Quel 18 aprile del'78 stessi volti, stessi misteri

Quel 18 aprile del'78 stessi volti, stessi misteri Quel 18 aprile del'78 stessi volti, stessi misteri QUINDICI ANNI IN «GIALLO» VROMA ERAMENTE ce ne sarebbe pure un altro, di 18 aprile: «Oggi 18 aprile 1978 si conclude il periodo "dittatoriale" della de che per ben trent'anni ha tristemente dominato con la logica del soppruso...». Sì, «soppruso», con due «p». E parve subito un po' strano, perché i brigatisti erano sì feroci - «belve», secondo l'Unità - ma non somari. Comunque: «In concomitanza con questa data - proseguiva il volantino recuperato dentro il solito cestino dell'immondizia, stavolta alle spalle del monumento a Giuseppe Gioachino Belli - comunichiamo l'avvenuta esecuzione del presidente della de Aldo Moro, mediante "suicidio"...». Un 18 aprile a testina rotante Ibm, costoso e umiliante per tutti. Perfino da dimenticare, se non fosse che molti dei protagonisti di allora, vivi o morti, sono proprio gli stessi di oggi. Gli stessi spettri che ritornano negli incubi di questi giorni. Quest'altro 18 aprile, con John Travolta ed «Ecce Bombo», con Curcio processato e Maurizio Costanzo a «Bontà Loro», che sembra al tempo stesso vicinissimo e lontanissimo. E però che effetto rileggere: «Consentiamo il recupero della salma, fornendo l'esatto luogo ove egli giace. La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi (ceco perché si dichiarava inpantanato) del lago Duchessa, alt. mt. 1800 circa località Cartore (Ri) zona confinante tra Abruzzo e Lazio...». E anche lì, anziché «inpantanato», andava molto meglio «impantanato». Ma era un'Italia, quella, per forza di cose poco appassionata agli errori d'ortografia. Insanguinata, isterica e impotente. Già se lo stava vivendo con ansia libera e fluttuante quell'anniversario, sicura che qualcosa di brutto sarebbe successo. E si vide arrivare addosso quel comunicato numero 7 con laghi e indicazioni geografiche da Touring Club che a riguardarselo con gli occhi di oggi sembra ancora più strano. E però, siccome non bastava, fin dalla mattina dovette dividere l'emozione, dirottarne un fiume verso quell'altra davvero curiosa vicenda. Una perdita d'acqua in un appartamento sulla Cassia, via Gradoli, rubinetto rotto, sgocciolio, pile, plìe, plìe al piano di sotto. Fino al più terrificante Tgl delle 20. Il faccione di Emilio Fede, 22 milioni e 700 mila telespettatori lì davanti. Dice: «Angoscia nel Paese per la sorte del presidente della democrazia cristiana Aldo Moro. Ci sono due notizie. La prima, sulla quale pesano molti dubbi...». Poi quelle immagini incredibili. Il bianco della neve, montagne, elicotteri e sommozzatori. Brandelli di discorso, l'inviato Badaloni: «Tre ore di cammino», «15 gradi sottozero». Sulla crosta di ghiaccino del lago ci si può camminare con tutta tranquillità. Così, in attesa dell'esplosivo, i sub si mettono a dragare quello vicino, detto «Cerasolo». E alla fine di quella giornata, dopo aver visto Remo Gaspari che assicura la sua presenza «sul posto», alla fine della più lunga e misteriosa del caso Moro, l'Italia rovesciò gli occhi all'indietro e piegò le ginocchia, crisi di nervi, di ridicolo sconforto. Il 18 aprile di quindici anni fa. E adesso ancora il caso Moro, ancora Cossiga e ancora Andreotti. Ci sono tutti e tre nel volantino. Dice: «Inizino a tremare per le loro malefatte i vari Cossiga, Andreotti...». Per la verità nell'elenco ci starebbe anche Taviani, che pure al quel tempo era già fuori dei giochi de, oltre a «tutti coloro i quali sostengono il regime». Ma tant'è. Quel che colpisce è una vaga ma palpabile sensazione di nodi di allora che vengono al pettine oggi. Di grumi rimossi, e segreti che rimangono lì in modo sempre meno spiegabile. Quel che fa più impressione, al di là dell'autore, dell'uso, del senso, al di là della prosa rozza ed ambigua, delle minacce, delle bugie grafiche, ecco, quel che fa impressione è che ora, come allora, non si riesce a capire se quel volantino era un falso, uria beffa, una provocazione, un depistaggio o la prova generale di una morte che poi c'è stata. Lo stesso effetto che fa ritorna¬ re con la memoria alla scoperta, davvero un po bizzarra, di via Gradoli. Qualcuno aveva segnalato (o no?). C'erano già andati? Avevano trovato chiuso? Poi, evviva, proprio in quel 18 aprile - era un martedì - avevano scovato il covo. Il covo! Il covo! Senza pensare che magari più tardi la ragazza con i capelli rosso «Tiziano» e il baffuto signor Borghi sarebbero rientrati a casetta loro, e invece s'erano trovati tutto quel trambusto, addirittura per strada... Ah, Gradoli. Distinta, s'intende, da G-r-a-d-o1-i, come da piattino che gira in una seduta spiritica, con il professor Prodi. Del quale si parla oggi.come di un possibile presidente del Consiglio. E sarà anche questa una coincidenza un po' forzata, quasi un trucchetto per far tornare il gioco delle analogie, però c'è Curcio ieri, nell'aprile del 1978 imputato al processo di Torino, e Curcio oggi che esce dal carcere. In quel giorno così fitto di cose che non si capiscono, il testo dello pseudo-volantino con la storia della Duchessa glielo fa leggere l'avvocato Guiso. Con il suo com.pagno Franceschini, anche lui nel gabbione, lo trovano «divertente». «Non hai capito - dice Curcio - che è scritto da altre mani? Anzi sarebbe interessante sapere chi io ha scritto». Ecco, oggi questo si sa. Il problema è che, pur sapendolo, e pur richiamando questo estensore di pseudo-comunicati a firma Br altri personaggi e altri episodi ancora una volta ritornati d'attualità proprio in questi giorni, l'intreccio tra il 18 aprile del 1978 e il 18 aprile del 1993 si fa inestricabile, si sfilaccia e s'involtola su se stesso, approdando infine a una specie di zona grigia che legittima anche il più morboso dei dietrologi. Una terra di nessuno dove tutto è possibile, e brigatisti veri e fasulli convivono con malfattori, falsari, neofascisti, rapinatori, mafiosi e spioni più o meno deviati e trafficanti di varie potenze, in una giostra che fa venire un po' il mal di testa. Bene, quel volantino l'ha scritto un certo Toni Chichiarelli, uno collegato alla Banda della Magliana (di cui l'altroieri hanno arrestato 55 esponenti). Questo Chichiarelli, ottimo falsario e rapinatore professionista, non ha esattamente l'aria del brigatista rosso, però secondo qualche testimonianza lo era. Personaggio, come dire, di cerniera tra vari mondi. Comunque l'hanno fatto secco nel 1984, dopo una rapina che gli fruttò qualcosa come 35 miliardi. Anche in quel caso, Chichiarelli pensò bene di apporre la firma «Brigate rosse» sotto il colpo alla Brink's Securmark. Una firma, oltretutto, un po' strana, lasciando o facendo ritrovare via via messaggi in codice simbolico o addirittura numerologico quali armi, pallottole, vecchi comunicati Br, chiavi, pezzi di catene e di fotografie dalla «prigione del popolo», bandiere e schede non si capisce bene se poliziesche o brigatiste. Una di queste ultime, fatta ritrovare per la seconda volta nel 1984 nello stesso cestino dietro alla statua di Bulli, era dedicata a Mino Pecorelli, assassinato nel 1979. E quindi, via Chichiarelli, si arriva a un altro personaggio di cui si riparla in questi giorni. Anche Pecorelli, sul rapimento Moro, dava l'idea di sapere più cose di tutti gli altri. Alludeva, ammiccava, ammoniva. Anche lui finisce così per entrare in questo maledetto anniversario di misteri non sciolti e segreti non svelati. Ancora, almeno, non sciolti né svelati. Filippo Cec carelli Il falso volantino sul caso Moro con accuse a Andreotti e Cossiga scritto da un esponente della banda della Magliana Solo ora si comincia a svelare la storia di quegli anni A sin. le ricerche della salma di Moro al lago della Duchessa Sopra: Aldo Moro A fianco, Mino Pecorelli direttore della rivista Sotto, Renato Curcio

Luoghi citati: Abruzzo, Gradoli, Italia, Lazio, Torino