Greganti: datemi la vernice e cambio faccia a San Vittore

Greganti: datemi la vernice e cambio faccia a San Vittore Greganti: datemi la vernice e cambio faccia a San Vittore COSA FANNO IN CARCERE MMILANO. A porca miseria, datemi 150 chili di vernice... anzi lo trovo io chi può darmeli gratis. Vi procuro pure venti imbianchini più una trentina di muratori, qui, tra i detenuti, e vi rifaccio nuovo questo fetentissimo carcere. Che ci vuole?». Parla come un capomastro, a metà di un corridoio blindato, il compagno Primo Greganti, 49 anni, ex funzionario del pei, il «signor G» del conto Gabbietta (621 milioni trovati sul conto della Bsi di Lugano) sospettato dai giudici di essere l'uomo-tangente per il pds. E' la roccia di «Mani Pulite», quello che ha detto a Di Pietro: «Quei soldi sono miei, le tangenti non c'entrano» e che da 45 giorni se ne sta detenuto a San Vittore, terzo raggio, primo piano. «Possono tenermi qui anche 45 anni. Con me il ricatto non funziona. Ho detto la verità e basta. Di Pietro vuole puntarmi una pistola alla tempia? Io gli dico: allora spara». E' un duro naturale, il signor G. Tutti lo salutano con il sorriso: «Ciao Greganti», «Uè Greg'», «Ehi, Primo, devo parlarti», e le guardie si scostano quando passa, perché lui va in giro, gestisce la biblioteca, si occupa degli extracomunitari, parla, consi- glia, dice cose da manager tipo: «Questo carcere è in piena diseconomia». Umore eccellente, maglioncino grigio, jeans, scarpe Tod's, barba ben curata. Cammina veloce, si guarda intorno: «San Vittore è un disastro. Ci sarebbe tutto da fare, ma i detenuti sono obbligati a non fare niente. E nel nulla, i giovani detenuti peggiorano. Nel nulla i muri cadono a pezzi. Nel nulla tutti si disperano». E ancora: «Qui da un momento all'altro scoppia un'epidemia, i detenuti vivono come bestie». E poi: «Qui metà della gente è recuperabile, solo che nessuno fa nulla per loro. Entrano per un piccolo reato, escono che sono delinquenti veri». E poi: «Il mio compagno di cella è un marocchino, un bravo ragazzo. Sono sicuro che è innocente e farò in modo che abbia un buon avvocato. Lo tiro fuori io». E poi: «Io me la cavo, è dura, mica dico di no, però me la cavo: c'è da fare e lo faccio». Parla a raffica Primo Greganti. Lo ha incontrato l'altra mattina Tiziana Maiolo, deputato di Rifondazione, in uno dei suoi estenuanti giri negli inferni delle carceri italiane. Mezza giornata dentro a ascoltare una briciola dei 2031 detenuti di San Vittore (capienza 800 persone) stipati come sacchi nelle celle (anche se il direttore Luigi Pagano fa quello che può) tra fornelletti, materassi, puzza d'aglio, ciabatte, tossici, camorristi, senegalesi, slavi, ragazzi che neanche sanno una parola di italiano, vecchi senza più parole. L'altra mezza giornata passata qui fuori, piazza Filangeri, davanti al muraglione grigio di San Vittore, fiaccolata per il Sì al referendum contro la legge Vassalli-Jervolino, con i detenuti che alle 19 in punto fanno sentire la loro presenza, il loro appoggio, con la «battitura dei pentolini» contro le sbarre delle celle. Una raffica sonora, lenta, ritmata, che sale dalla stella di cemento del carcere e si propaga nell'aria libera grazie a centinaia di uomini cancellati dal muro, invisibili. La Maiolo è entrata alle 11, è uscita alle 14,30. Ha ascoltato cento storie, ha incontrato le detenute che parlano dei mariti che non vedono e dei figli che non sanno. Ha visto i duri del penale che chiacchierano poco