La guerra di Martinazzoli «Si cambia, per rinascere»

La guerra di Martinazzoli «Si cambia, per rinascere» t nf e-f>c<t tir*- pi r1 olV/i ^ Rrff filili Ul' «[') La guerra di Martinazzoli «Si cambia, per rinascere» t nf e-f>c<t tir*-, pi r1 olV/i ^ . Rrff filili Uil' «[').,.,. IL PERCHE' DEL NUOVO I i rrrv- •■ . SI', cambierò il nome alla de. Ma ciò che più conta è che cambierò tutto D partito», dice Martinazzoli. Mino il Mite questa volta ha estratto Excalibur dalla roccia e, solo nella sua stanza di Piazza del Gesù, mentre tutti i grandi, vecchi condottieri dello scudo crociato cadono da cavallo attorno a lui, conferma l'annuncio fatto a Bari nel giorno più lungo di Andreotti: congresso costituente a fine giugno proprio nella Milano di Di Pietro, nuova struttura del partito, nuova classe dirigente, nuovo nome. Senatore Martinazzoli, è davvero convinto di riuscire a vincere questa battaglia? «Vede, il successo dipende sempre dai giochi della politica, ma quel che è certo è che io andrò sino infondo». E comincerà dal cambiamento del nome? «Sì, ma ciò che mi interessa di più è il cambiamento di una classe dirigente, non per un furore iconoclasta che non avrebbe senso, ma per la necessità - imposta a tutti noi da una situazione completamente rinnovata - di creare un partito diverso da quello di oggi». Ma lei crede che la vecchia de sarà disposta a morire perché viva quella nuova? «Il problema che abbiamo è proprio questo: dare una legittimità a questa nascita, cioè costruire o preparare in modo credibile questo trapasso storico. Ecco perché stiamo discutendo su chi deve prendere parte a questa trasformazione». Sta dicendo che pensa ad un congresso in mano agli esterni? «Dico semplicemente che bisogna trovare un modo per arrivare ad una partecipazione più ampia possibile e che appaia legittima agli occhi di tutti. Gli esterni possono costituire una via percorribile». E i pesi morti della de avranno un ruolo in questa operazione così delicata? «Tutti i pesi, siano morti o vivi, vanno tenuti in considerazione in rapporto alla loro capacità di rappresentare qualcuno o qualcosa». Può darsi che si debba distinguere caso per caso, ma lei a Bari si è spinto a dire che il partito è «sfregiato». Perché? «Mi pare semplicemente di aver fatte una constatazione difficile da confutare. Quando dico che il partito è sfregiato intendo proprio questo: abbiamo avuto trop- pi comportamenti incoerenti con la nostra ispirazione». E il cambiamento di nome può rimarginare lo sfregio? «Se cambiare il nome significherà recuperare qualcosa di autentico, allora sì, può servire anche a questo e io proprio a questo penso. Sia chiaro, la mia non è una ricerca di nomi di fantasia o di scoperte clamorose. Non ricorro né ai pubblicitari né agli studiosi di marketing. Guardo dentro di noi, dentro l'anima più vera del nostro partito e della nostra gente e credo che anche il nuovo nome serva a recuperare l'ispirazione più vera della de». Come si chiamerà il dopo- dc? moci ossi ulto po» «Poiché la fase che stiamo vivendo mi sembra la più adatta per recuperare l'ispirazione di Sturzo, credo che un ritorno a Sturzo anche nel nome sarebbe la soluzione migliore». Insomma, si chiamerà partito popolare? «Sì, magari Nuovo Partito Popolare, proprio per trasmettere la sensazione che il nostro non è un ritorno al passato, ma il recupero della parte migliore del nostro passato, proiettandolo nel futuro». E in che cosa il Nuovo Partito Popolare sarà diverso dalla de? «In una cosa fondamentale. Sarà un partito di programma». Scusi senatore Martinazzoli, ma che significa? «Significa che è finita la fase dell'obbligo, vale a dire il lungo periodo in cui la de aveva l'obbligo di tutela e di garanzia democratica, dunque doveva prima di tutto assicurare un equilibrio politico e un governo all'Italia. Quante volte ci hanno accusati di neutralismo programmatico, di vocazione mediatrice fine a se stessa, di doroteismo tutto potere e niente programma? Io credo che, al di là degli errori che possiamo aver commesso, questo ruolo era in parte inevitabile proprio perché l'obbligo di formare governi, garantendo un equilibrio democratico, ci costringeva alla transazione, al compromesso e alla rinuncia dei punti fondamentali del nostro programma, della nostra identità». Sta dicendo che la de aveva un ruolo di cerniera che il Nuovo Partito Popolare non avrà più? «Non dico solo questo. La de è legata a De Gasperi, al '48...Ha svolto una funzione storica nella fase della divisione del mondo in blocchi e negli anni della guerra fredda. Adesso questi anni e quella fase sono finiti per sempre». E può morire anche la de? «E' finito, per noi, l'obbligo di rinunciare ad alcuni aspetti fondamentali del nostro carattere politico nell'interesse superiore del Paese. Oggi torniamo liberi, liberi di essere noi stessi. Possiamo essere più democristiani di ieri, più attenti alla nostra tradizione e meno concentrati sul potere». Ma un partito di programma deve anche averlo, un programma. E' davvero pronta la de? «Sì. Non è necessaria ima