Jemolo e l'«omo bono» del Belli; spiriti e ceffoni per D'Annunzio

avventura LETTERE AL GIORNALE Jemolo e V«omo botto» del Belli; spiriti e ceffoni per D'Annunzio Un regime in cui tutti fanno il comodo loro Conservo con devota gratitudine due lettere di Arturo Carlo Jemolo, da una delle quali vi ricopio le parole finali, perché penso siano il monito e il viatico migliore per gli italiani che andranno a votare il 18 aprile. Scriveva A. C. Jemolo il 15-10-1969: «Io avevo molto sperato che la Repubblica italiana nascesse austera, liberale ma severa, come Mazzini aveva sperata l'Italia; tutti i veri artefici di democrazia hanno sempre compreso che la libertà non si regge se non con l'osservanza assoluta delle leggi, e le leggi debbono essere guida ai cittadini, sottomettere i loro desideri ed aspirazioni al bene comune. «Purtroppo invece governanti e partiti hanno fin da principio concepito la Repubblica come l'omo bono bono del Belli, la democrazia come il regime in cui ciascuno fa il comodo suo. Dio voglia che con questo si conservi». Che ci direbbe oggi Jemolo, visto che la Repubblica non si è conservata? Pensiamoci tutti domenica 18! P.S.: Il corsivo è di A. C. Jemolo. Antonietta Zucchino Alassio (Savona) L'Immaginifico scagliato sul divano I giornali hanno parlato di Victor Hugo affascinato dagli spiriti. Ciò mi dà l'opportunità di ricordare che anche Gabriele D'Annunzio credeva nei fenomeni paranormali benché fosse dapprima scettico e beffardo. A Napoli, dove si era rifugiato, accolto a braccia aperte da Edoardo Scarfoglio che lo invitò a collaborare al Corriere di Napoli, fondato da lui e dalla moglie Matilde Serao (più tardi gli sarà pubblicato a puntate da II mattino il romanzo Trionfo della morte, il giovane D'Annunzio ebbe modo di parte¬ cipare a sedute spiritiche che si tenevano in casa del dottor Vizioli: vi convenivano, oltre allo Scarfoglio, Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco ed altri noti esponenti della cultura e del giornalismo. In una di quelle sedute, medium Eusapia Paladino, accaddero cose dell'altro mondo. Spente le luci, in un silenzio di tomba, venne evocato lo spirito di un terribile guerriero. Così Gabriele colse il tempo per fare il rodomonte: «Che venga pure questo bravaccio: lo conceremo per le feste!». Male gliene incolse. All'improvviso si sentì prendere per la vita da due braccia poderose e scaraventato su di un divano, più morto che vivo, ricevendo per di più due sonori schiaffi. Altro che fantasma di Canterville! Inutile dire che l'Immaginifico divenne un convinto cultore dello spiritismo, al punto di tenere presso di sé la medium Bice Valbonesi, che egli ribattezzò «messaggera dello spirito occulto». Angelo Giumento, Palermo «Rosselli voleva servire i proletari» «Carlo Rosselli è "ricco"», scriveva Palmiro Togliatti durante la guerra di Spagna dimenticando che Carlo Rosselli spendeva, già fin d'allora, tutti i suoi averi per la lotta antifascista e per il movimento di Giustizia e Libertà. In un suo recente articolo pubblicato dalla Stampa, Michele Serra sottolinea le origini democratico-borghese degli uomini del Partito d'Azione, ma vorrei far notare che Carlo Rosselli in quel periodo scriveva che «Giustizia e Libertà intende servire il proletariato sviluppando in esso il senso della libertà, dell'autonomia, provocandolo alle lotte e al sacrificio, senza vane lusinghe ed umilianti adulazioni, per far di ogni proletario un uomo nel senso più alto e nobile della parola, libero nelle officine ma anche nella vita, di fronte al padro- ne come di fronte alla sua coscienza». Da ciò si può dedurre che la dottrina alla quale ci siamo ispirati noi di Giustizia e Libertà poco più che ventenni aderendo alla Resistenza fu tutt'altro che un'idea borghese, ma fu, come lo stesso Serra afferma «un'idea nobilissima, seppure minoritaria». Si può quindi aire che gli azionisti, nel 1945/1948, in un'epoca estremamente immatura per le grandi masse, appena uscite dall'ottuso ventennio fascista, hanno mancato la loro rivoluzione morale, culturale, politica, più che per l'egocentrismo personale di tanti suoi uomini eccezionali che lo componevano, per la relativa immaturità dei tempi. Dobbiamo inoltre tenere presente che in quell'epoca il mondo comunista era indirizzato, sulla base dei programmi e degli slogan staliniani, alla conquista del potere e che le forze della conservazione erano mobilitate su un polo opposto per contrastar¬ lo. In questa situazione le componenti della giustizia e della libertà del pensiero liberal socialista non potevano certamente fondersi e realizzarsi ma al contrario, esasperarsi e dividersi. E fu quello che accadde con la caduta del governo Pani e l'inizio della guerra fredda tra UsaUrss, anche all'interno della nostra formazione politica. Tutti noi fummo rigettati, con lo scioglimento del Pd'a, sulle sponde ideologiche-sociali originarie. Molti con il psi e il pei, all'opposizione; altri con il pri e il psdi al governo, tal altri ancora, delusi ed amareggiati, dispersi. Dopo questa breve sintesi, poiché penso che la storia abbia un fine, credo di poter dire che dopo questi 45 anni, ormai sull'orlo dell'abisso, tutti abbiamo imparato la lezione, e che il pensiero liberal socialista, che identifica l'etica con la politica e la giustizia con