Troppi festival, musica in pericolo di Sergio Trombetta

Troppi festival, musica in pericolo Firenze: incontro con Gerard Mortier, il successore di Karajan a Salisburgo Troppi festival, musica in pericolo «Sono diventati un luogo di consumo turistico» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Si è lasciato alle spalle due edizioni del festival di Salisburgo ricche di successi, ma anche di polemiche. Ha attaccato il vecchio festival come «simbolo della commercializzazione discografica», ha definito il pubblico «nuovi ricchi aizzati dalla peggiore stampa», ha annunciato la fine dello «star system» salisburghese. Gerard Mortier, distinto signore belga di 49 anni, non ha smentito la sua fama di «iconoclasta», da quando nell'89 è succeduto a Karajan nella direzione del Festival di Saliburgo. E' a Firenze per annunciare con il sovrintendente Massimo Bogianckino e il direttore artistico Cesare Mazzonis un importante programma di coproduzioni col Maggio Musicale (un oratorio scenico di Luciano Berto e Mathis derMahler di Hindemith nel '96, preceduti da altri scambi). Signor Mortier, perché questo atteggiamento rigorista, verso i festival tradizionali e mondani? «Prima della guerra i festival in Europa erano tre: Bayreuth, Salisburgo e il Maggio Musicale di Firenze. Oggi le manifestazioni culturali si sono moltiplicate a dismisura e ci troviamo di fronte a fenomeni molto pericolosi per l'arte. Il consumo di musica, attraverso i dischi, è diventato più importante della creazione. Il principio di quantità è diventato più importante del principio di qualità, così per noi la creazione contemporanea, che non attira subito grandi masse, è molto rischiosa. Il pubblico vuole ogni giorno novità. "Jedem Tag ein neuer Hut": ogni giorno un nuovo cappello, si dice in tedesco. Il festival diventa un luogo di consumo turistico e basta». Che cosa viene a mancare? «Quel senso di comunione spirituale che per esempio caratterizzava i primi anni di Bayreuth quando Wagner radunava intorno al suo teatro un pubblico che accorreva per assistere a spetta- coli che parlavano di temi comuni e contemporanei». Qual è la sua soluzione per rendere vivo un festival? «Chiamare a raccolta artisti vivi. I grandi creatori della nostra epoca. Compositori che rimangono in residenza e creano per il festival: c'è stato Boulez, ci sarà Berto. Ho deciso di ridare spazio alla prosa (non dimentichiamo che il festival è stato fondato anche da Max Reinhardt). Quest'anno presentiamo un lavoro nuovo di Botho Strauss che parla dell'equilibrio personale e politi¬ co difficile da ritrovare dopo la caduta del muro di Berlino. Fra pubblico e artisti si deve ricreare uno spirito di insieme». Ma così le grandi star disertano il festival. «Ma chi sono le star oggi? I migliori artisti e il miglior pubblico insieme sono le vere star». Sì, ma Pavarotti, Domingo? «Per Pavarotti in questo momento non c'è nessun ruolo adatto nelle cose in programma da noi. A Domingo ho proposto non il millesimo Otello, ma Edipo Re di Stravinskij nel '94. Mi ha risposto che gli piacerebbe, ma non ha tempo per imparare la parte. E poi non credo che Pavarotti e Domingo accetterebbero i nostri cachet calmierizzati». E' per lo stesso motivo che non ha voluto il «Don Carlo» della Scala? «Per venire a fare due Requiem e due Don Carlo, la Scala voleva 470 milioni, Salisburgo non si può permettere di pagare più di cento milioni a spettacolo. Con la Scala invece abbiamo una ipotesi di collaborazione per la prossima opera di Berlo». Quest'anno ha programmato due opere di Monteverdi. Che cos'è: un improvviso colpo di reazionarismo? «Al contrario. Monteverdi, di cui ricorre il 350° anniversario della morte, è di straordinaria modernità, lo prova il fatto che in tutte le repliche i posti a minor prezzo destinati ai giovani sono esauriti. E poi L'incoronazione di Pop pea parla di cose politiche molto simili a quelle che capitano oggi in Italia». Sergio Trombetta filili^ Gerard Mortier, ieri a Firenze