori si disperdono. Ma solo per ritrovarsi a piazza Navona e attendere il discorso di Segni mentre dagli altoparlanti risuonano le note di Adelante di De Gregori, il nuovo inno del popolo referendario. Pierluigi Battista Dopo il trionfo Mariotto incontra Occhetto: «La valanga di sì non concede papocchi». E Pannella evita il segretario pds 1 momento del trionfo: l'abbraccio di Marco Pannella a Mario Segni

Luoghi citati: Italia, Lipari, Roma, Segni