«Andreotti sia processato dai ministri» di Giovanni Bianconi

>. La tesi dell'avvocato difensore trova sostenitori, ma i giudici di Palermo non sono d'accordo >. La tesi dell'avvocato difensore trova sostenitori, ma i giudici di Palermo non sono d'accordo «Andreotti sia processato dai ministri» D'Onofrio, da le accuse per mafia riguardano gli anni di Palazzo Chigi ROMA. Finirà davanti al tribunale dei ministri il processo contro Giulio Andreotti, accusato di concorso in associazione mafiosa? E' un'ipotesi già prospettata dall'avvocato difensore dell'ex presidente del Consiglio, e fra i politici questa idea sta prendendo piede: se anche dovesse essere processato, Andreotti dovrebbe avere come «giudice naturale» il tribunale dei ministri, perché negli anni in cui si sarebbero stretti i legami con gli uomini di Cosa Nostra l'indagato è stato quasi sempre presidente del Consiglio o ministro. Qualcuno sostiene che questa scelta potrebbe essere fatta anche dalla Giunta per le immunità del Senato, ma è dubbio che l'organismo parlamentare abbia il potere di prendere una decisione su questo punto. I senatori della Giunta infatti, e dopo di loro l'assemblea di Palazzo Madama, dovrebbero solo decidere se dare o meno il via libera alle indagini sul conto di Andreotti. Dopodiché dovrebbe essere la difesa a sollevare il conflitto di competenza tra la procura di Palermo e il tribunale dei ministri. E' il senatore de Francesco D'Onofrio che sollecita l'invio di tutti gli atti al tribunale dei ministri. «L'imputazione di collusione con la mafia - dice - non colpisce un singolo episodio o momento della vita di Andreotti, ma riguarda l'intera attività politica di Andreotti, che avreb¬ be tutelato la mafia anche quando era presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. In tal caso, la competenza a giudicare sui presupposti dell'autorizzazione a procedere non è del pubblico ministero, ma del tribunale dei ministri che prima di chiedere l'autorizzazione ha il potere di accertare la sussistenza degli elementi minimi per i reati commessi dai membri del governo». I magistrati di Palermo, nell'impostazione della loro richiesta al Senato, considerano che Andreotti non abbia commesso reati nell'esercizio delle sue funzioni di capo del governo o di ministro, e per questo si ritengono competenti ad indagare. Ma D'Onofrio ribatte: «Il pubblico ministero dovrebbe precisare se c'è un singolo reato che riguarda il senatore Andreotti come semplice parlamentare e deve indicare qual è, altrimenti non potrebbe che rinviare gli atti al tribunale dei ministri». Al di là della questione giuridica sollevata da D'Onofrio, le forze politiche discutono se votare a favore o contro l'autorizzazione a procedere nei confronti del leader democristiano. Due giorni fa il segretario della de Martinazzoli e quello del psi Benvenuto si sono incontrati per affrontare la questione, e avrebbero deciso di lasciare libertà di voto ai propri senatori. Il responsabile della de per l'organizzazione, Franco Marini, dice: «Allo stato delle conoscen¬ ze che ho, della persona e dei fatti attribuitigli che mi sembrano incredibili, non avrei dubbi: voterei contro l'autorizzazione a procedere». Poi l'esponente dello scudocrociato precisa: «I senatori devono decidere secondo coscienza, fare calcoli politici su queste cose è sempre sbagliato». Nel frattempo - con le dichiarazioni di Tommaso Buscetta il nome di Giulio Andreotti è entrato nell'inchiesta della magistratura romana sull'omicidio di Carmine Pecorelli. Il sostituto procuratore Giovanni Salvi sta studiando le carte processuali e compiendo atti istruttori per decidere se chiedere o meno l'autorizzazione al Senato per indagare sul conto di Andreotti, oppure archiviare: ha tempo ancora una ventina di giorni. Buscetta ha indicato Andreotti come colui al quale i cugini Nino ed Ignazio Salvo (uomini d'onore) avrebbero fatto un favore facendo uccidere il giornalista iscritto alla P2. Il processo sul delitto Pecorelli ha ripreso vigore dopo le confessioni del mafioso pentito, e adesso tra gli indagati figura un altro «uomo d'onore», il «cassiere della mafia» Pippo Calò. Secondo l'ipotesi accusatoria sarebbe stato proprio Calò l'eventuale tramite tra Cosa Nostra e i killer romani che il 20 febbraio 1979 spararono tre colpi di pistola uccidendo Pecorelli. Giovanni Bianconi Autorizzazione a procedere: de e psi decidono di lasciare libertà di voto >. mmmmrnmwmv lllllliilllll Nella foto grande il senatore Giulio Andreotti Qui a fianco: Franco Marini «Allo stato delle conoscenze che ho, voterei contro l'autorizzazione a procedere»

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