I periti «graziano» Maso «E' un seminfermo di mente» di Giuliano Marchesini

Venezia, la diagnosi dei criminologi allontana il rischio di una condanna all'ergastolo Venezia, la diagnosi dei criminologi allontana il rischio di una condanna all'ergastolo I periti «graziano» Maso «E' un seminfermo di mente» VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Instabile, incapace di progettare il suo futuro, egocentrico, soggetto a comportamenti «autolesivi» come l'uso della droga, il gioco d'azzardo e lo sperpero del denaro. E dentro di lui un vuoto. Un disturbo della personalità, qualcosa che ha ridotto le sue capacità d'intendere e di volere nel momento in cui si mise ad aspettare i genitori, nel buio, per massacrarli nell'intento d'intascare l'eredità. In sostanza, seminfermo di mente. Questo è il ritratto di Pietro Maso, disegnato davanti ai giudici da Tullio Bandini, uno dei professori cui la corte d'assise d'appello ha affidato la perizia psichiatrica sui protagonisti del delitto di Montecchia di Crosara. E gli altri? Anche loro in balia di una parziale infermità mentale: Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza presi nel vortice di una mezza follia, che li ha fatti complici di un'atrocità. Per Pietro Maso, pare allontanarsi il rischio dell'ergastolo. Glielo dirà il suo avvocato, Guariente Guarienti, perché lui ha preferito non presentarsi in aula, non sentire questa storia di furore e di massacro, non esporre alle telecamere e alle macchine fotografiche quello sguardo che sembra beffardo. Le conclusioni dei periti corrispondono sostanzialmente a quelle della corte d'assise di Verona, che condannò Maso a trent'anni, Carbognin e Cavazza a ventisei, con la diminuente della seminfermità mentale. E c'è, tra i difensori dei tre ragazzi, chi spera anche in una riduzione della pena. L'assassinio di Antonio e Maria Rosa Maso passato sotto l'esame della criminologia. Quel figlio sbandato, quelle sue «reclute», inquadrati nel tempo che ha preceduto il delitto, al bar, in discoteca, qui e là a buttare soldi, poi a progettare un assalto feroce. E infine nella notte del 17 aprile del '91, quando piombarono addosso al padre e alla madre di Pietro con una spranga, con un bloccasterzo. Tullio Bandini descrive anche il Pietro Maso di adesso, così come gli è apparso durante i colloqui in carcere. Conferma tra l'altro che c'è un rapporto affettivo tra il ragazzo di Montecchia e una donna, che «va a trovarlo ogni settimana»: evidentemente, parla di Alessandra Ferri, la bolognese che ha offerto a Pietro il suo amore. «Pare che abbia addirittura intenzione di sposarlo». Che altro fa, Pietro Maso, adesso? Il perito rivela che scrive poesie. «Così come gli vengono, senza rima. Lui ne è orgoglioso. In maggioranza sono di contenuto morale. Alcune sulla bontà, sulla bellezza interiore distinta da quella esteriore. E ce n'è anche qualcuna dedicata alla sua ragazza». Pietro scrive, lei legge, si commuove. Lontano dal delitto, Maso: «Soltanto se stimolato, ne parla. Si dice pienamente responsabile, ma conserva ancora un certo distacco». E s'è distaccato, a quanto pare, anche da Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza, che ora lascia soli in questa grande aula di giustizia. Pietro che era il «narcisista», come aveva osservato lo psichiatra Vittorino Andreoli, consulente del pubblico ministero al processo di primo grado. Quel modo di vestire ricercato, l'esigenza di ottenere il consenso degli amici, il denaro in abbondanza. «Elementi di una personalità complessa, disarmonica. Maso in lotta tra quel che è e quello che vuole essere». Disfunzioni, conclude Tullio Bandini, che devono essere considerate infermità. Un Pietro Maso cattivo maestro di esibizionismo, del quale diventano discepoli Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza. Della formazione di quel gruppo che andò a massacrare Antonio e Maria Rosa parla un altro perito, Giacomo Canepa. Per dire della facilità con cui Carbognin si faceva influenzare, suggestionare. «Lui si dice d'accordo con gli altri anche se sbagliano, per il timore di essere abbandonato». In questo ragazzo disposto a seguire un «leader» fino all'assassinio, un «disturbo dipendente di perso¬ nalità». Resta Paolo Cavazza, che adesso ha l'aspetto di un mite, e attende il verdetto dei periti tirando sospiri. Anche lui, dicono, s'è fidanzato, per corrispondenza. Di Cavazza parla Umberto Gatti. Dice che in lui c'è uno stato ansioso di base. Sostanziale immaturità, tendenza al «gregarismo», facile preda delle «dinamiche violente». In Paolo Cavazza, sostiene il perito, c'è una patologia che lo ha condotto fino al passaggio all'omicidio. Tre seminfermi di mente insieme, per un massacro. Tre ragazzi normali protagonisti di una storia orrenda, dicono invece i consulenti del pg, Gaetano Penati e antonio Farneti. E l'avvocato Agostino Rigoli, che assiste le sorelle di Maso, Nadia e Laura, ha uno sfogo, di fronte alle conclusioni dei periti nominati dalla Corte: «Significa che la psichiatria deve fare ancora molti passi in avanti». Giuliano Marchesini «Quando massacrò i genitori aveva una ridotta capacità di intendere» Ora in cella scrive poesie d'amore A fianco Giorgio Carbognin uno dei complici di Pietro Maso (in alto a destra)

Luoghi citati: Montecchia Di Crosara, Venezia, Verona