Mino cerca di forzare il bunker dc

Dopo la svolta vengono allo scoperto le paure del partito: Riggio spinge, Mannino frena Dopo la svolta vengono allo scoperto le paure del partito: Riggio spinge, Mannino frena Mino cerca di forzare il bunker de Ma devefare i conti con i signori delle tessere ROMA. Si rammarica e si tormenta Salvatore Ladu, de della commissione per le autorizzazione a procedere del Senato, mentre parla delle vicende di Andreotti. Per lui è quasi un incubo che richiama la memoria di giorni tragici. «Qui - spiega - tutti sono convinti che i pentiti su Andreotti dicono fandonie. Ma c'è l'opinione pubblica da accontentare e noi, di questi tempi, non possiamo dare l'idea della de che vuole insabbiare. Così, ci troviamo stretti tra due principi: salvare l'immagine della de ma, al tempo stesso, non darla vinta a chi tenta di processare il partito nella persona di uno dei suoi leader storici. E a tutti noi sembra di ritornare ai giorni tragici del rapimento Moro, anche lì avevamo di fronte una scelta diversa ma altrettanto impossibile, c'era la voglia di salvare Moro e la necessità di non cedere alle Br». Che atmosfera pesante si respira nella de. Quel paragone tra Àndreotti e Moro, insieme tragico, azzardato, inquietante, riesce ad interpretare proprio nelle sue contraddizioni lo stato d'animo della democrazia cristiana di oggi: è un partito che sa che per sopravvivere deve rifondarsi, ripensarsi, rilegittimarsi, ma che vive drammaticamente questo trauma, diviso tra un passato che pesa e un futuro che non offre nessuna garanzia. E la sortita a Bari di Martinazzoli, la decisione di fissare una data e una scadenza per il cambiamento del nome del partito proprio nel giorno più nero per Andreotti, sembra proprio l'ultimo tentativo di uscire fuori dalla morsa delle contraddizioni della vecchia de. «Sì commenta in giro Pino Pisicchio, deputato pugliese, tra il serio e il faceto - Martinazzoli ha fatto un po' quello che fece Occhetto alla Bolognina accelerando all'improvviso l'ipotesi di cambiare nome. Noi la chiameremo la "svolta" della baresotta». Martinazzoli deve muoversi per sfuggire agli eventi, per riuscire nel suo movimento a tenere insieme tutto il partito. Ma anche lui dovrà fare i conti con le fughe in avanti, con il «fronte del No», con i dubbiosi, con i trasformisti. Non per nulla la sua uscita, proprio nel giorno in cui le tv hanno consegnato al mondo le immagini dell 'Andreotti che pallido in volto si avvia ad affrontare la sua prova più difficile, ha lasciato l'amaro in bocca a più di qualcuno. C'è chi preferirebbe qualcosa di più come Vito Riggio, che minaccia di andarsene dal partito se entro il 15 maggio non sarà fissata una data per la «ricostituente» della de siciliana. E c'è chi consiglierebbe una maggior prudenza. «Sì - ammette a mezza voce Calogero Mannino - forse per i tempi scelti è stata una decisione infelice». Eppoi, ci sono quelli che stanno nel mezzo, che non sono contrari, ma che non sono neanche tanto convinti. «Ma che doveva fare? chiede più comprensivo Vittorio Sbardelia - Lui è pressato». «Tanto - si consola Remo Gaspari peggio di così non può andare, or¬ mai siamo arrivati al sottoscala, si può solo risalire». Dubbi, preoccupazioni, disagi. Insieme a tutto questo c'è però una constatazione da fare: fissata quella scadenza il partito, sia pure accademicamente, ha cominciato ad interrogarsi sul suo futuro, dimenticando per quel che può il passato. E ne è scaturito un elenco interminabile di sigle e di nomi nuovi. C'è chi come Martinazzoli e De Rosa opterebbe per il nome secco, partito popolare europeo, collocandosi sulla linea della de tedesca di Kohl. C'è, invece, chi vuole inserire l'aggettivo sociale, come Nino Cristofori e qualche vecchio capo, che vuole mantenere la de collocata in un'area di centrosinistra. C'è chi come Cotta, uno dei garanti, vorrebbe mantenere in qualche modo l'aggettivo «cristiano». E chi, infine, come il delegato degli anziani, Brusasca, lascerebbe perdere il nome partito preferendo quello di «democrazia popolare», a costo di presentare la de alle elezioni sotto la sigla «dp» che una volta apparteneva ai gruppi alla sinistra del pei. Forse la scommessa di Martinazzoli è proprio questa: costringere, se è possibile, la de ad inventarsi un futuro, tentando di mettere da parte il passato. Una scommessa tutt'altro che semplice: il passato di questo partito è rappresentato proprio dai vari Andreotti, Gava e Misasi, personaggi che in un certo senso nelle percentuali elettorali della de equivalgono se non superano, il peso che avevano in quelle del pei i nostalgici della falce e martello. Tutta gente che Martinazzoli non può mollare per non rischiare un ulteriore tracollo elettorale. Ma che deve tentare, per quel che può, di convincere a sacrificarsi nei limiti per il partito. Ecco perché il camminò del Martinazzoli «traghettatore» è arduo e difficile. Come farà a tenere insieme il vecchio e il nuovo? Riuscirà a convincere il nuovo ad aspettare e il vecchio ad auto-immolarsi? E' tutto qui il problema e il «caso Andreotti», più di ogni altra cosa, rischia di diventare la prova decisiva di questo arduo tentativo. E probabilmente questo triste periodo per la de si consumerà riproponendo giorno dopo giorno discussioni del tipo di quella che si è svolta l'altro ieri nel saloncino del gruppo de del Senato, tra il capogruppo De Rosa, alcuni commissari della de nella commissione per le autorizzazioni a procedere e Giulio Andreotti. I primi hanno consigliato ad Andreotti di chiedere lui stesso l'autorizzazione, l'interessato ha ripetuto di «non vedere nessuna utilità in un passo del genere». De Rosa e gli altri hanno messo in guardia l'illustre interlocutore dal rischio che potrebbero esserci anche nella de 30 «Khomeinisti» pronti a votargli contro in aula, ma Andreotti si è limitato a rispondere con un laconico rinvio: «Poi vedremo». Augusto Minz olini Piazza del Gesù tra due fuochi: salvare l'immagine e non arrendersi a chi tenta di aprire un processo sommario a tutti i leader storici Sopra, Guido Bodrato, da sempre vicino alle posizioni dell'attuale segretario. A lato. Paolo Cirino Pomicino Mino Martinazzoli: la decisione di fissare una data e una scadenza per il cambiamento del nome del partito proprio nel giorno più nero per Andreotti, sembra l'ultimo tentativo di uscire fuori dalla morsa delle contraddizioni della vecchia de .,

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