Una regina per i barboni

Londra, la «miliardaria rossa» di Body Shop racconta la sua guerra sociale Londra, la «miliardaria rossa» di Body Shop racconta la sua guerra sociale Una regina per i barboni Per sfamarli, ha creato un giornale LONDRA 1 I crocicchi di Londra un /■ migliaio di strilloni laceri /"■ sventola ogni giorno una —tAI rivista sotto il naso dei passanti. TheBiglssue!, gridano i barboni, inchinandosi con fierezza istrionica. La grande questione è il quindicinale che ha restituito dignità e qualche soldo ai senzatetto inglesi, in gran parte vittime della recessione. Le sue fortune poggiano su un arsenale di shampoo alla banana, tonici all'arancia e creme all'aloe, generi poco familiari ai clochard. The Big Issue! è un'invenzione del Body Shop, multinazionale della cosmesi naturale che ha incluso la sfida delle nuove povertà nella propria Magna Charta imprenditoriale. Ma la vera sensazione sono le vendite della rivista: 280 mila copie al mese dopo 18 mesi di vita, un fenomeno sociale. Sulla mezza sterlina del prezzo di copertina, più della metà, 30 pence, vanno al venditore. Una sezione, «Luci della capitale», è scritta per intero dai senzatetto; il resto è cronaca e spettacolo. E' stata Anita Roddick, la «miliardaria rossa» proprietaria di Body Shop, a inventare il giornale. «Oggi gli industriali devono chiedersi: che cosa facciamo per prenderci cura degli altri? Che cosa restituiamo?», ci spiega scuotendo la raggiera dei suoi ricci. Estro dinamitardo e piglio garibaldino, è lei l'anima del Negozio del Corpo, 330 miliardi dì fatturato annuo. E' stata hippy. E conserva l'istinto caparbio dell'avventura e la fede nell'immaginazione al potere. L'ex signorina Perella, figlia di italiani, ha cambiato la mentalità dell'Inghilterra con la forza di due formule: creme naturali e capitalismo illuminato, ambientalista, terzomondista, carnevalizio. E femminile: «L'economia migliorerebbe se fosse guidata dai principi delle donne: amore, cura degli altri, intuizione». Matriarca e guitto, Anita si espande con un gran gesto sulla sedia del suo quartier generale di Little- hampton, bizzarro incrocio tra un asilo infantile e un lunapark, unica fabbrica a foggia di pagoda. Si espande anche il suo giro d'affari, che colloca Anita Roddick tra le dieci donne più ricche d'Inghilterra. Nel 1991 la compagnia ha realizzato 56 miliardi di profitti. Possiede oltre 600 negozi (in Italia sono 36) in oltre quaranta Paesi. Ogni settimana un nuovo Body Shop apre i battenti in giro per il mondò. Eppure l'impero di Anita rifiuta rigorosamente di farsi pubblicità, e al posto del settore marketing ha messo una squadra di antropologi: «La pubblicità è un monologo. Io voglio il dialogo. Potrei spendere 70 miliardi per farmi propaganda. Ma non ho mai messo fuori un centesimo. Questa meravigliosa somma la posso utilizzare per fare altre cose: per promuovere campagne contro i test nucleari o per la prevenzione dell'Aids o il nostro progetto di cooperazione con le comunità brasiliane, nepalesi o aborigene. Questa è la mia scelta: usare l'azienda come fòrza di cambiamento sociale». Qualcuno potrebbe obiettare' che queste nobili iniziative siano una forma estremamente avanzata e sofisticata di pubbli¬ cità. «E allora perché questi cinici non fanno anche loro cose del genere? Perché queste iniziative non incrementano le vendite. Quando abbiamo iniziato a promuovere la campagna contro i test sugli animali, abbiamo ricevuto tre milioni di lettere di sostegno: secondo tale logica, avremmo dovuto vendere tre milioni di prodotti, ma non funziona così». La sovrana ha il gusto degli scherzi sgangherati e delle ragazzate. «Mi piace fare la scema»,' ammette. Nonostante l'austera onorificenza dell'Ordine dell'Impero Britannico, che la regina le ha conferito nell'88, è rimasta una fedele della fantasia al governo. Nel bar della fabbrica ha fatto installare un gi¬ gantesco juke-box (uso gratuito) e per arrivare al suo ufficio bisogna passare davanti a una sagra di bambocci