Tangentopoli, spunta Forte di Francesco Forte

Tangentopoli/ spunta Forte Tangentopoli/ spunta Forte E Reviglio «si scagiona» per quattro ore MILANO. E adesso, nell'inchiesta, spunta anche Francesco Forte, senatore socialista, già ministro e responsabile economico del psi. A fare il suo nome (o meglio, a confermarlo) è stato quel Mario Arlati, ex ufficiale dei carabinieri, che dopo aver lasciato l'Arma si è trovato un interessante lavoro come intermediario... di tangenti. Il nome di Forte, invero, era già spuntato nei verbali di Paolo Scaroni, manager della Techint, che aveva copiosamente parlato delle tangenti pagate dalla sua azienda, all'Enel in particolare. E la circostanza aveva trovato conferma nelle parole di Valerio Bitetto ex consigliere di amministrazione dell'Enel, in quota al psi. Ieri, infine, la conferma di Arlati: afferma di aver consegnato a Forte 200 milioni, provenienti dal giro delle tangenti all'Enel, come «contributo» per la campagna elettorale del '92. L'ex ufficiale dei carabinieri, dopo aver lasciato il carcere militare di Peschiera, è stato sentito altre due volte in Procura: «Solo puntualizzazioni», ha dichiarato il suo avvocato. Puntualizzazioni di un certo peso, comunque. Mentre Davigo riascoltava Arlati, in una caserma della Guardia di Finanza Colombo e Di Pietro sentivano un altro esponente socialista già coinvolto nell'inchiesta. Anzi, proprio a causa dell'inchiesta ha lasciato, il 30 marzo, l'incarico di ministro delle Finanze. Franco Reviglio ha cominciato la sua «deposizione spontanea» (in quanto parlamentare non può essere interrogato prima della concessione dell'autorizzazione a procedere) alle tre del pomeriggio: L'ha terminata quattro ore dopo. In una dichiarazione Reviglio spiega di essersi «presentato spontaneamente per ulteriori dichiarazioni ai pm di Milano in quanto, indipendentemente dalla richiesta di autorizzazione a procedere, che è in corso, ha ritenuto doveroso rappresentare ai pm gli elementi che lo scagionano», In particolare l'ex ministro «ha illustrato le numerose misure adottate durante la sua presidenza per contrastare pratiche sospette dentro l'Eni e le sue controllate». Reviglio aveva ricevuto infatti un avviso di garanzia (il reato ipotizzato è ricettazione) in riferimento al suo incarico al vertice dell'Eni, dall'83 all'ottobre dell'89. Secondo l'ipotesi d'accusa egli avrebbe fornito a Gianni dell'Orto, presidente della Saipem, indicazioni per far avere due finanziamenti da tre miliardi al psi. E sarebbe stato a conoscenza della provenienza illecita del denaro, raccolto attraverso speculazioni e sottratto dai bilanci dell'ente: da qui l'ipotesi di ricettazione. Inoltre, sulla questione dei fondi neri Eni e sul possibile ruolo di Reviglio, i magistrati avevano raccolto altre testimonianze, in particolare quella di Pierfrancesco Pacini Battaglia. Cioè quel «Chicchi» che, tramite la sua banca Karfinco di Ginevra, si occupava proprio di formare e smistare ai partiti, soprattutto al psi, i fondi extrabilancio dell'Eni. E c'era poi il racconto di Gabriele Cagliari, successore di Reviglio alla presidenza dell'Eni, che, pur senza mai fare il nome dell'ex ministro, aveva detto che il «sistema dei fondi neri» lo aveva «ereditato». Reviglio ha sempre smentito un suo coinvolgimento nella gestione «occulta» dell'Eni; anzi ha sostenuto di aver «agito per assicurare all'Eni una gestione corretta e trasparente, per emarginare qualsiasi distorsione possibile», impegnandosi a smantellare, o emargina* re, quelle strutture societarie che servivano come canale per i «fondi neri». E nelle quattro ore di incontro con i magistrati ha cercato, carte alla-mano, di convincerli proprio di questo. Susanna Marzolla Foto grande Gianni Letta E Francesco Forte (a sin.)

Luoghi citati: Ginevra, Milano