e fumano molto. Ha visitato il sesto raggio, lato B, dove «ci stanno quelli delle tangenti», come dicono i secondini che a ogni passo fanno risuonare il mezzo chilo di chiavi che si portano dietro. In mezzo a tante storie, Maio- lo racconta l'incontro con due uomini che Tangentopoli ha reso celebri, opposti per carattere, fisico, umore: Primo Greganti (piccolo, solido, estroverso) e Giovanni Manzi (alto, fiacco, introverso), ex potente del psi, ex ultimissimo di Craxi, ex presidente della Sea, ex latitante sotto al sole di Santo Domingo. E sotto al sole di San Vittore, dentro al catino di cemento dove passa i suoi 45 minuti quotidiani di aria, Giovanni Manzi cammina lento. Tuta blu, rari sorrisi, scarpe morbide nere. Ha problemi agli occhi, dice «sissignore» alle guardie, non si fa illusioni: «Il 24 aprile scadono i primi tre mesi. Poi ne verranno altri tre». Pessimista e pensoso. Usa le stesse pause del suo amico Betti- no, lo stesso modo di gesticolare: tre dita aperte che girano sulle parole: «Ci ha perduto la certezza dell'impunità». Racconta: «Per tanti anni sono stato segretario di federazione. Avevo bisogno di 60-70 milioni al mese per far andare avanti la baracca e da Roma non è mai arrivata una lira. Bisognava fare andare avanti il partito e correre in tutte le competizioni elettorali: referendum contro la scala mobile, elezioni politiche, elezioni amministrative, l'assalto della Lega, il 5 aprile... le campagne elettorali costano una enormità...». Toccava arrangiarvi? «Diciamo così. Effettivamente si pensava che non sarebbe mai potuta accadere una cosa simile...». Intende: l'inchiesta «Mani Pu¬ lite»? «Sì. Non lo pensavamo noi socialisti e non lo pensavano gli altri... Tutti i partiti hanno fatto le stesse cose, chi più chi meno». Tanto è vero che oggi i partiti stanno svendendo i pezzi e chiudendo le sedi. «Ovvio. Ora che il flusso di denaro si è interrotto restano i bilanci in rosso, chi diavolo li paga? Basta, sono finiti i soldi... Noi chiudiamo corso Magenta, il pds chiude via Volturno, i socialdemocratici chiudono addirittura la sede nazionale». Quanto durerà ancora l'inchiesta? «Anni. I magistrati, per ora, hanno intaccato la crosta». Sarebbe a due? «Ogni regione, ogni comune, ogni consiglio di zona andrebbe indagato... Per ora è venuto fuori qualcosa a Milano, Napoli, Roma, negli Abruzzi...». Briciole? «Più o meno». Lei quanto starà dentro? «E chi lo sa? Io pago una certa notorietà, il fatto che dalla stampa sono stato dipinto come un potentissimo...». Non lo era? «In un certo senso sì... Ma tutto quello che sapevo l'ho confessato... Poi conta che sono stato arrestato in latitanza...». A Santo Domingo. «In effetti avevo deciso di consegnarmi, ma sono arrivati prima loro». Cosa le è saltato in mente di dare l'intervista dalla latitanza? «E che dovevo fare? Mi sono ritrovato quei due giornalisti in casa e ho risposto alle loro domande». Poi l'hanno arrestata. «Certo e questo i magistrati lo fanno pesare nelle loro valutazioni. Prenda Larini. Lui ha concordato il rientro, si è messo a collaborare e ora è fuori». Come si sente? «Da detenuto? Si rimbambisce». Viene mia guardia, dice: «Rientrare, prego». E Manzi: «Sissignore». Pino Corrias «Possono tenermi qui 45 anni ma con me il ricatto non funziona» Il «sissignore» di Manzi ai secondini Qui accanto Primo Greganti E, da sinistra Tiziana Maiolo di Rifondazione e Giovanni Manzi

Luoghi citati: Abruzzi, Lugano, Milano, Napoli, Roma, Santo Domingo