ricerca rabdomantica. I punti essenziali della nuova rotta sono chiari. Manterremo e semmai arricchiremo la nostra vocazione europeista e la nostra capacità di costruire uno Stato nazionale unitario. Da questi due filoni discenderanno tutti gli altri punti programmatici che metteremo a fuoco di qui al congresso di Milano. Penso al problema della famiglia, del pluralismo scolastico, della libertà dei singoli rispetto ai nuovi centri di potere tecnologici e economici». E come entrerà Sturzo in questo programma? «Su una questione chiave, quella dell'unità politica dei cattolici. Lui l'aveva già superata e noi non pretenderemo di essere "il partito" dei cattolici. Penso a Sturzo anche quando dico che il Nuovo Partito Popolare dovrà essere capace di "interpretare" il popolo che in lui si riconosce. In fondo la polemica contro la partitocrazia riguarda i "partititutto, quei partiti che concepiscono se stessi quasi come un secondo popolo che deve dare voce al primo, credendolo incapace di parlare il linguaggio della politica. Questa accusa è indirizzata soprattutto al pds, ma riguarda anche noi e tutto ciò deve finire. Il Nuovo Partito Popolare avrà meno apparato, meno burocrazia e cercherà di rientrare dentro il popolo, rappresentando ciò che si aggrega spon¬ «Troe allLa nuna taneamente nella società». Senatore Martinazzoli, pare di ascoltare Bossi Lei sta annunciando la nascita della Lega democristiana? «No. Dalla Lega non abbiamo niente da copiare, ma dobbiamo recuperare parole come autonomia, territorio, municipio. Tutte parole che Sturzo sapeva pronunciare. Come vede c'è molto da cambiare». I vecchi capi de glielo lasceranno fare? «Perché non dovrebbero? La domanda è un'altra: saremo capaci di farlo? Perché l'ambizione di questo progetto è molto grande. Vogliamo riconquistare una nobiltà che per tanti aspetti, tante ragioni e anche per tanti nostri torti abbiamo perduto. Come vede non una lega, ma un nuovo partito perché io credo che i partiti servano ancora. Non sono né usurpatori della volontà del popolo né profittatori. D'altra parte tutti coloro che si scagliano lancia in resta contro i partiti finiscono poi per costituire degli al- tri partiti. Più duri, più vecchi, più totalitari». Si riferisce alla Lega? «La Lega è talmente vecchia da essere leninista, con tanto di culto della personalità». Rompendo con la de, non teme di precipitare in un abisso? «Guardi, la mia vera preoccupazione nasce da queste macerie che mi cadono addosso e rischia- no di schiacciarci. So benissimo che dobbiamo pagare il conto dei nostri errori, ma quello che stanno facendo contro di noi mi impressiona. Le prometto una cosa: il giorno che qualcuno vorrà davvero farci credere che l'uccisione di Moro è stata decisa all'interno della de, ebbene quel giorno io cambierò Paese». Sta difendendo Andreotti? «Io non ho il compito di difendere nessuno. La mia regola è che in questi casi deve decidere il Parlamento, ma questo non significa che i parlamentari sono ciechi, sordi e soprattutto senza parola. Mi impressiona l'ipocrisia di chi in privato mi dice che le accuse ad Andreotti non stanno in piedi e in pubblico se ne lava le mani, si nasconde dietro il giudizio tecnico, senza domandarsi se le accuse sono fondate o no». Insisto, senatore. Lei a Bari ha parlato di «sfregio», adesso lo ha già dimenticato? Non pensa più alle inchieste di Napoli, Reggio Calabria, Palermo? «No, lo sfregio si riferisce a prove di corruzione e taglieggiamenti che purtroppo ci sono. Ma non accetto che si accomuni la storia della de alla storia della mafia, della camorra, della 'ndrangheta e di delitti terribili, fino ad arrivare al sacrificio di Moro. Questa accusa è un delirio, come quella contro il povero Piersanti Mattarella, per il quale è diventato inutile peremo morire. Davvero, siamo alla paranoia...». Cosi passa dalla parte di Craxi e Andreotti. E' tutta una congiura? «Non credo alla congiura, credo più semplicemente alla stupidità che, purtroppo, è molto diffusa. Troppa gente non crede a queste accuse, ma sta zitta. Le coscienze democratiche d'Italia non hanno un'opinione? Io non pretendo una difesa d'ufficio, ma santo cielo, chiedo il coraggio di esprimere un giudizio, di sconfiggere l'ipocnsia. Nel silenzio parlo io: la storia della de non è una storia criminale». Ma lei chiuderà la storia della de, taglierà le sue radici. «Senta bene: io sono iscritto alla de dal '56, giro l'Italia, parlo con i democristiani. So che esistono sentimenti forti e fedeltà verso la de e so che il cambiamento metterà in crisi tutto questo. Eppure ho deciso di andare avanti. Il Nuovo Partito Popolare non trancia le radici alla de. Le recupera». Dario Creste-Dina «Non confondiamoci con la Lega di Bossi che resuscita il culto leninista del capo» «Troppi stanno zitti e allora parlo io La nostra non è una storia criminale» A sinistra Alcide De Gasperi Sopra, il leader della Lega Nord Umberto Bossi «Torniamo a Sturzo e al partito popolare»

Luoghi citati: Bari, Italia, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria