Il duello del paladino Orlando ieri accusatore, oggi accusato

Il duello del paladino Orlando ieri accusatore, oggi accusato Il duello del paladino Orlando ieri accusatore, oggi accusato IL «METODO» DELLA RETE ROMA. Si lamenta Gaspare Nuccio, responsabile per l'informazione della Rete, per quell'attacco subito da Leoluca Orlando sul delicato terreno della mafia proprio alla vigilia del voto referendario. «E' stato usato - dice - uno dei tanti strumenti, utilizzati così spesso durante questo mese, per arrivare alle persone». Come dire: chi ha tirato fuori questa storia adesso non lo ha fatto a caso, c'è l'intenzione di colpire in un momento delicato uno dei leader del «no». Lagnanza lecita e probabilmente pertinente quella dell'esponente della Rete, ma che fa un certo effetto sentire dalla voce di uno dei seguaci di Leoluca Orlando, inventore e teorico di un modo di guardare e di utilizzare le vicende giudiziarie che può essere riassunto in una frase diventata celebre: «Le mie sono accuse politiche, non hanno bisogno di prove». Così, alla fine, la vicenda di Leoluca Orlando che alla vigilia del referendum incappa in una vecchia storia legata ad un pentito di mafia, non può non far venire in mente la legge del contrappasso o il vecchio detto «chi di spada ferisce, di spada perisce». «Ho il timore - è la nera previsione che fa in proposito Marco Pannella - che quando torneranno indietro i boomerang che non smette di lanciare, Orlando proverà su di sé, in modo ancor più lacerante, ciò che già provano coloro contro i quali li ha scagliati. E' un triste gioco da ragazzi trovare un pentito, due pentiti, tanti pentiti, che lo accusino». E Pannella rischia di diventare davvero la Cassandra di Orlando. C'è la sensazione, infatti, che il modo di porsi e di far politica della Rete abbia fatto proseliti proprio tra le vittime del leader del partito. Ad esempio, se in passato sono stati gli esponenti «retini» a preannunciare le pene giudiziarie di questo o quell'altro esponente politico, questa volta a fare l'indovino ci si è messo nientepopodimeno che l'ombra di Giulio Andreotti, Claudio Vitalone: proprio una settimana prima, infatti, che la procura di Palermo decidesse di riaprire le indagini sugli appalti concessi dall'amministrazione guidata dall'ex sindaco di Palermo, Vitalone ha letto le stesse accuse da un dossier voluminoso al cospetto dello stesso Orlando nella tra- smissione «Maurizio Costanzo show». Per non parlare della tattica di lanciare sospetti, accuse, teoremi contro l'avversario. Lo stile della Rete in questi mesi è diventato di moda: c'è chi lo ha adottato perché efficace e chi, invece, costretto, lo ha fatto solo per difendersi. Claudio Martelli beccato a più riprese dai «retini», ha cominciato anche lui ad accomunare il nome di Orlando a quello di Gelli e di Andreotti. Alberto Alessi, un deputato de siciliano, ha tirato in ballo, invece, vecchi colloqui con persone scomparse per gettare ombre sul numero uno della Rete: «Io - racconta - mi ricordo come se fosse ora quello che mi disse il povero Insalaco, prima di essere ucciso: "Orlando è un personaggio inquietante". Per non dire del giudizio su di lui del povero Falcone. Quindici giorni prima che fosse assassinato lo incontrai a Caltanissetta in un convegno e su Orlando si limitò a pronunciare una frase durissima: "La mafia uccide solo la gente seria e quello è solo un quaquaraguà"». Ed ancora: se Orlando e i suoi sono abilissimi a sfornare teorie accusatorie nei confronti degli avversari, adesso anche questi ultimi hanno imparato il mestiere. E non si limitano, come una volta, a rinfacciare solo i voti che la Rete raccoglie nei quartieri di Palermo ad alta densità mafiosa. «Bisognerebbe - ripete da mesi Gianni De Michelis - studiare più attentamente i collegamenti internazionali di Orlando. C'è qualcosa di strano. Il suo viaggio in America ha ricordato quello di De Gasperi, è stata mobilitata la più importante agenzia di pubbliche relazioni degli Stati Uniti». Claudio Signorile, invece, ha da tempo una tesi che fa rabbrividire: «Intanto mi debbono spiegare come fa Orlando a disporre di tanto denaro nella sua attività. Dirà che è ricco di famiglia, ma non basta. Eppoi quel suo viaggio negli Usa mi ha dato tanto il sapore di un pellegrinaggio per avere un'investitura: Orlando secondo me è andato in America per proporsi come il garante della nuova Italia agli americani e, naturalmente, anche alla nuova mafia, quella dei colletti bianchi». Infine c'è anche chi, rifacendosi al bagaglio di allusioni della Rete, manda segnali lasciando dei discorsi in sospeso. Qualche settimana fa, ad esempio, Ciriaco De Mita, tirato in ballo più di una volta da Orlando, si è limitate a rispondere: «lo ho sempre detto che chi fa il moralista è sempre immorale: e mi verrebbe tanto voglia di tirar fuori una le.ttera da cui si capisce chi è davvero Orlando...». Insomma, a forza di sparar accuse e teoremi contro gli altri, Orlando e i suoi hanno trasformato una parte del Parlamento in una sorta di platea di «Rosso e nero» e loro da pubblici ministeri si sono ritrovati nella parte degli imputati. In altre parole, gli avversari rispondono alla Rete con i metodi della Rete. E forse ad Orlando oggi torneranno in mente le parole usate dal giudice Falcone per respingere le accuse di tenere le carte nei cassetti che gli aveva rivolto qualche anno fa proprio l'ex sindaco di Palermo: «Non si può - disse il giudice assassinato dalla mafia davanti al Csm - investire della cultura del sospetto tutto e tutti, la cultura del sospetto non è l'anticamera della verità ma del khomeinismo». Auguste Minzolini Foto grande: Leoluca Orlando Qui a fianco: Claudio Martelli Foto sotto: Marco Pannella Pannella: la tattica del sospetto è il suo boomerang

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