Duchamp italico incontra Alice

Le inquiete sculture di Corderò Le inquiete sculture di Corderò Duchamp italico incontra Alice mrl TORINO n ELLA cultura artistica ■ torinese dell'ultimo ven- ■ tennio la scultura di RicJLU cardo Corderò, cinquantenne, ha rappresentato la fondamentale alternativa alle strutture primarie di Anselmo e la continuità, ma innovativa e inquieta, della grande officina fabbrile di Franco Garelli. Corderò appartiene a pieno titolo alla cultura internazionale della linea drammatica ed espressiva di Gonzalez e di Chillida; per cui oggi Francesco Gallo, nell'introdurre il catalogo della mostra alla Davico in Galleria Subalpina (fino al 30 aprile), può legittimamente proporre un parallelo con Anthony Caro. Le quattro grandi strutture, la quindicina di bronzi minori, gli stupendi disegni definiti Progetto ma in realtà dotati di una loro autonomia fantastica come sogno di esplorazione dello spazio, rappresentano la rimeditazione dell'autore su questa linea forte del secolo, che nasce da una tensione dinamica cubofuturista. Questa rimeditazione rinnova e attualizza la fase dei primi Anni 70 per cui Crispolti parlava di «meccanizzazione dell'organico» evocando i nomi di Duchamp-Villon e di Boccioni, perché essa arriva dopo il compiacimento addirittura lussurioso, neoliberty degli adolescenti nudi femminili in cornice o allo specchio degli Anni 80. Non è che la fase degli Anni 80, esplicitamente polemica nella sua neofigurazione plastica al di là di Manzù fino a sco¬ prirne le radici «scapigliate», non abbia avuto anch'essa un valore di esperienza che sottilmente permane. A confronto ad esempio con la «meccanizzazione dell'organico», che scaturiva da complesse interazioni fra materiali modellati e strutture prefabbricate, gli attuali tracciamenti nello spazio, gli attuali incontri e incastri fra cerchi interrotti e rette e planovolumetrie aggregate e volanti scaturiscono integralmente dalla manualità fabbrile. Il contatto creativo e modellante con la materia è più asciutto, angoloso, scheggiato, ma equivale alla modellazione sensuale addirittura settecentesca dei nudini. E ancora: un unico spirito, un'unica immagine metamorfica collega certi illusionismi organici, vegetali, che caratterizzarono una breve stagione intermedia fra gli Anni 70 e 80, e le aggregazioni volanti di Segno nel cielo, di Disarticolare un cerchio; illusioni di leggerezza, organismi poetici contrapposti e dialettici rispetto alla plasticità «dura» delle forme-tracciato elementari. L'inquietudine mi appare il segno unitario e distintivo dell'opera di Corderò nelle sue varie fasi e tempi: un'idea inquieta di spazio nello stesso tempo fisico, tridimensionale, e interiore, che il tracciato della forma, astratta o illusionistica, rimanda sempre ad una soglia o cornice «al di là»; uno spazio da Alice. Marco Rosei «All'infinito 2», 1992, un bronzo di Riccardo Corderò, in mostra a Torino

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