«Parole di pentiti? Parole di bugiardi»

«Sappiano i cultori della pista politica che essa conduce al discredito di tutti i pentiti» «Forse hanno voluto vendicarsi per i successi dei miei governi contro i boss di Cosa Nostra» «Parole di pentiti? Parole di bugiardi» In un memoriale di 8 basine la difesa-bis del senatore ROMA. Otto pagine e poche righe, per tentare di distruggere il «castello accusatorio» costruito da Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia. Il suo secondo memoriale, Giulio Andreotti se l'è scritto da sé, a differenza del primo - fondato in buona parte su questioni tecnico-giuridiche - che aveva predisposto il suo avvocato. Stavolta il senatore a vita accusato di collusione con la mafia parla in prima persona. Gli incontri con i mafiosi. «Posso ripetere - dice Andreotti - quello che avevo detto ieri pomeriggio alla stregua delle indiscrezioni comparse sui giornali: sono tutti nomi di persone che non ho mai conosciuto: Paolo e Stefano Bontade, Matteo Citarda, Giuseppe Calò, Michele Greco, Salvatore Riina (quest'ultimo visto solo in televisione dopo il suo arresto!). E così vale per il seguito (Teresi, Sanfilippo, Albanese, ecc.). Ripeto che tra le persone a me del tutto sconosciute vi sono anche Ignazio e Nino Salvo, con i quali non ho mai avuto alcun genere di rapporto, neppure di semplice presentazione. Ho conosciuto invece, naturalmente, le persone politiche citate che appartenevano al mio partito, oltre Salvo Lima Bernardo e Piersanti Mattarella, Michele Reina (una delle prime vittime), Rosario Nicoletti, ecc.». La testimonianza di Mannoia. Il pentito racconta di due visite di Andreotti in Sicilia, nel 1979 e nel 1980, in cui il senatore avrebbe incontrato i boss mafiosi. «Il racconto del Mannoia - ribatte Andreotti - è totalmente inventato... Vale per questo'incontro (quello del '79, ndr) quel che prima e dopo rappresenta una costante: la già robusta sorveglianza proterva .della^.S. e dei carabinieri per la mia persona al momento dell'assassinio di Moro, erajstajarulteriormente rafforzata, come facilmente può ricostruirsi. Non sono mai stato fuori controllo neppure un istante della mia giornata. Non sono mai stato, comunque, in Sicilia se non per impegni ufficiali... Un episodio quindi classificabile, quello di questa riunione, con un solo aggettivo: FALSO». Ed ecco la difesa di Andreotti sul secondo summit con i mafiosi, quello del 1980, successivo all'omicidio di Piersanti Mattarella, al quale l'ex presidente del Consiglio sarebbe arrivato con un aereo privato atterrato a Trapani: «Anche questo particolare è grossolanamente falso. Non sono mai andato a Trapani con voli civili né tantomeno privati. Non sono mai andato a Trapani durante tutto il 1980, né mai fuori da occasioni ufficiali sottoposte a rigido controllo di polizia e di protocollo cerimoniale. Anche questa seconda presenza in Sicilia "per avere - secondo quanto detto dal Bontade chiarimenti sull'omicidio Mattarella", è FALSA». La vendetta della mafia. Andreotti si sofferma ancora sulle dichiarazioni fatte dal Bontade a Marino Mannoia e da questi riferite ai giudici. «Il Bontade - scrive il senatore a vita - mi avrebbe diffidato dall'idea di adottare interventi o leggi, speciali, ..''perché altrimenti si sarebbero verificati fatti gravissimi". Curiosa diffida: in quel momento non ero al governo. MA NON POTREBBE ESSERE UNA CHIAVE DI LETTURA, E CIOÈ' LA VENDETTA DELLA MAFIA PER QUANTO E' ' ACCADUTO ' DOPO, QUANDO QUESTE MISURE SONO STATE ADOTTATE DAI GOVERNI DAME PRESIEDUTI? (I corsivi e le maiuscole sono di Andreotti, ndr). La