grotteschi (donne delle pulizie e cantanti vamp, di gomma). E' convinta che per lavorare bene sia necessario divertirsi, osare, rischiare, tentare il nuovo a tutti i costi. La sua causa e la sua energia hanno stregato opinione pubblica e mass-media, dal Financial Times al Sunday Times. Ne ha fatta strada la squattrinata Anita che sedici anni fa, per campare, aprì il suo primo negozio con idee molto precise sull'estetica dell'ambiente («Volevo che assomigliasse a un emporio di un film spaghetti western. E' rimasto il nostro stile»), nessuna cognizione di ammini¬ strazione («Ancora oggi non so come si redige un bilancio, tutti i paroloni della finanza mi suonano assurdi. Mio marito Gordon, presidente della compagnia, mastica meglio i numeri») e un gran talento per il commercio. Ma i principi, assicura, sono rimasti gli stessi. Primo, il rifiuto di sperimentare i prodotti sugli animali. Ancora oggi, in due stanze a metà tra l'ambulatorio e il salone del parrucchiere, foderate di tazebao martellanti e foto di conigli accecati dai cosmetici, dipendenti e volontari del Body Shop provano su di sé creme, shampoo e lozioni. «Bando alle scemenze: una crema idratante non rende più belli. Aiuta, protegge, ma non fa miracoli. Ho proibito la parola "bellezza"». Anita ha creato una cosmesi industriale rispettosa della natura e l'ha abbinata alle grandi battaglie umanitarie ed ecologiste. Ha investito in impianti il più possibile «verdi» e nel riciclaggio dei rifiuti; si fa un punto d'onore di «non usare ingredienti derivati da specie rare o in pericolo e di non impiegare una quantità sproporzionata di energia». E se avesse capitanato un'industria chimica o una compagnia petrolifera? «Avrei migliorato la qualità della vita dei lavoratori. Gli affari devono servire al bene comune». Ma che cos'è questo capitalismo illuminato che indica come l'unica ricetta economica che può migliorare il mondo? «Il vecchio capitalismo non prevedeva forme di partecipazione della forza lavoro ai profitti. Oggi il nuovo capitalismo deve chiedersi: che cosa restituiamo? Che cosa facciamo per prenderci cura degli altri, per dare più potere alla gente che lavora nella nostra azienda?». Il Body Shop ha adottato un sistema spinto di franchising e di partnership. «Questo è l'identikit di chi vuole cominciare a comperare un negozio: donna, giovane e con pochi soldi. La soluzione è trovare più comproprietari». La politica sociale è radicale: nursery in fabbrica, democrazia di base. «Lettera rossa» per protestare direttamente con gli executive, saltando i quadri intermedi. Bacheche per i reclami, che vengono messi a verbale. Un Dipartimento per le Idee Dannatamente Buone: libertà di suggerimenti su come migliorare l'azienda. Contatti stabili con lo staff: «Gordon e io ce li portiamo tutti a turno a mangiare a casa nostra». Ogni dipendente dedica una mezza giornata al mese (pagata) al volontariato nel proprio quartiere. Singolare anche l'etica commerciale con i Paesi sottosviluppati, da cui provengono alcune materie prime per i cosmetici del Gruppo. «Il nuovo capitalismo dev'essere basato sull'onore: se commerciamo con l'India, dobbiamo pagare equamente chi lavora per noi». A quest'ora chi lavora per voi nel Terzo Mondo dovrebbe essersi costruito dei palazzi. «Equità significa fare il cambio giusto tra quello che pagheremmo in Inghilterra e le monete locali. Spendiamo tre o cinque volte tanto quello che potremmo spendere se sfruttassimo la mano d'opera a basso costo. Non paghiamo gli individui, ma la comunità, che decide come ripartire i profitti: cioè nella salute e nell'istruzione». Maria Chiara Bonazzi Parla Anita Roddick: Che cosa facciamo noi ticchi per gli altri? Che cosa restituiamo? , X \ ■ ■ : Interno di un negozio della catena Body Shop In basso, un barbone a Londra. Ai senzatetto Anita Roddick ha affidato la vendita del periodico «The Big Issue!»

Persone citate: Anita Roddick, Maria Chiara Bonazzi, Perella

Luoghi citati: Impero Britannico, India, Inghilterra, Italia, Londra