la libertà, sia tornato di grande attualità. Per la comprensione dell'importantissimo dibattito in corso, non nuocciono certamente le critiche, tuttavia appassionate ed intelligenti, come quelle di Michele Serra. Fausto Chericoni Colombi, una calamità dalle tracce indelebili Il 6 aprile, in un articolo che mi spiace di non avere conservato, si parlava su La Stampa dei danni all'agricoltura che possono provocare colombi, tortore, corvi, cornacchie. L'articolista, dopo avere accennato ad alcune vaghe possibilità di difesa, di cui riconosceva la scarsa efficacia, si affrettava a condannare coloro che usano panie o veleni o altri mezzi del genere. Vorrei aggiungere qualcosa a proposito dei colombi. Questi uccelli sono oggi molto più numerosi di un tempo nelle campagne, vero o non vero che sia che vi sono stati trasferiti dai centri urbani che non ne potevano più di questi sgraditi ospiti, e sono divenuti una vera calamità. Per le colture, sicuramente, ma anche per le abitazioni, dove buttano per aria le tegole, ingombrano le grondaie e imbrattano tutto quanto con i loro escrementi, con effetti deplorevoli sul piano igienico oltre che estetico. Non so se sia vero quanto si dice, che possono trasmettere certe malattie, ma certamente lasciano tracce indelebili. In un paese della seconda cintura torinese mi hanno cacciato via dalla terrazza coperta dove a causa dei colombi non posso più tenere mobili ed arredi. Nessuno si scandalizza se si usano trappole e veleni per distruggere i topi, ed anzi esistono dei servizi di derattizzazione. Non capisco perché lo stesso trattamento non possa essere riservato ai colombi, altrettanto nocivi. Camillo Pinardi Caudiani S. Sebastiano Po (Torino) «Quella foto del Cristo non è un falso» Ho letto su La Stampa del 10 aprile l'articolo di Pier Paolo Luciano, con la dichiarazione di Oliviero Toscani. Egli dichiara l'immagine «falsa», artificiale, niente a che spartire con le mie foto-verità. L'immagine è comprensibile nel suo vero significato con la didascalia sottostante, che La Stampa ha volutamente omesso. Toscani e La Stampa sono liberi di non apprezzare l'iniziativa; non sono liberi di dichiararla «un falso». La foto riproduce un Cristo che abbiamo scoperto lungo la strada, all'interno di un'edicola, in un paesino della Croazia, così colpito e mutilato dai soldati serbi, nella loro furia distruttiva. E' stato semplicemente fotografato e riprodotto. Ci sembrava importante partire da ima situazione reale e tragica di guerra, per incoraggiare la comunità alla promozione della pace. Mons. Giuseppe Pasini, Roma Direttore Caritas Italiana RISPONDE O.d.B. Egregio sig. De! Buono, leggo quasi tutti i giorni la sua rubrìca. Non sono sempre d'accordo con le sue idee, ma forse è colpa della differenza d'età. Sarei, comunque, contento se potesse dedicare anche a me un po' del suo spazio. Mi scusi se firmo con il solo nome. Il fatto è che sono un poco vigliacco e non vorrei essere conosciuto come uno dalle idee troppo personali. Ho un diploma e non ancora un lavoro, ma non è questo il problema. Ho ventidue anni, e forse questo può interessare per quello che ho da dire... Roberto, Sanremo CARO Roberto, le lascio tutto lo spazio che è a mia disposizione, ma devo ugualmente riassumere la sua lettera che è molto lunga. Lei dice: «Di recente a Sanremo ha fatto una certa impressione la notizia di due quindicenni, un ragazzo e una ragazza, che si sono suicidati nel giro di due mesi. Capita con una certa frequenza, da queste parti, che si uccidano dei giovani (più sulla mia età, di solito). A parte quelli che muoiono di overdose, che non è molto diverso, e quelli del sabato sera, che lasciano decidere al caso, ma si capisce che non ci tengono molto a restar vivi. Io, per il momento, non ho pensato di imitarli, ma per la ragione che dicevo prima. Come la maggioranza, del resto: perché manca il coraggio, perché alla fine uno se ne infischia di tutto, anche di se stesso. Non perché sia giusto conti- Vita diti oda m massa dio orire nuare a esistere nelle condizioni in cui siamo. Sinceramente non mi sento di condannare il suicidio. Penso, anzi, che a essere coerenti dovremmo ucciderci tutti, in massa...». Caro Roberto, lei dice che non è vero che i giovani oggi abbiano tutto, come si vocifera. I giovani oggi hanno, o possono avere, un mucchio di cose che non servono a nulla. Ma lei smentisce anche che la sua infelicità derivi direttamente dalla sua età. Quello che verrà dopo, quando avrà un lavoro, una famiglia, eccetera, le ripugna perché ha davanti l'esempio di quelli che ci sono già arrivati e sono costretti ad alzarsi a ore obbligate, a mangiare a ore obbligate, e a fare le code in auto tutti i giorni e ripetere sempre le stesse azioni. E poi di farsi una famiglia, avere dei figli, mettere al mondo degli altri disgraziati in questo inferno lei non se la sente. Lei non vorrebbe essere come gli altri, vorrebbe salvare qualcosa che le consentisse di essere «uno». Un'attività artistica, a esempio. Ma quante speranze si ha di poterci arrivare? Qui finisce oggi lo spazio a me consentito ma questo discorso bisogna continuarlo. Io credo, comunque, che oggi ci siano più possibilità di ieri. All'altra parte della sua lettera risponderò in seguito. Oreste del Buono Vita di massa ti odio da morire