testimonianza di Buscetta. Nei nuovi interrogatori resi negli Stati Uniti, «don Masino» precisa che il referente romano di Salvo Lima per le necessità della mafia era Giulio Andreotti, e che tramite i cugini Salvo Cosa Nostra aveva altri «contatti politici» a Roma. «Io non so - scrive Andreotti nella sua difesa - se e quale contatto avessero i Salvo: certamente NESSUNO con me. Buscetta dice che mi chiamavano "zio" anche quando i Salvo parlavano con lui "invece di nominare espressamente Andreotti". Io non so le ragioni per le quali Buscetta mente così spudoratamente. Non voglio avanzare congetture. La Giunta è bene in grado di discernere. Mi limito ad una sola osservazione: le persone che dovrebbero confernare le sue dichiarazioni sono tutte morte. E quando non sono morte sono voci dal carcere: "uomini di Cosa Nostra, troppi - dice lui stesso - per poterne ricordare oggi qualcuno in particolare". In quanto ad una visita al mio studio del Badalamenti per intercedere circa un processo Rimi, parimenti netta è la mia smentita...». Il caso Moro. Buscetta, riferendo le richieste de giunte alla mafia per ottenere la liberazione di Moro, dice che dovevano arrivare dai Salvo, e quindi da Giulio Andreotti. Lui ribatte: «Non è vero: io non ebbi alcuna notizia di iniziative di mafiosi al riguardo, né assunsi alcuna iniziativa in questa direzione. Sulla circostanza pagine chiare e definitive sono nella relazione della commissione parlamentare d'inchiesta e nelle numerose sentenze dei giudici ove non si rinviene un solo cenno dei fatti congetturati da Buscetta». Prima ancora Andreotti scrive: «Circa la mia posizione durante e dopo la tragedia di Aldo Moro dichiaro che tutti i tentativi possibili, nazionali ed esteri, furono messi in campo per cercare di individuare il luogo di detenzione e per trovare possibili soluzioni, fatta eccezione di quella improponibile della scarcerazione di un certo numero di brigatisti». Il caso Dalla Chiesa. Ancora Tommaso Buscetta riferisce ai magistrati che in realtà il generale fu assassinato da Cosa Nostra per motivi che non avevano a che fare con la esigenze mafiose, ma più probabilmente per i segreti che Dalla Chiesa custodiva, in particolare - cometPecorelli - sul caso-Moro. E ancora perché stava acquistando prestigio é poteri che potevano impensierire i politici. Mentre sul delitto Pecorelli Andreotti non spende una parola, sull'omicidio dell'allora prefetto di Palermo dice: «Si comincia con l'attribuire al generale Dalla Chiesa la taccia di golpista. Ma dove si raggiunge il culmine dell'assurdo è quando si legge: "Giulio Andreotti era appunto preoccupato che potessero trapelare quei segreti inerenti al sequestro dell'on. Moro...". Dunque Dalla Chiesa conosceva segreti e non li rivelava per servirsene a scopi non definibili.. E' davvero troppo. Sappiano ancora una volta i cultori della pista politica che essa conduce ineluttabilmente a tre risultati: il discredito di tutti i pentiti con il rischio conseguente di vanificare anni di indagini e di straordinari risultati conseguiti nella lotta alla criminalità mafiosa; la sconfessione del "teorema Buscetta" sulle responsabilità della "cupola"; infamare il prestigioso nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa, che tutti riconosciamo quale martire caduto per servire lealmente la nazione», [gio. bia.] «Sappiano i cultori della pista politica che essa conduce al discredito di tutti i pentiti» «Si comincia con l'attribuire al generale Dalla Chiesa la taccia di golpista. E' assurdo»

Luoghi citati: Roma, Sicilia, Stati Uniti, Trapani